mercoledì 6 ottobre 2010

PADRE ALDO TRENTO

....La tua lettera mi ha fatto piangere caro amico e compagno d’avventura in questa valle di lacrime. La mia prima reazione, nel leggere tutto ciò che la vita ti ha “regalato”, è stata quella di Gesù nel Getsemani: «Padre, se puoi allontana da questo amico un calice amaro e pieno di dolore, e dagli l’energia di respirare, dagli la dolcezza della tua compagnia, che necessita come l’aria che respira. Signore, io ti offro la mia vita, quella dei miei pazienti, se può servire ad alleviare la pesante croce che hai posto sulle sue spalle». Caro amico, raramente ho sentito una storia tragica come la tua, e poche volte ho incontrato persone che, pur vivendo la disperazione più profonda, continuano a lottare perché aggrappati a un punto fermo.....


....Di fronte al dolore abbiamo due possibilità: o dare le spalle a ciò che il cuore chiede e rimanere bloccati nell’oscurità delle tenebre, o dare le spalle all’oscurità e guardare quei raggi di sole che stanno albeggiando, proprio davanti ai nostri occhi. Sei grande, caro amico, quando scrivi: «… però c’è anche qualcosa di buono nella mia vita…». Don Giussani ci parlava spesso di un fatto successo agli apostoli. Camminando con Gesù si imbatterono nella carcassa putrida di un cane. Al disgusto e alla nausea che suscitava negli apostoli quella vista, si contrappose Gesù con una frase carica di stupore: «Guardate che belli i denti bianchi di questo cane imputridito». Gesù indicò la positività della realtà, così come tu, nel tuo immenso dolore, sostenuto dagli amici, stai sperimentando. «Esiste anche qualcosa di buono».......



Il nostro compito è gridare a Dio di rivelarsi
Ogni circostanza è un dono
di Aldo Trento
TEMPI 30 SETTEMBRE 2010
Padre Aldo,
ho 43 anni e vivo in una comunità terapeutica. Leggo i tuoi articoli su Tempi, a volte su Tracce e ho ascoltato il tuo intervento al Meeting. Da molti anni prendo degli psicofarmaci:


prima solo ansiolitici e antidepressivi, poi anche antiepilettici. Ora al posto degli antidepressivi prendo antipsicotici. In questa comunità mi ha mandato un amico. Il responsabile di questo centro, oltre a essere un caro amico, è anche lo psichiatra che mi segue. Lavoro facendo un po’ di tutto, aiutando chi sta peggio di me. In questi anni ho fatto molti casini, ho anche tentato di suicidarmi. Non ho mai desiderato vivere, Dio mi ha costretto a stare qui, ma non mi sento proprio di ringraziarlo per questa vita. Quando ero piccolo mia madre tentò il suicidio. A causa di violenze carnali che aveva subito da bambina è diventata matta e poi alcolizzata. Non ho odiato nessuno più di lei, ma ora le voglio bene: è guarita, ha smesso di bere e dice tre rosari al giorno. La mia infanzia è stata un inferno. Sono entrato in collegio da piccolo. Qualche anno dopo mio padre morì, ma non versai una lacrima perché avevo già capito il non senso e l’assurdità di quella vita allucinante. Mia madre si ubriacava ogni giorno. Poi anch’io per qualche anno sono diventato un alcolizzato. Mio zio e mio nonno si sono suicidati. Un’altra mia parente diventò una prostituta e, ammalatasi di sifilide, trascorse 35 anni in manicomio. Così, come avrai intuito da queste premesse, sono diventato matto anch’io. Ho avuto però la fortuna di incontrare un amico che mi ha fatto conoscere questa comunità nella quale mi sento amato. Qui dove vivo, ho incontrato la madre dei miei figli. Dopo otto anni di convivenza ci siamo sposati. Due anni fa mi ha mollato, se ne è andata ad abitare con un altro uomo da cui ha avuto un altro bambino. La mia ex moglie mi ha ucciso due bambini abortendo contro la mia volontà. Lei non è cristiana, non crede (anche se ho fatto di tutto in questi anni per farle incontrare Cristo). E così ora sono qua, coi miei due bambini con cui, grazie a Dio, posso stare qualche giorno. Ma come faccio a non pensare che il resto della settimana vivono con l’uomo che mi ha portato via la moglie? Io cerco di perdonare, ma a certe cose non riesco proprio a non pensare. Dove lavoro c’è gente che ha vissuto e vive una vita d’inferno, molto peggio della mia. Ma quando uno sta male non è consolante sapere che altri stanno peggio di lui. Se potessi sceglierei di svanire nel nulla eterno. Per fortuna, essendo cristiano, ho Qualcuno con cui arrabbiarmi e a cui rinfacciare tutta la mia infelicità, il mio fallimento, la mia incoerenza. Come ti ho già detto, appartengo a questa comunità, ma anche questo a volte è fonte di tormento e di sofferenza. A volte Cristo non riesco proprio a vederlo. Hai già scritto di come è avvenuto per te il miracolo e del fatto che tu sia passato dalla maledizione al riconoscimento di Cristo “che ti fa”. Vorrei chiederti se è stato uno sforzo tuo, un cambiamento tuo o, invece, una grazia, un regalo che ti ha fatto Dio a un certo punto. Perché io non riesco a capire cosa devo fare. Voglio vivere anch’io questa sofferenza come fai tu, con questo sguardo nuovo, che riconosce Dio. Le disgrazie ci sono o ci sono state, ma c’è anche qualcosa di buono nella mia vita. Vorrei capire e riuscire a vivere in questa maniera diversa di cui tu e altri parlate. Come faccio, padre Aldo, puoi dirmi qualcosa? Forse le stesse cose che hai già detto ma che io non riesco a capire?
Grazie.
Lettera firmata


La tua lettera mi ha fatto piangere caro amico e compagno d’avventura in questa valle di lacrime. La mia prima reazione, nel leggere tutto ciò che la vita ti ha “regalato”, è stata quella di Gesù nel Getsemani: «Padre, se puoi allontana da questo amico un calice amaro e pieno di dolore, e dagli l’energia di respirare, dagli la dolcezza della tua compagnia, che necessita come l’aria che respira. Signore, io ti offro la mia vita, quella dei miei pazienti, se può servire ad alleviare la pesante croce che hai posto sulle sue spalle». Caro amico, raramente ho sentito una storia tragica come la tua, e poche volte ho incontrato persone che, pur vivendo la disperazione più profonda, continuano a lottare perché aggrappati a un punto fermo.
Quel punto fermo, per te come per me, è rappresentato da alcuni volti che il Mistero ci ha messo a fianco per mantenere accesa la fiammella della speranza che illumina le tenebre della vita. Quello che racconti mi lascia senza parole, o meglio, mi lascia con una grande domanda. Perché tanto dolore in un solo uomo? La vita, la tua vita, sembra una maledizione, una punizione. Perché Dio permette questo calvario? Queste sono le domande che la realtà mi stimola ogni giorno, quando accolgo tante persone con storie come la tua, se non peggiori. Una vita così non avrebbe senso – e lo dico con il cuore spezzato in due e schiacciato dal dolore – se non riuscissimo, aiutati da qualcuno che cammina accanto a noi, a dire: «Tu, oh Cristo mio». È quanto mi è successo mentre in lunghi anni di dolore, ribellione, rabbia, solitudine e imprecando, per pura grazia, queste parole sono andate maturando in me come coscienza.

Cosa guardare di fronte al dolore
Di fronte al dolore abbiamo due possibilità: o dare le spalle a ciò che il cuore chiede e rimanere bloccati nell’oscurità delle tenebre, o dare le spalle all’oscurità e guardare quei raggi di sole che stanno albeggiando, proprio davanti ai nostri occhi. Sei grande, caro amico, quando scrivi: «… però c’è anche qualcosa di buono nella mia vita…». Don Giussani ci parlava spesso di un fatto successo agli apostoli. Camminando con Gesù si imbatterono nella carcassa putrida di un cane. Al disgusto e alla nausea che suscitava negli apostoli quella vista, si contrappose Gesù con una frase carica di stupore: «Guardate che belli i denti bianchi di questo cane imputridito». Gesù indicò la positività della realtà, così come tu, nel tuo immenso dolore, sostenuto dagli amici, stai sperimentando. «Esiste anche qualcosa di buono». E cos’è questo buono, che anch’io, mentre bestemmiavo, riconoscevo? Rispondo con le lacrime agli occhi, perché non voglio darti in risposta una formula. Ti offro la mia carne, anche se ancora sanguinante per il dolore che ogni giorno vivo. Che commozione dirti, amico mio, che questo “qualcosa di buono” è il dolce nome di Gesù. Questo nome che ho imparato lentamente a pronunciare, a sentire familiare, fino al punto che non posso stare un secondo senza invocarlo, senza guardarlo, senza dire: «Tu, o Cristo mio». Che importa quello che è stato il passato. Quel che importa è ciò che in ogni istante permette alla mia libertà di dire: «Tu, oh Cristo mio». Potrei perdere tutto, finire in un manicomio o ammalarmi, ma niente e nessuno potrebbe impedirmi di dire: «Tu, oh Cristo mio». Questa certezza permette di guardarmi con tenerezza, di alzarmi con un sorriso al solo pensare di essere una creatura: «Io sono Tu che mi fai». Questa certezza mi aiuta a vivere con i malati di mente che sono ricoverati nell’ospedale. Partire da questa ipotesi positiva, pur nelle circostanze peggiori, fa fare esperienza della vittoria di Cristo. Guarda dritto le tenebre che avvolgono la tua vita caro amico. Tutti assieme vedremo ancora meglio quel raggio di luce che appare sempre all’orizzonte, mentre cammineremo fianco a fianco, amando il nostro destino. Tu sei come Pietro quando quella notte, sulla riva del lago, era terrorizzato da quello che credeva essere un fantasma. Ma quando Giovanni gli disse che era il Signore risorto si buttò in acqua per andargli incontro. Soltanto all’interno di una compagnia che ti richiama alla realtà è possibile, nel tempo, vivere con serenità la malattia.

Nessuno viene abbandonato

Nel corso della mia vita, come dice la Bibbia, «non ho mai visto il giusto abbandonato da Dio». Chi è il giusto? Semplicemente chi, come te, riconosce che nella sua vita esiste qualcosa di buono, e cioè il cuore, mendicante di Cristo. Nella clinica conservo la reliquia del papà di santa Teresina del Bambin Gesù, una chiara testimonianza del fatto che nemmeno la pazzia (entrava e usciva dalla clinica psichiatrica) gli impedì di essere santo. Vale a dire, di amare Cristo. E di affermare, nei momenti di lucidità: «Tu, oh Cristo mio». Dio, e l’ho sperimentato nella mia vita e in quella dei miei malati di mente, non toglie mai all’uomo, nemmeno per un istante, la libertà di riconoscerlo e di amarlo. Sta a noi riuscire a gridare sempre: «Dio, se esisti, rivelati a me». Dio nella sua infinita misericordia ci regala il dolce nome di Gesù, ci invita non solo a non disperare per le prove che la vita ci mette di fronte, ma anche a riconoscere che qualsiasi circostanza – e lo dico tremando – è sempre un regalo, perché ci dà la possibilità di entrare in stretta relazione con lui. La vita, qualsiasi sia la nostra situazione, è il canto più bello che possiamo invocare al dolce nome di Gesù. Forza. Tutti noi preghiamo per te.


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