sabato 2 maggio 2009

ESERCIZI FRATERNITA'

appunti nostri non rivisti dall'autore
Esercizi fraternità Dalla fede il metodo24-26 aprile ’09
Carron
Le circostanze per cui Dio ci fa passare sono fattori essenziale e non secondario
della nostra vocazione, della missione a cui ci chiama. La circostanza con cui uno
prende posizione di fronte all’incarnazione di Cristo è importante. Tutti sappiamo
quali sono queste circostanze che ci hanno sfidato quest’anno, la crisi, il
terremoto, il dolore di Eluana, il vedere crollare un mondo davanti ai nostri occhi
con leggi che non sanno difendere il bene della vita o della famiglia, il trovarsi
sempre di più a dover vivere la nostra vita sempre più senza patria, le circostanze
drammatiche personali e sociali. Le circostanze non sono neutre, non sono cose
solo da sopportare, stoicamente, sono parte della nostra vocazione, della
modalità con cui Lui ci chiama, ci sfida ci educa, con cui Dio, il Mistero buono ci
chiama oggi.

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Per noi queste circostanze hanno tutto lo spessore di una chiamata, perciò sono
parte del dialogo di ciascuno di noi con il Mistero presente.
Così la vita (1994 DG) è un dialogo, non è tragedia. La tragedia fa finire tutto nel
niente, la vita è dramma perché rapporto tra il nostro io e il Tu di Dio. Il nostro io
che deve seguire i passi che Dio segna. Questo Tu fa cambiare la circostanza
perché senza questo Tu tutto sarebbe niente, il passo verso una tragedia sempre
più oscura. Proprio perché esiste questo Tu la circostanza ci chiama a Lui. E’ Lui
che ci chiama al destino attraverso ogni cosa che capita.
Noi non siamo esenti dal rischio di vivere la vita nella anestesia totale che crea la
nostra società. Il vero pericolo della nostra epoca è la perdita del gusto del vivere.
Questo implica il non sentimento di sé, la non affezione a sé. Occorrerebbe fare
una anestesia totale perché uno perda integralmente il senso dell’attaccamento
a se stesso e almeno una preoccupazione di se stesso. Il tipo di società in cui
siamo riesce a realizzare queste anestesie totali. In tante occasioni siamo
addormentati nel nostro torpore, nella fuga da noi stessi dove la cosa più lontana
è questa affezione a sé. Basta pensare all’ultima volta che abbiamo avuto un
istante vero di tenerezza verso noi stessi.
Queste anestesie totali non possono essere permanenti, hanno un limite. Per
questo la sofferenza non è evitabile, la sofferenza indica la fine di una anestesia
totale. Attraverso queste circostanze il Mistero ci vuole educare alla nostra verità,
alla coscienza per cui siamo fatti, non ci lascia andare verso il niente, per una
passione per la nostra vita come il segno più potente della sua tenerezza.
E come ci educa? Non attraverso un discorso, ma attraverso l’esperienza del
reale, le circostanze attraverso le quali ci scuote. Un pezzo di realtà vale di più di
mille parole. Allora le circostanze, la sofferenza ci mettono davanti alla serietà

delle vita che tante volte vogliamo censurare. Per il mondo tutto è serio eccetto la
vita! I soldi, il rapporto tra uomo e donna, i figli: la vita implica tutto questo, ma con
uno scopo di tutto. Queste circostanze ci sfidano a scoprire questo significato. Per
questo il vero problema non è la crisi, queste circostanze, ma come arriviamo
ciascuno di noi davanti a queste circostanze. Tante volte queste circostanze sono
l’occasione di renderci conto che siamo spaesati, smarriti perché la realtà della
Chiesa come avvenimento quotidiano si pone davanti al mondo non dico
dimenticando, ma dando come per supposto, ovvio il contenuto dogmatico del
cristianesimo, la sua ontologia, perciò semplicemente l’avvenimento della fede.
Noi ci mettiamo davanti alle circostanze dando per ovvio l’avvenimento della
fede. Queste circostanze fanno venire a galla il percorso fatto quest’anno. La
circostanza è il modo con cui uno prende posizione di fronte al mondo, nel modo
di viverla. Noi diciamo davanti a tutti cosa è per noi Cristo nel modo con cui
viviamo le circostanze; possiamo sorprenderci in azione perché tutti ci siamo mossi
in queste circostanze, siamo venuti allo scoperto e abbiamo dovuto dire cosa era
per noi la vita.
Cosa è successo al di là delle nostre intenzioni, cosa è successo, cosa abbiamo
scoperto? Al di là delle nostre intenzioni perché le confondiamo con la realtà. Le
intenzioni tante volte sono giuste, ma nella realtà ci muoviamo con un’altra
logica. Nel modo con cui ci muoviamo nelle circostanze noi diciamo qual è la
nostra appartenenza. Come si ottiene questa posizione in noi si capisce se viviamo
l’appartenenza che è la radice profonda di tutta l’espressione culturale. Ci
diciamo cosa abbiamo di più caro, quale è la nostra cultura nel modo con cui
affrontiamo le circostanze. E questa si vede nella sua capacità di reggere davanti
alle circostanze.
Terremoto dell’Abruzzo: amici che danno la vita perché rimaniamo in Cristo.
Rose: la tribù di Don Giussani, non si muovono perché il movimento ha fatto un
volantino, ma si commuovono e quindi si muovono.
Le persone che non amano possono solo rispondere in modo meccanico.
Pensiamo al nostro desiderio di conversione. Proviamo a immaginarci davanti a
Gesù. Da una parte c’erano quelli che già sapevano di fronte a Gesù. Gli altri
andavano a sentirlo perché nessun uomo aveva mai parlato come questo. Si
sentivano rinnovati nel sentimento della propria umanità. Questa gente lo seguiva
e si dimenticavano di mangiare. Il primo fattore che definiva quel fenomeno era
Cristo? No, era che era povera gente, gente che aveva fame e sete, desiderava
l’avverarsi della propria umanità. Uno deve sentire se stesso, la propria umanità.
Incominciamo da bisognosi. Da cosa si vede? Dal fatto che siamo tesi, aperti a
che Lui abbia pietà di noi.
Sabato mattina

In che contesto ci troviamo ad affrontare la sfide di cui parlavamo?
1. Il crollo di antiche sicurezze religiose. Ratzinger: 1927 Eisenberg, Einstein, Plank,
Pauli. Scienze naturali e religiose non sono in rapporto. Le scienze naturali si
basano su vero-falso, le scienze religiose su valore e disvalore. Le scienze
naturali sono il modo di andare incontro al lato oggettivo della realtà, la fede è
l’espressione di una decisione soggettiva. Ma non c’è questa frattura tra sapere
e credere. La separazione completa è solo un espediente di emergenza per un
tempo limitato. Nel dopoguerra era viva la fiducia che tale vicenda non
potesse più accadere. Oggi nella crisi morale che assume forme nuove, la
fiducia di allora sparisce, il crollo di antiche sicurezze religiose è diventato un
fatto compiuto (1995). Questa è la nostra situazione.
Questa separazione tra sapere e credere ha una radice più lontana.
L’illuminismo era la religione nell’ambito della pura ragione, ma questa
religione si disgregò rapidamente perché non aveva la forza di sostenere la
vita. E la religione trovò il suo nuovo concetto come sentimento. “Il sentimento
è tutto, il nome è rumore e fumo”. Tale separazione determina una sfera del
sapere dove vige una ragione razionalistica, una ragione come misura che non
ha a che fare con il significato ultimo e dall’altra parte una sfera del credere
come ambito non razionale del sentimento, del soggettivo, di decisioni
soggettive sui valori in cui viene confinato il sentimento religioso.
Insieme a questa riconduzione del religioso al sentimento avviene la riduzione
della fede cristiana alla dinamica del senso religioso. La fede non è che un
aspetto della religiosità, un tipo di sentimento con cui vivere l’irrequieta ricerca
del proprio destino. Tutta la coscienza moderna si agita per strappare
dall’uomo l’ipotesi della fede cristiana e per ricondurla alla dinamica del senso
religioso.
E questa confusione penetra anche la mentalità del popolo cristiano. Questo
strappo si vede dal fatto che il popolo cristiano affronta il reale senza avere
davanti la tradizione cristiana, che non è più il punto di partenza per entrare
nel reale.
E’ in questo contesto che possiamo capire tutta la portata del tentativo di Don
Giussani. Il movimento è nato per rispondere a questa sfida, dalla 1° ora del
Berchet in cui si diceva che fede e ragione non c’entravano l’una con l’altra.
Questo ha generato una modalità di vivere l’esperienza cristiana che è stata
interessante per noi quando la abbiamo incontrata.
2. Questo crollo riguarda anche noi. Uno non può vivere in una situazione senza
esserne influenzato.

La realtà è il luogo della verifica della fede. Nelle sfide di quest’anno il punto
cruciale è stata la questione della fede, il nesso tra la fede e la speranza. Il
confronto con il capitolo sulla speranza ha portato a galla una fragilità della
fede, una debolezza di giudizio, una reticenza a compiere quel percorso di
conoscenza che certi fatti esigono. “Una fede traballante, non poggiante su
nulla e il futuro una nebbia”. Quando la realtà stringe tutto svanisce. Ci sono
tanti fatti, tantissimo bene raccontato, ma è come se soffrissero di una ultima
incertezza, come se il mattino dopo l’esperienza fatta potesse svaporare,
svanire. Ci troviamo come tutti, tante volte riduciamo la fede a sentimento
religioso. La fede è una delle tante ipotesi che formuliamo per affrontare la
situazione, come se non fosse accaduto nulla e ci trovassimo da capo di fronte
all’ignoto, io con il mio senso religioso a cercare come affrontarlo.
Il punto di partenza non è qualcosa conosciuto con certezza. La ragione
nascosta è che non ci sembra reale quello che abbiamo conosciuto. Ci
vengono tutte le altre ipotesi in mente prima della fede, perché la fede non è
vera conoscenza. Qualsiasi cosa ci sembra più reale della presenza
riconosciuta dalla fede. Invece di partire da una presenza si parte da
un’assenza, da un ignoto.
La prima espressione di amore a me, il primo gesto di pietà è affermare questo
Altro, prima di qualunque coerenza. Questo non ci impedisce di continuare a
usare le parole cristiane, ma tutto acquista un altro spessore e significato.
E’ la riduzione della fede a sentimento, dove il credere invece del
riconoscimento di una presenza incontrata diventa un atto irrazionale per cui
alla fine è la fede che genera il fatto. Bultmann non è così lontano dalla nostra
vita, che capovolgimento: è la fede che crea il suo oggetto. Tante volte il
credo per noi non è conoscenza vera, non c’entra con l’uso della ragione.
Quando si parla di Cristo non è coinvolta la realtà e quindi la ragione. Il
contenuto della fede non lo riteniamo reale.
3. La riduzione del cristianesimo a etica o cultura, la riduzione a regole della fede,
ma non abbiamo bisogno di parlare di Lui. Chi di noi può stare davanti a
Eluana solo difendendo la vita se non ci fosse qualcuno presente, se non ci
fosse la carezza del Nazareno? Noi respiriamo questa riduzione a una morale o
a un insieme di valori, che come tale può essere stimata o combattuta. Il
cristianesimo dei valori è una tentazione cui non siamo estranei. Come se il
fatto di Cristo per noi rimanesse parallelo alla vita. Un cristianesimo così è
insufficiente ad affrontare la vita.
La fede ha qualche possibilità di successo, si chiedeva Ratzinger? Si, perché
trova corrispondenza nella natura dell’uomo, per la sua aspirazione nostalgica
all’infinito. Solo Dio è in grado di venire incontro alle domande del nostro
essere.

4. Irriducibilità di un fatto. Perché tutto questo non è finito in noi, come tutto
questo non ha preso il sopravvento? Per l’incontro con un fatto irriducibile che
non siamo in grado di cancellare, un fatto presente. Oggi siamo davanti ad un
fatto irriducibile pieno di testimoni.
E questo è il segno che il Mistero continua ad avere pietà di noi.
La prima caratteristica della fede in Cristo è un fatto.
E la prima della caratteristica della conoscenza è l’impatto della coscienza
con la realtà. Abbiamo il presentimento con una corrispondenza che non
possiamo toglierci da dosso. Corrisponde ad una attesa costituiva del nostro
essere. Questo imbattersi della persona in una diversità è qualcosa di
semplicissimo che viene prima di ogni catechesi o riflessione o sviluppo. Ha
bisogno solo di essere visto, e muove in forza della corrispondenza. Senza
questa contemporaneità della sua presenza in una umanità diversa non
sarebbe possibile la fede cristiana. Come mai, se siamo circondati da tanti
testimoni, siamo dopo un po’ ancora smarriti? Ciò che manca tra noi non è la
presenza, manca l’umano. Se l’umanità non è in gioco il cammino della
conoscenza di ferma, non manca la conoscenza, manca il percorso.
Da questa situazione non possiamo venire fuori automaticamente, scaldando
la sedia, senza un lavoro, un’ascesi su se stessi. Non basta ripetere certe frasi di
Don Giussani o partecipare a momenti belli, ma occorre impegnarsi in un
cammino, in un lavoro, verificare se prendere sul serio o no la sfida di Don
Giussani. Nessuno come lui ha accettato di raccogliere la sfida dei tempi
moderni.
Noi partecipiamo a certi gesti senza fare un cammino umano, come non
consapevoli della situazione drammatica in cui ci troviamo. Se il movimento
non è un’avventura per sé e un allargarsi del cuore allora diventa un partito. E
uno è destinato ad essere solo e individualisticamente definito.
5. Il percorso della fede:
a. Ci manca la percezione di cosa è la corrispondenza, la parola più
confusa del vocabolario ciellino. Non viviamo la nostra umanità.
L’impegno nel cammino umano è condizione perché abbiamo a essere
all’erta quando Cristo ci offre il suo incontro. Siamo stati staccati non
dalle formule cristiane, ma dal fenomeno umano, abbiamo una fede
che non è più religiosità, non consapevole, intelligente di sé.
Nulla è incredibile come una risposta ad un problema che non si pone
(Niebhur) Se questa esigenza non c’è cosa ci sta a fare Cristo, la messa,
la confessione..non sono risposte ad una domanda e perciò non hanno
lunga sopravvivenza. Così il cristianesimo è diventato parole. Ratzinger: la
crisi dell’annuncio cristiano non è dovuto alla mancanza di energia nel

ripetere una dottrina, ma le risposte cristiane hanno lasciato da parte le
domande degli uomini.
O prendere sul serio le proprie domande umane o ripetere un discorso
imparato.
Don Giussani ci ha invitato a prendere sul serio il proprio umano,
l’affezione a sé, il sentimento della propria umanità. Questo cosa
significa? Ci riconduce alla riscoperta delle esigenze costitutive, di una
attesa senza confini, questa è l’originalità dell’uomo. Questo manca
tante volte tra noi, questa mancanza del senso del Mistero. “I sapienti
non è che non vedono la risposta, ma non vedono l’enigma della
ragione” (Chesterton) Es. del piccolo poeta innamorato che prova
nostalgia per l’innamoramento. Provare nostalgia è corrispondenza? Uno
giustifica andare dietro a qualsiasi cosa in nome della corrispondenza.
Ma io devo andare fino in fondo alla corrispondenza. Ma per noi
corrispondenza è provare nostalgia, desiderio di avere. Ma la nostalgia
non è corrispondenza, ma un sentimento. Dopo il sentimento mi chiedo:
questo che provo è desiderio reale, infinito, esigenze che nascono in me
impegnato in ciò che provo e queste domande giudicano quello che si
prova. Qui diventa esperienza il puro provare, quando il provare è
giudicato dai criteri del cuore. Se è veramente vero, bello, felice, in base
alle domande ultime del cuore l’uomo governa la sua vita altrimenti è un
bambino che segue quello che prova senza giudicarlo.
Questa confusione del provare con la corrispondenza ci impedisce di
riconoscere la corrispondenza di Cristo, non capisco quale è la novità
che Cristo introduce. Una risposta è capita nella misura in cui uno sente
la domanda addosso a sé. Solo così si capisce la risposta. Cleuza e i
capelli che sono contati: lo ha preso come vera conoscenza e l’ha
giocata nel reale.
Il giudizio sulla corrispondenza di Cristo è possibile se c’è questo umano.
Se no la fede non è conoscenza e rimaniamo smarriti come tutti e noi
che siamo sapienti non capiamo niente.
b. Questo è l’inizio di un percorso che mi fa capire chi è Costui che mi
corrisponde così. Tante volte questo percorso non lo facciamo e siamo
come i giudei, sospesi. “Se tu sei il Cristo dillo”. I giudei vogliono una
risposta che risparmi l’impegno del proprio umano, della propria ragione
e libertà. Ma Gesù dice che le opere che compie nel nome del Padre gli
danno testimonianza. Siamo davanti a opere, fatti, testimoni a una
diversità umana. La nostra paura incomincia nell’istante in cui
blocchiamo il percorso della conoscenza di quella bellezza che mi
ferisce.

Restiamo alla apparenza della bellezza delle opere, ma non
riconosciamo l’origine ultima delle opere. Stacchiamo sempre il segno
dalla sua origine e i segni non ci confermano che Egli è all’opera. Se
arrivassimo a riconoscere la bellezza che abbiamo davanti non ci viene
neanche il pensiero di come rimane. Lui è con noi tutti giorni, c’è. Se non
arriviamo a questa conoscenza vera siamo sempre nell’incertezza. Una
volta riconosciuto occorre fare la verifica di quello che abbiamo
riconosciuto nell’esperienza.
La fede non è un pensiero, un edificio teorico chiuso, è una via che si
riconosce solo invocandola, percorrendola. Questo vale in un duplice
senso.
Il fatto cristiano si dischiude nel come ci cambia e ci accompagna e
consente di essere colto come cammino storico.
Occorre che lasciamo alla fede dischiudere la sua verità davanti alla
vita e dimostrare che regge davanti alle circostanze. E’ li dove il Mistero
svela la sua diversità davanti a tutti i nostri idoli. Altrimenti non potrà venir
fuori l’evidenza di cui abbiamo bisogno, perché di questa evidenza
abbiamo bisogno non di un discorso, né di un altro che ce lo spieghi, ma
di vederlo noi nelle circostanze. Solo chi rischia questa verifica può
arrivare a quella certezza della conoscenza di cui abbiamo tutti bisogno,
e la vita diventa un’altra cosa, il centuplo quaggiù. Senza questo
l’obiezione alla fede non è ragionevole perché non lo abbiamo
conosciuto, verificato.
6. La fede è un metodo di conoscenza. Questo cammino drammatico fa parte
della certezza, del superamento tra sapere e credere. La storia non è inutile, le
circostanze non sono inutili ma la possibilità di vedere Colui in cui crediamo.
Non crediamo per un sentimentalismo, o perché abbiamo deciso di credere,
ma perché abbiamo visto le sue opere. Abbiamo visto i tratti inconfondibili
della sua presenza. Chi ha accettato questa sfida che ci ha fatto Don Giussani
potrà testimoniarlo. Nessuno quando fa questo percorso può far fuori
l’esperienza di corrispondenza e questi fatti rimangono nella memoria, nella
fibra del nostro essere. Il cristianesimo quando facciamo questa strada è un
fatto che non possiamo strapparci da dosso e qualsiasi crisi è l’occasione per
vederlo all’opera. E’ la certezza di Lui che cresce e per questo c’è gratitudine
infinita che si rende presente alla nostra vita.
Lui è più consistente di qualsiasi sfida. La consistenza della nostra vita dipende
dal rapporto con questa presenza, dalla familiarità con questa presenza.
Questa è la grandezza del carisma a cui apparteniamo. Una presenza che
corrisponde anche nelle difficoltà. Riconoscere i suoi tratti inconfondibili non nei
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nostri pensieri, ma nella vita. Non lasciarmi mai, presenza che sempre mi
sorprendi.
Sabato pomeriggio
1. Se la fede è una conoscenza richiede l’uso della ragione. La conoscenza
nuova implica l’essere in contemporaneità con l’avvenimento che la genera.
Come l’avvenimento cristiano permane? Solo rispondendo a questo possiamo
dare risposta alla frattura tra sapere e credere.
Per rispondere a questa domanda non basta riconoscere che il cristianesimo è
un avvenimento storico. Perché quello che permane per noi di
quell’avvenimento storico è solo la Bibbia, passiamo dalla religione dell’evento
alla religione del libro e l’evento diventa solo parola.
Anche noi dobbiamo affrontare la questione. Nessuno dubita che il carisma
per noi sia stato un fatto storico, ma adesso diventa stringente capire come
permane il carisma che ci ha affascinato nel passato; la tentazione nostra è
che rimane attraverso i testi, la sdc. I libri sono certamente un bene immenso,
resteranno per noi come canone, regola dell’esperienza della vita che ha fatto
Don Giussani. Ma se restano solo i libri ci troveremo nella stessa situazione dei
giudei quando la voce profetica si è spenta. Da soli con i testi resta solo da
interpretarli. Sappiamo che questo rischio non è per modo di dire e la sdc può
diventare questo e sappiamo che può essere noioso. Rimarremmo incastrati
nelle nostre interpretazioni e saremmo come tutti e non capiremmo Don
Giussani oltre la nostra capacità di capire, resteremmo dentro i nostri
presupposti. Se fosse così il carisma non basterebbe per interessare la vita.
Cosa può far rimanere l’amore a sé, al destino degli altri? Un Cristo come fatto
storico lontano, può anche dare un input momentaneo, destare nostalgia, ma
ora come si fa ad accettare sé e gli altri in nome di un discorso? Non si può
rimanere nell’amore a se stessi senza che Cristo sia una presenza, ora,
altrimenti io non posso amarmi e non posso amare te ora.
“Qualcosa che viene prima”: la grande rivoluzione è dire che il cristianesimo
permane come fatto e questo non è scontato.
L’imbattersi di una presenza di una umanità diversa non è solo all’inizio ma in
ogni momento che segue l’inizio. Il fattore originante è l’impatto con una realtà
umana diversa e non c’è sviluppo se quell’avvenimento non si ripete ovvero se
non rimane contemporaneo. La contemporaneità di Cristo non può essere solo
dell’inizio ma di ogni istante della strada se no nulla procede e il carisma è
morto e sepolto. Se non si rinnova ora nemmeno capiamo ciò che era

successo all’inizio. Solo se l’avvenimento riaccade ora si illumina e
approfondisce l’avvenimento iniziale e si stabilisce una continuità.
Se questo non succede non è che non facciamo niente, ma subito si teorizza,
l’avvenimento diventa teoria, discorso e questo prende il sopravvento
sull’avvenimento.
Se non si teorizza si brancica alla ricerca di appoggi sostituivi per vivere. Un
discorso non può sostituire la vita. Gli appoggi sostitutivi sono l’usura, la lussuria,
il potere, non perché siamo cattivi o peggio degli altri, ma perché è inevitabile.
Si vive per qualcosa che sta succedendo ora. Se vogliamo sapere se permane
tra noi il criterio, per capirlo è che la continuità con quello che è avvenuto al
principio si avvera solo attraverso la grazia di un impatto sempre nuovo e
stupito come se fosse la prima volta. Altrimenti in luogo di tale stupore
dominano i nostri pensieri. Dalla fede il metodo. Il carisma permane nella
diversità umana che accade ora. La differenza tra gli scribi e il cristianesimo lo
vediamo in questi giorni di Pasqua.
Tutti i vangeli documentano la diversità tra Gesù e gli scribi e tutti rimanevano
stupiti di questa diversità. Insegnava come un’autorità e non come gli scribi.
Questa diversità come rimane? Negli Atti degli Apostoli vengono raccontati
fatti, il cambiamento delle persone e il racconto delle apparizioni. Sono due
fatti che si illuminano a vicenda. Le apparizioni sono vere, non sono delle
allucinazioni, sono vere dimostrando i fatti. E per non rimanere sui fatti, i fatti
hanno un’origine.
Quello che ci dice Don Giussani è la documentazione di quello che è il
cristianesimo, la portata dal punto di vista metodologico del tema: dalla fede il
metodo. La permanenza di Cristo, o il cristianesimo è avvenimento o non è più
cristianesimo anche se usiamo le stesse parole.
Ciascuno di noi dopo la scomparsa di Don Giussani può vedere cosa sta
succedendo. E’ questa la modalità attraverso cui lui permane e continua ad
accompagnarci, altro che solo testi, ricordi. Questo non può e non deve voler
dire svuotare il passato che mi ha portato fin qui. Esso appartiene ad un unico
disegno. La persona di Don Giussani non appartiene al passato. Con questi fatti
davanti ai nostri occhi, possiamo affrontare la domanda: come permane? Che
tante volte ha dentro una incertezza, come io lo faccio permanere, come
faccio permanere l’avvenimento che mi ha preso.
Molti di noi raccontano un mare di vita e di bene, hanno visto un miracolo che
hanno paura di perdere, e si chiedono come far permanere questa cosa.
In Don Giussani non c’è traccia di questa preoccupazione. In Don Giussani
questa domanda parte da una certezza. Lui permane non come discorso, ma
come evento di una umanità cambiata e il metodo è sempre lo stesso,
l’imbattersi in una diversità umana.

Noi partiamo da una incertezza, non abbiamo capito cosa ci è successo, per
noi la fede non è percorso di conoscenza e c’è ancora la frattura tra sapere e
credere. A come permane ci pensa Cristo risorto. A noi tocca riconoscerlo ogni
volta che ci capita.
Per questo il cristianesimo vissuto così è una cosa da brividi. E la nostra libertà si
sente sfidata solo da questa diversità presente.
Questa contemporaneità ci mette davanti ad un’alternativa: o aggrapparsi al
già saputo, al possesso di certi testi o l’apertura all’imprevisto rendendoci
disponibili a quello che Cristo fa oggi, alla modalità sempre nuova in cui Lui si
manifesta. Perché davanti al nuovo c’è sempre la paura. Perché questo Tu sei
o Cristo, il nuovo che si affaccia nella vita.
Parabola dei 2 figli, vai a lavorare nella vigna, si ma non andò, l’altro non ne
aveva voglia, ma ci andò. I sommi sacerdoti all’inizio avevano detto sì e poi no,
i pubblicani invece dicevano no davanti alla legge, ma hanno detto si davanti
a Lui.
Noi corriamo questo rischio, dobbiamo decidere perché noi potremmo pensare
di sapere già la strada? O possiamo essere come i pubblicani, perché la storia
che abbiamo vissuto può essere come qualcosa che ci viene contro se non
siamo disponibili a quello che accade ora. Ti benedico perché hai tenuto
nascosto queste cose ai sapienti e gli intelligenti e le hai rivelate ai piccoli. I
semplici sono i veri intelligenti per i quali il passato ha prodotto una apertura a
qualcosa che sta accadendo ora. La verifica di questo passato si realizza
sempre nel presente. Sono disponibile al carisma come si documenta davanti
a me ora? Permane attraverso la stessa modalità, la diversità umana che
accade ora, siamo disponibili? Per questo non abbiamo bisogno di interpreti,
ma di testimoni, il cambiamento che succede ora. Altrimenti rimaniamo
incastrati nei nostri pensieri, facciamo la sdc contro il metodo che la sdc ci
documenta.
“L’aspetto importante della sdc è che qualcuno insegni, qualcuno in cui
l’impatto iniziale si rinnovi e si dilati, come spunto per il rinnovarsi della prima
sorpresa e non svolga un ruolo o un compito. Non si può comunicare una
esperienza con una coscienza come ruolo, come chi vuole insegnare perché
chi insegna è solo lo Spirito di Dio” (Dalla fede il metodo)
Nel cristianesimo il contenuto e il metodo coincidono. Nel mistero
dell’incarnazione del Verbo sta sia il contenuto che il metodo dell’annuncio
cristiano. E questo è il nostro bisogno, e può dare risposta al bisogno che hanno
gli altri che ci incontrano.
La sua presenza permane nella storia in chi ha questa attrattiva nel modo di
vivere.
Il Concilio Vaticano II lo dice parlando del testimone, trasformati dall’immagine
di Cristo.

La condizione per diventare testimoni è seguire quello che accade.
I discepoli prendevano parte dell’avvenimento di Cristo con quello che
accadeva, nel riconoscimento di Lui all’opera.
Occorre che riaccada quello che è accaduto in principio, non come è
accaduto in principio. Solo seguendo questo diventiamo testimoni nel presente
di quello che accade ora.
Non è compagnia se non è obbedienza. La compagnia non è fatta da chi
conduce, ma dallo Spirito. Non è una persona che si segue, ma l’esperienza
che quella persona vive, non la persona. Il personalismo è il malanno di
qualsiasi associazione.
2. Il segno del superamento tra sapere e credere è raggiungere una certezza su
quella presenza che possa sostenere la vita.
E questo si vede dalla speranza. La speranza è concepita come una capacità
nostra e quando arriviamo alla consapevolezza che non ce la facciamo la
speranza crolla. Usiamo la sdc contro il metodo che ci indica.
Il libro non protesta contro la nostra riduzione, per questo occorrono dei
testimoni che protestano contro questa riduzione. Quando vediamo crollare le
nostre risorse rimane solo la parola “chissà” il termine della sicurezza naturale. Il
test della fede è la speranza. Riconoscere una presenza presente.
La resurrezione non è un mito, un sogno, ma un evento unico e irripetibile. Gesù
di Nazareth ha lasciato vittorioso la tomba.
Se Cristo non fosse risorto il vuoto avrebbe il sopravvento e ogni speranza
rimane un’illusione. Per questo non ci sarebbe speranza. E’ solo perché è
risorto, perché c’è che possiamo adesso guardare la grande domanda: questi
desideri che ho nel mio cuore saranno soddisfatti si o no? Questi desideri fatti
secondo le esigenze del cuore, dell’infinito, possono essere sicuri di essere
attuati solo in quanto uno è disponibile ad abbandonarsi alla presenza di Cristo
risorto.
Le esigenze del cuore dicono che la risposta c’è ma la certezza deriva dalla
presenza riconosciuta dalla fede. La forma della risposta al desiderio di
ciascuno di noi è Cristo stesso. Egli solo è capace di esaurire il desiderio di
felicità, null’altro è in grado di soddisfarci realmente. Perciò la speranza è il
compimento della affezione perché Lui solo è il compimento del desiderio.
Occorre festeggiare Cristo, che esiste un termine ultimo di felicità che è
diventato uomo. Lo può festeggiare colui che si rende conto della vera natura
del desiderio del cuore.
Una delle difficoltà più grandi è stato il passaggio della incertezza inevitabile.
La modalità con cui la certezza della speranza è in noi lascia come un dubbio,
che non è dubbio perché è incertezza perché non sappiamo delineare come
sarà questo futuro.

L’alternativa è tra abbandonarsi o cercare da noi la soluzione. La vita che si
abbandona è una vita dove la letizia domina, non c’è lamento che ingombra
il cuore e rende pesante la vita di coloro che ci circondano.
Il luogo di questo avvenimento della speranza è una compagnia ecclesiale,
gente che si mette insieme per Cristo.
La certezza di quello che ho incontrato o è intelligente, cosciente dei suoi
motivi e valori o no, e in questo caso ho paura del futuro. Se la fede non è
conoscenza ho paura del futuro. Se si vive la compagnia come utopia ho
paura del futuro. Se la compagnia la vivo come luogo riconosciuto dove la
ragione e la libertà trovano la loro difesa, il loro appoggio allora non vince la
paura. La compagnia non è risparmiarci la ragione e la libertà, ma il luogo
dove trovano la loro difesa e appoggio. Se la compagnia è rapporto con
Cristo ti rende certo.
C’è un modo di stare insieme che non è giusto, non è adeguato. Per questo
dobbiamo stare insieme per questa difesa della ragione che ci aiuti a superare
la frattura tra il saper e il credere.
Il superamento ultimo di questa frattura è nel modo di concepire la nostra
espressione culturale. Se volete capire se la fede è vera conoscenza, se si
supera la frattura tra sapere e credere dobbiamo guardare come entriamo nel
reale e ci rapportiamo a tutto e questo è ciò che chiamiamo cultura. Se rimane
il dualismo tra sapere e credere nel modo di guardare la moglie, la malattia,
vuol dire che siamo come tutti.
Se a dominare questo sguardo è la fede allora la vita è un’altra cosa. Perché la
cultura non può non nascere se non da un gusto del vivere. Noi facciamo
cultura nuova nella misura in cui la nostra esperienza del vivere fiorisce. Non è
questione di erudizione.
“Colui che è tutto ha bisogno di colui che non è niente, Colui che è tutto non è
niente senza colui che è niente”(Peguy)
Domenica mattina
D Cosa è la corrispondenza.
Carron Se non capiamo cosa è l’esperienza non abbiamo lo strumento della
strada per fare un cammino umano. E da qui vengono tutti i nostri guai. Se
quello che vediamo non è giudicato niente è utile e non facciamo un
cammino umano. Questa è stata per ma la questione più rilevante
nell’incontro con il movimento, che metteva nelle mie mani il criterio per fare
un cammino umano. Noi l’esperienza la riduciamo a provare. Ma se per
esempio, facciamo il compito di matematica come sapete se avete trovato la
soluzione? Provare dopo aver fatto non implica la sicurezza di avere imparato
niente. La vita può essere un insieme di prove e di tentativi senza imparare

niente. L’esperienza ha bisogno di un giudizio. Quindi paragonare il compito di
matematica con la soluzione del professore. Senza giudicare non si capisce e
non si può essere certi.
Per emettere un giudizio occorre un criterio di giudizio. Ma c’è qualche
professore che può diventare il criterio di giudizio per quello che provo nella
mia vita? Spesso affidiamo a un guru il nostro criterio di giudizio e così noi siamo
schiavi di un altro, alienati. Se togliamo alla persona il criterio di giudizio le
togliamo la dignità. E c’è una modalità di stare tra noi che è questa: tu non
capisci, te lo spiego io.
Qual è il criterio del giudizio? Non può essere fuori di noi, ma dentro di noi.
Allora ciascuno decide? Il criterio del giudizio non lo decidiamo noi, come non
decidiamo il numero delle scarpe. Il criterio è in me, ma non lo decido io.
Dobbiamo sottometterci al criterio che ci troviamo. Il piede grida che non è
questo, se è piccola la scarpa.
E questo è soggettivo? Qual è il criterio di giudizio per entrare in tutto?
L’esperienza elementare, insieme di esigenze che costituiscono il nostro volto
umano, il cuore. Questo è un criterio oggettivo e dobbiamo rintracciare
nell’esperienza esempi di questo. Tante volte il lavoro, la festa sono andati
bene e torniamo a casa tristi, non ci bastano. E’ così oggettivo che se non
trovo corrispondenza non sono a posto.
Per questo la parola chiave è la corrispondenza. Io ho dentro di me il criterio
per capire cosa corrisponde all’esigenza del mio cuore.
Noi confondiamo il provare con la corrispondenza e così tra noi giustifichiamo
qualsiasi istintività. E questo è sbagliato per te, non per la morale, ma perché
finisci nel nichilismo e questo è molto peggio. Provare la nostalgia o il desiderio
di avere, così non è esperienza.
Facciamo confusione sulla parola corrispondenza. Es. nel matrimonio in cui si
pensa che l’altro ti rende felice. Ma la mia esigenza di felicità è più grande di
tutto l’universo.
Provare l’insufficienza è la questione più grande della vita, per questo Don
Giussani ci invitava a leggere Leopardi, suo compagno e amico a 13 anni.
Tutto è poco, piccino per le capacità dell’animo, la moglie, il lavoro, tutto è
poco. Quindi scambiare questa corrispondenza non è solo fare il male, non è
non essere coerente con la norma morale, ma il problema è che sbaglio
perché non troverò niente che corrisponde all’esigenza di felicità. Vogliamo
prendere sul serio il nostro umano o vogliamo fare ciò che ci pare e piace?
Se abbiamo questa affezione a noi stessi, se vogliamo il nostro bene, dei nostri
figli, se non facciamo esperienza non possiamo capire la differenza tra le nostre
immagini e Cristo. Se è solo ciò che mi pare e piace, Cristo è un pensiero che
mi piace o meno e non è ciò che rende possibile l’unica vera corrispondenza,
impossibile all’uomo se non Lo trova.

Resistiamo a riconoscere ciò che veramente ci corrisponde, abbiamo bisogno
di giustificare qualsiasi nostra istintività, e andiamo dietro alla prima che passa
per la strada in nome della corrispondenza.
D Manca l’umano. Cosa significa avere l’umano?
Carron Le esigenze non nascono in ciò che provo, ma in me impegnato in ciò
che provo. Per questo occorre l’umano. Se riduco l’umano a ciò che mi pare e
piace è il crescere della confusione. Per andare dietro alle cose che ci pare e
piacciono dobbiamo negare l’esperienza della non corrispondenza che
facciamo. Per la confusione in cui ci troviamo a vivere occorre un lavoro serio,
altrimenti siamo sempre più confusi. Ma non è lo stesso perché quando
facciamo ciò che ci pare e piace non siamo contenti perché non corrisponde
alla nostra esigenza di infinito.
Come si distingue? Essendo leali con l’esperienza. Lo sapete voi quando siete
contenti o no. Se non giudichiamo rimaniamo sempre più confusi.
D Il lavoro dell’ascesi.
Carron E’ quello di cui parlo sempre, l’unico lavoro da fare è giudicare. Se non
giudichiamo rimaniamo sempre più confusi e incastrati. Non è solo fare la sdc
ma giudicare in continuazione quello che accade. Altrimenti ripetiamo frasi di
Don Giussani senza capire e poi ci stufiamo perché questo non cambia la vita.
Altrimenti il carisma è morto e sepolto perché quello che ci ha comunicato
Don Giussani come esperienza non lo facciamo.
Siamo disponibili a fare questo lavoro alla fine degli esercizi?
La compagnia ci sostiene se invece di spiegarcelo ci sfida. Venite e vedete,
giudicate voi. Gesù parte dal presupposto che gli apostoli non siano scemi per
capire se quello che vedono corrisponde o no. Così come ha detto a
Cafarnao: anche voi volete andarvene? Gesù corre il rischio di rimanere da
solo, ma non risparmia agli apostoli il lavoro, altrimenti avrebbero potuto
rimanere ma senza capire. Gesù fa uscire dalle loro viscere il perché del loro
rimanere. Questa consapevolezza è venuta fuori da uno che è veramente un
amico. Non glielo ha spiegato, li ha sfidati e i discepoli sono rimasti con una
certezza che non avevano.
Noi siamo amici così? Don Giussani prende sul serio i fattori che ci sono dati, è
leale e ci sfida, come Gesù verso i discepoli.
Non rimarremo cristiani, la nostra fede avrà una data di scadenza se non
facciamo questo, perché non sappiamo perché siamo qui e quando
cambiamo l’umore pensiamo che da un’altra parte si sta meglio.
D Umanità precondizione o è l’incontro con Cristo che ha fatto fiorire la mia
umanità?

Carron Per riconoscere la diversità di Cristo occorre in contemporanea l’umano
e questo lo abbiamo tutti. Per questo possiamo trovare chi ci corrisponde.
Ognuno di noi qui ha visto che nell’incontro con certe persone la vita poteva
essere più bella e più umana. Questa pre-condizione esiste perché Dio ci ha
fatto con questo cuore, perché potessimo riconoscerlo quando lo incontriamo.
Ci ha fatto per una convivenza con Lui. Il nostro io è questo desiderio di
pienezza che trova risposta nell’unico che corrisponde. Questo paragone uno
lo fa in fretta, tra l’esigenza di bellezza che ha e quello che incontra.
E l’incontro con Cristo fa fiorire ancora l’umano. Quello che mi stupisce è che
dopo rimaniamo ancora confusi. Invece dovremmo essere più in grado di
cogliere la corrispondenza. Quanto più uno vive l’esperienza cristiana, più
viene fuori l’ampiezza del desiderio. Per questo stupisce che poi diciamo che
qualsiasi cosa ci corrisponde.
Questo fiorire dell’io non è in contraddizione con la precondizione.
La memoria di Cristo non è aggiungere una cosa. Ma come fai a vivere
piuttosto senza fare memoria di Cristo, dopo averlo incontrato e visto che è
l’unico che soddisfa la vita? Come puoi vivere senza fare silenzio? La tua
presenza mi riempie di silenzio, uno resta senza parole come davanti ad
un’esperienza che colpisce così tanto. Il silenzio cristiano nasce dalla pienezza
di quella presenza. Se non viviamo il silenzio non è che non facciamo i bravi
ciellini, ma il problema è che non è successo niente che ci riempie di silenzio.
Non sono precetti.
D Cosa vuol dire che la risposta al desiderio è Cristo stesso?
Carron Che quello che veramente desidero è quello che vi ho detto. Noi
confondiamo i desideri con qualcosa di ridotto, il lavoro, i figli..Se non capiamo
che quello che desideriamo è l’infinito perché dobbiamo essere cristiani e
perdere tempo a stare qua? Se non pensiamo che il Mistero ci ha fatto per
riempirci di una felicità che ci colma al di là di tutte le nostre previsioni, è inutile
essere qui, essere cristiani. Non abbiamo capito la portata dell’incontro con
Cristo e non abbiamo chiaro la ragionevolezza del cristianesimo.
Quello che cerchiamo nei piaceri è l’infinito. Possiamo avere tutto quello che
vogliamo, ma non ci basta. Quello che desideriamo è più grande di quello che
riusciamo a ottenere, perché quello che facciamo è piccolo, limitato,
incapace a riempire il nostro cuore. L’unico che può festeggiare Cristo è chi
capisce la natura del desiderio (come Leopardi, S. Agostino o la Samaritana).
Se non capiamo questo non capiamo che grazia è stata incontrare Cristo.
Noi lo abbiamo ricevuto per grazia, ma è come se non lo avessimo ricevuto,
pensando che qualsiasi altra cosa possa rispondere alla profondità della
portata di questo desiderio. O facciamo questo lavoro o non potremo essere

contenti, non ci riempirà di gioia il fatto che ci sia Cristo e la grazia di avere
incontrato Don Giussani.
D Uno non segue la persona, ma l’esperienza.
Carron Don Giussani ci ha comunicato un esperienza e io vi comunico
un’esperienza anche se domani tradisco. Uno segue l’esperienza dell’altro che
te la comunica come può, a tentoni. Non si segue perché lo ha detto il capo,
non è umano questo. Ma seguiamo in modo che siano nostre queste
esperienze, che diventino mie, fino a quando uno segue se stesso colpito
dall’esperienza di un altro. Se non facciamo questo ripetiamo Don Giussani, ma
non facciamo la sua esperienza.

D Se il cristianesimo è avvenimento che senso ha impegnarsi?

Carron Vicenda della cultura: siamo stati sfidati con la vicenda di Eluana, ecc.
Sono circostanze che ci sfidano. Noi abbiamo difeso il valore della vita. Se
ciascuno di noi fosse stato in quella situazione sarebbe bastato difendere la
vita?

Per difendere la vita Don Giussani non è che non abbia detto
l’importanza dell’uomo, ma ci ha comunicato una febbre di vita e Cristo per
spiegarci cosa è la vita è diventato carne, i concetti sono diventati carne e
sangue. Il movimento ci ha riempito di significato, ma noi con gli altri vogliamo
applicare un altro metodo, non abbiamo capito la portata conoscitiva
dell’incontro. L’amore alla vita ci viene dall’incontro fatto.
Guardini: “Dall’inizio del tempo moderno si è creata una cultura non cristiana.”
Si è voluto fare un cristianesimo senza Cristo. “ Ma quei valori sono legati al
cristianesimo” . Cosa avremmo detto di Eluana se non avessimo incontrato il
cristianesimo? “L’uomo diviene consapevole di valori che per sé sono evidenti
ma divengono visibili solo in quell’atmosfera”. Noi cerchiamo di bastonare gli
altri con i valori pensando che capiscono. Ma noi non l’avremmo capito così.
E’ diventato carne perché non avremmo capito. Non è che non sono veri i
valori, ma la strada per capirli è solo riconoscendo Cristo. “Negli ultimi anni si è
rivelato un vuoto. Il tempo che viene creerà una chiarezza terribile, ma
salutare. E’ bene che si metta a nudo quella slealtà della cultura moderna
poiché allora si vedrà qual è effettivamente la realtà, quando l’uomo si è
staccato dalla rivelazione e vengono a cessare i suoi frutti.” E oggi sono già
venuti meno anche i valori, non solo il cristianesimo. “L’ambiguità verrà a
cessare e porterà una purificazione e un approfondimento della fede. La fede
sarà capace di resistere nel pericolo, ma questo suppone una maturità del
giudizio e una libertà dell’azione”.
Don Giussani aveva capito questo, e noi non dobbiamo solo difendere i valori,
ma creare il movimento, un ambito. E questo si chiama testimonianza. Se no
non siamo leali nella modalità con la quale il mistero si è introdotto. E’ solo
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all’interno di questo avvenimento di vita che si possono far capire e restare in
noi e negli altri i valori.
Ciò che distrugge il dualismo è l’amore a Cristo. Se viene a mancare la fede
emergono giudizi di valori parziali e questo divide. Se viene distrutto il dualismo
avviene una presenza culturale, una diversità. Proporre l’avvenimento cristiano
in tutta la sua interezza esplicitando persino i valori.
Per questo ci interessano le elezioni europee, per difendere la libertas
ecclesiae. Non perché pensiamo che una legge possa risolvere. Ci interessa
poter difendere la libertas ecclesiae per fare una esperienza di vita che ci
consente di recuperare i valori che si sono persi. Ci giochiamo la libertà di
vivere l’esperienza che facciamo.


Posted by Tiziana Caggioni at 0.21



1 commento:

Anonymous ha detto...

cara Tiziana, sei più noiosa nel blog che di persona, cmq tanti auguri a Giovannino per la sua prima comunione.
ci vediamo in campeggio, naturalmente mi piace prenderti in giro, saluti Michele