lunedì 11 maggio 2009

SUL SENSO RELIGIOSO DI GIOVANNI MONTINI E LUIGI GIUSSANI

....Giovanni Battista Montini e don Luigi Giussani. Che nel 1957 si ritrovarono accomunati dalla riflessione “sul senso religioso” come “struttura fondamentale” dell’esperienza umana e allo stesso tempo come strumento per leggere drammaticamente – non moralisticamente – il fenomeno della secolarizzazione per come si andava sedimentando in quel momento storico....


11 maggio 2009
il foglio.it

Bur, 144 pp., 8,20 euro
Non erano passati quindici anni dalla sentenza (di morte) di Jean-Paul Sartre sull’uomo come “passione inutile”. A metà degli anni Cinquanta la nuova fase della secolarizzazione – quella del nichilismo esistenzialista e dell’ateismo militante – aveva già intaccato alla radice quel che restava del cristianesimo come fede viva e organica e ancor più come visione filosofica e antropologica. Quello di Sartre era ormai “il plafond concettuale che starà dietro alle teorie della secolarizzazione degli anni Sessanta-Settanta”.


Di questa avvenuta tabula rasa, premessa alla débâcle del decennio successivo, non in molti nella chiesa avevano coscienza chiara. Non così due personalità differenti, ma in questo molto affini, come l’allora arcivescovo di Milano Giovanni Battista Montini e don Luigi Giussani. Che nel 1957 si ritrovarono accomunati dalla riflessione “sul senso religioso” come “struttura fondamentale” dell’esperienza umana e allo stesso tempo come strumento per leggere drammaticamente – non moralisticamente – il fenomeno della secolarizzazione per come si andava sedimentando in quel momento storico.
Le riflessioni del futuro Paolo VI e del brillante teologo ambrosiano, che aveva da poco iniziato nelle scuole milanesi la presenza educativa da cui sarebbe nata Cl, sono ripresentate in un libro appena pubblicato da Rizzoli, “Sul senso religioso”, esplicito nel suo intento già dall’accostamento in copertina del nome dei due autori. Ma è un accostamento tutt’altro che arbitrario o forzato, come spiega dettagliatamente Massimo Borghesi nel saggio introduttivo del volume. Si tratta della riproposizione di due testi oggi pressoché sconosciuti, usciti a breve distanza di tempo. Il primo è la lettera pastorale per la Quaresima del 1957 dell’arcivescovo di Milano. Il secondo è la prima stesura, fortemente debitrice al testo di Montini fin nella scelta di alcune parole-chiave, di quel “Senso religioso” che – ripubblicato dieci anni più tardi e ampliato ancora vent’anni dopo – sarà uno dei testi più importanti e originali dell’insegnamento di don Giussani.
Borghesi chiarisce come fosse inusuale che un arcivescovo, in quegli anni, parlasse in una lettera quaresimale di “senso religioso”, un tema che la teologia corrente ancora teneva in sospetto di modernismo. Ma Montini e Giussani non erano i soli ad aver intuito la necessità di un approccio razionale nuovo e convincente alla religiosità, che sapesse reggere la sfida della secolarizzazione e dell’ateismo. Un riferimento importante erano stati gli studi in materia di Jean Danielou, uno dei protagonisti, con padre Henri de Lubac, della Théologie Nouvelle e fondatore delle “Source Chrétienne” tanto care anche al futuro Benedetto XVI. Un altro era il teologo domenicano Cornelio Fabro, che da tempo rifletteva sul fondamento razionale della “dimensione religiosa come dimensione pre-filosofica, originaria dell’uomo”. Così Montini, coniando la celebre definizione del senso religioso come “sintesi dello spirito”, che sarà subito ripresa e sviluppata da Giussani come “capacità della nostra natura di domandarsi il significato esauriente dell’esistenza e della realtà”, compiva un passo nuovo e decisivo nel rapporto tra la chiesa e il mondo moderno. Per Montini, spiega Borghesi, “la religione costituisce una ‘struttura fondamentale’ dello spirito”, “connaturale ed essenziale ad esso”. E la riscoperta di tale dimensione come tutt’altro che una “passione inutile” era “la risposta di Montini non solo al formalismo dei cristiani tiepidi, ma anche alla cultura del tempo, profondamente permeata dall’idea che la dimensione religiosa costituisca il ‘passato’ del moderno”. Diversamente da allora, oggi la secolarizzazione va di pari passo non con la negazione di Dio ma con il supermercato religioso, l’idea irrazionalista che “si possa accedere, per vie più o meno intuitive, all’idea e alla presenza di Dio”. Ma le basi filosofiche di questo processo erano già state colte e analizzate, nel 1957, dal futuro Paolo VI e da Giussani.

di Maurizio Crippa

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