lunedì 30 luglio 2007

VARIGOTTI



Varigotti
Il luogo della nostra storia
e di una bellezza ospitale
Per vent’anni è stata la meta dei raduni di Gioventù Studentesca, nella primissima stagione della vita del movimento. La Torre e la chiesetta di San Lorenzo hanno ospitato le Settimane Studenti e le Tre giorni di Pasqua. La Casa San Francesco, dove don Giussani aveva trascorso un periodo di convalescenza negli anni 1946-47, conserva la memoria di una storia.

Che continua come ospitalità, bellezza e carità spicciola. Secondo le intenzioni di don Giussani che assegnò un compito ai Memores Domini chiamati a gestirla: «Soprattutto per chi - per età, salute - faticasse ad amare Gesù, quel luogo deve aiutare a riprendere questo rapporto. Questo luogo ha un nesso con tutta la nostra storia, voi dovete custodirne la santità»

di Paola Bergamini


24 settembre 1946. Dal terrazzo della Casa di ospitalità San Francesco a Varigotti, situata poco sopra il piccolo paese ligure, lo sguardo si perde nell’immensità del mare, aldilà del piccolo golfo; sulla collina, che a picco si “butta” nell’acqua; sulle basse case colorate del borgo antico, che si adagiano sulla sabbia. Una bellezza che ferisce - per chi ha occhi che sanno guardare - «ove per poco il cuor non si spaura». Don Giussani, a Varigotti per un periodo di convalescenza, scrive al suo amico Angelo Majo: «Proprio sei come questo mare: immenso e arcano, che sempre lo senti dire, un suo misterioso pensiero profondo, che capisci, ma non sai ridirtelo con parole comprensibili e determinate; questo mare che ora è calmo e a stento l’odi appena ansare sulla riva e sembra che sogni, e dopo poche ore è tutto tribulato e ansimante e appassionato, e non sai il perché -… ma calmo o agitato, silenzioso o irato, il mare ha ogni giorno e ogni istante un minimo comun denominatore, un significato base unico e inesorabile, che è la sua grandezza: il senso travolgente di una immane aspirazione all’infinito, al mistero infinito. Così la tua vita, nelle vicissitudini angosciose o serene che s’innalzano apparentemente senza motivo: c’è una voce, una passione, una agonia che sta alla base di tutto: e la voce la passione, l’ansia di Lui, Felicità, Bellezza, Bontà Suprema» (Lettere di fede e di amicizia, San Paolo, pp. 37-38). Dodici anni dopo, tornerà proprio in quel luogo con il primo gruppetto di Gs del Berchet, e per alcuni anni alla Torre e alla chiesa di San Lorenzo si svolgeranno la Settimana Studenti e la Tre giorni di Pasqua.
Emila Smurro, presidente del Meeting di Rimini, aveva 18 anni la prima volta che da giessina, andò a Varigotti. Così ricorda quella Tre giorni di Pasqua: «La prima cosa che mi colpì fu l’esperienza di una bellezza palpabile, che ti feriva commovendoti. Mi rimase così impresso nel cuore che volli tornare a Varigotti durante il viaggio di nozze. C’era un carico di intensità tale che permetteva uno sguardo nuovo, totale su tutta la realtà. Ecco, era l’esperienza della totalità che apriva al mondo. Tutto questo per me è continuato, in questi anni, nell’esperienza del Meeting».

L’esperienza della Chiesa
come popolo
14 giugno 1999. Ernesto, varca la soglia della casa San Francesco. Le suore francescane, che da sempre avevano in gestione l’opera, non ci sono più. Per anni avevano dato ospitalità a bambini e adulti, ma negli ultimi tempi era diventato difficoltoso per loro poter continuare la gestione e per questo avevano interpellato don Giussani - con il quale il legame non si era mai interrotto - perché la loro opera potesse continuare. Per volere di don Giussani la casa viene acquisita, l’ospitalità sarà garantita da persone del Gruppo Adulto.
«Ricordo che mentre scendevo i gradini all’ingresso- racconta Ernesto -, avevo in mente solo le parole che mi aveva detto don Giussani, quando mi aveva chiamato per propormi la gestione della San Francesco. “Abbiamo preso questa casa dove vorrei che si continuasse l’ospitalità. L’ho pensata soprattutto per le persone del Gruppo Adulto. Soprattutto chi, per motivi diversi - per età, salute -, faticasse ad amare Gesù, quel luogo deve aiutare a riprendere questo rapporto. E tu devi presiedere alla carità spicciola. Perché della carità sono in tanti a parlare, ma ci vuole qualcuno che se ne occupi”. All’inizio non avevo ben chiaro cosa questo comportasse. È stato attraverso incontri successivi che ho compreso cosa aveva in mente per Varigotti».
La casa viene rassettata e messa in ordine per essere subito aperta all’ospitalità. Prima solo a persone del Gruppo Adulto, poi ai genitori dei Memores, infine a tutti perché, come disse don Giussani, «ci sono amici, persone che a volte sono più dei genitori. Anche a loro va offerta questa possibilità». Nel frattempo iniziano i lavori di ristrutturazione. Don Giussani segue tutto, vuol sapere tutto quel accade a casa San Francesco. «È stato durante uno dei nostri colloqui - continua Ernesto - che ho compreso che valore aveva per lui quel luogo. Lì, negli anni ’46-’47, aveva avuto l’intuizione dell’esperienza della Chiesa come un popolo. In quel momento ho iniziato a comprendere il nostro compito. Che si è ancora meglio definito quando un giorno, quasi improvvisamente, è venuto a trovarci. Appena entrato, ci ha detto: “L’avvenimento cristiano ha invaso l’Europa partendo da luoghi così e adesso non ne esistono più. La responsabilità vostra è far ripartire questo tipo di esperienza. Questo luogo ha un nesso con tutta la nostra storia, voi dovete custodirne la santità. È una vocazione nella vocazione”». «Nessuno di noi aveva esperienza alberghiera - spiega Paolo, arrivato qualche mese dopo Ernesto a far parte della casa e direttore di banca -. Ma ciò che dettava il nostro agire era quell’idea di ospitalità, di bellezza e di carità che donGiussani ci aveva indicato».


Ospitalità e carità
«L’ospitalità - interviene Ernesto - è qualcosa da costruire, qualcosa che ti muove, che ti interroga. È la vocazione dentro la vocazione. Significa che il bisogno delle persone che ospiti ti ferisce. Nel senso che il tuo cuore è commosso e mosso». Come? «Un esempio. In questo periodo abbiamo un ospite che soffre molto fisicamente. La reazione normale è pensare: “Poverino!”. Diverso è pensare che come io vivo c’entra con la possibilità di aiuto reale per questa persona. Chiedere: “Cosa vuoi tu da me?”, è una disponibilità di cuore nell’accoglienza del bisogno. E così anche la situazione più pesante diventa una possibilità di ricchezza vocazionale nel mio rapporto con Cristo. Abbatte ogni barriera anche quella del pregiudizio». «Come con la suora del Sudan - continua Paolo -. Un giorno troviamo in cappella questa signora, vestita normalmente, che intona canti, non nostri, senza chiedere nulla. La prima reazione è stata: “Che cosa vuole questa”? Ma se accantoni il pregiudizio, la vera domanda diventa: “Chi è?”. L’abbiamo conosciuta e abbiamo scoperto che, appunto, era una suora, che per molti anni era vissuta in Sudan. Ci siamo, poi, ritrovati agli esercizi del Gruppo Adulto». È l’apertura del cuore perché come dice san Paolo: «Non dimenticate l’ospitalità; alcuni, praticandola, hanno accolto degli angeli senza saperlo». «Noi non abbiamo mai fatto alcuna riunione strategica sull’ospitalità - spiega Anna, che insieme a Ernesto gestisce Casa San Francesco -. L’unica posizione è stare di fronte alla realtà secondo tutte le sue sfaccettature, nell’attesa di qualcosa che stupisce. E avviene sempre qualcosa che ti spiazza. Come le lettere, le e-mail che arrivano per ringraziare non tanto dell’organizzazione perfetta, quanto del modo con cui sono stati trattati gli ospiti».

Sentirsi a casa
Ne sa qualcosa Catia, da due anni cuoca a San Francesco. «Io sono di Ancona. I miei genitori hanno sempre avuto un chiosco sulla spiaggia dove facevano da mangiare. Io ho sempre avuto il desiderio di aprire un ristorante dove le persone si sentissero come a casa. Circa due anni fa con alcune della mia casa sono venuta a Varigotti. Si è parlato di tutto, a un certo punto scappa una battuta: “Catia, questo è il posto per te”. Ernesto chiede spiegazioni. Io racconto il mio desiderio. E lui: “Vogliamo la stessa cosa. Vieni”. Ho capito che quello era il mio posto. Pensato per me. Nel viaggio di ritorno ho cercato mille motivazioni per dire di no, ma nessuna ha retto. La realtà era più bella, affascinante di tutti i miei pensieri. La riprova è stata che non ho sentito nessuno strappo. Ci sono giorni in cui faccio fatica a cucinare, allora penso a quanto don Giussani ci teneva che le persone stessero bene, che si sentissero a casa. Questo significa accogliere».

Bellezza
Mentre parliamo sulla terrazza, lo spettacolo del mare che riempie l’orizzonte fa venire in mente la famosa frase detta dalla madre al piccolo Luigi Giussani indicandogli l’ultima stella del mattino: «Come è bello il mondo. Come è grande Dio». Ernesto, quando è arrivato, non la pensava proprio così. «No. Per me il mare era… noioso, perché sempre uguale. Poi ho letto la lettera n. 14 a monsignor Majo. Ho pensato che se volevo avere un pezzettino di cuore come don Giussani, dovevo cominciare a guardare la realtà come la guardava lui. E allora ho letto e riletto quella lettera. Mi sono accorto che il mare non è mai uguale. Per guardare la bellezza è necessario essere educati. Solo così percepisci il contraccolpo che il reale suscita. Perché la bellezza centra con me, con il mio cuore».


Casa San Francesco
Strada degli Arenzi n. 6
17024 Varigotti, Finale Ligure (SV)
Tel. 019 698025 / 019 6988446 - Fax 019 6988891
Sito: www.varigottisanfrancesco.it
e-mail: info@varigottisanfrancesco.it


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