martedì 2 novembre 2010

MARTA :IO AMO TUTTA LA MIA VITA

.... La vita è gioia e dolore ed è così perché l'ha fatta così Gesù, è per questo che dico sì alla mia malattia. Uno si lava, si veste bene, sceglie delle cose belle, ha cura di sé perché un Altro ha cura di lui.
Questo succede per grazia, lo devi chiedere tutti i giorni e chiedere che ti dia pace. La felicità la vivremo in Paradiso, qui possiamo chiedere che ci faccia vivere con pace....

Marta, insegnante di sostegno in una scuola media, è morta venerdì scorso, a 27 anni, per un tumore. Negli ultimi mesi, costretta a letto dalla malattia, ha toccato la vita di tanti: «Attraverso il tuo sì, Dio ci ha presi per mano», come ha detto don Giuliano Renzi ai suoi funerali. Riportiamo un dialogo con il padre Giorgio nelle notti trascorse in ospedale, il suo saluto ai funerali, l'omelia ai funerali e quella di don Stefano Alberto al San Raffaele

GIORGIO: Marta, chi è Gesù per te?

MARTA: Eccolo, smettila con i ragionamenti, smetti di ragionare. Gesù è "Io sono Tu che mi fai". La cosa più evidente è che siamo oggetto di un amore infinito, un Altro ti ha voluto e ti vuole bene. Guarda, guarda quello che hai! Vivi! Guarda la realtà tutta, non servono tanti ragionamenti, guarda, è come quando fai la piadina, hai l'impasto fra le mani.
Per essere felici occorre amare Lui più di tutto, sopra ogni cosa e questo ti fa amare tutto, più intensamente. Io amo tutto, tutto della mia vita, da quando sono nata fino ad adesso.



La vita è gioia e dolore ed è così perché l'ha fatta così Gesù, è per questo che dico sì alla mia malattia. Uno si lava, si veste bene, sceglie delle cose belle, ha cura di sé perché un Altro ha cura di lui.
Questo succede per grazia, lo devi chiedere tutti i giorni e chiedere che ti dia pace. La felicità la vivremo in Paradiso, qui possiamo chiedere che ci faccia vivere con pace.
GIORGIO: Tutte queste cose dove le hai imparate? Grazie agli amici?
MARTA: L'amico è come l'obbiettivo di una macchina fotografica, mette a fuoco, mette a fuoco, cioè ti aiuta a fare luce dove c'è il vero, ma tutto il rapporto è tuo e basta, tuo con Lui, basta, nessuno di diverso, non tu-l'amico-e-Lui, è tuo e basta, sei tu che domandi, sei tu che chiedi, sei tu che gridi, sei tu che gli chiedi: amami!
GIORGIO: E Lui ti risponde.
MARTA: Lui ti risponde nella realtà.
GIORGIO: Ad esempio, in questo caso con tutta la gente che ti si muove intorno.
MARTA: Guarda che roba, ma non solo: mi sta cambiando, sta cambiando me e intanto io aspetto la guarigione.
GIORGIO: Tutti l'aspettiamo. Preghiamo, lottiamo, domandiamo, chiediamo. Dicevi prima: «Io tengo a me perché c'è un Altro che tiene a me»? Dicevi così?
MARTA: Sì.
GIORGIO: Tutte queste cose come le hai imparate?
MARTA: Vivendo, vivendo in compagnia di amici grandi.
GIORGIO: E guardando?
MARTA: Sì, vivendo tutto appieno; ma come si fa a vivere tutto appieno? Ci vuole anche un metodo e una strada, e la strada e il metodo io l'ho imparato in università. Io Gesù l'ho incontrato in università.
GIORGIO: Be', l'avevi già incontrato prima, lì ti si è palesato di più.
MARTA: Il mio incontro io l'ho fatto in università, l'ho fatto con Francesco, e poi un fatto dietro l'altro.
GIORGIO: Bello quello che mi dici, bisogna che ne parliamo più spesso di queste cose.
MARTA: E no! È qui che dico io, non è un problema di parlare.
GIORGIO: Ma quando mi comunichi la tua esperienza a me aiuta, è un fatto quello che mi racconti.
MARTA: Però il problema non è stare al tavolino a parlare, il problema è che tu domani mattina ti alzi e vai davanti allo specchio e dici: «Io, Giorgio, sono Tu che mi fai», e tutta la giornata chiedi che Lui si faccia vedere da te, non è che ne parliamo io e te, capito? Non è quello il problema. Io Francesco in un anno quante volte l'ho visto, quante volte ci siamo messi al tavolino a parlare? Non è un problema di parlare: è il tuo rapporto personale con Gesù. In quello non ti può sostituire nessuno.


Omelia di don Giuliano Renzi ai funerali (Rimini, 9 ottobre 2010)
Carissima Marta,
solo ieri, verso mezzogiorno, dopo la convulsa mattinata, nel tentativo di aiutare i tuoi a preparare questa celebrazione eucaristica di "adDio", nel senso letterale dell’espressione, mi sono reso conto che sei stata tu a condurci oggi fin qui, fisicamente qui. In questa chiesa di S. Maria Ausiliatrice, dove 64 anni fa, come ieri, l'8 ottobre ma del 1946, un'immensa folla dava l’"adDio" al beato Alberto Marvelli, anch’egli della tua età. E, ancora qui, a poca distanza dove c’è la scuola che ha segnato la tua crescita mentre il Mistero che è Padre, preparava alla tua vita grandi cose che non sapevi ancora; ancora: a pochi giorni dall’anniversario di don Giancarlo. Apparentemente coincidenze, ma so che nel grande Disegno del Padre sono fili sottili di una grande storia d'amore!
Così, improvvisamente, mi sono accorto di come Gesù, attraverso il tuo "sì", ci ha silenziosamente, drammaticamente, sicuramente preso per mano e ci ha condotto in tutto questo lungo periodo della tua malattia. A cominciare dai tuoi genitori, Giorgio e Elena, che per te hanno dato, letteralmente, tutto quello che umanamente era possibile, tuo fratello Giacomo e tua sorella Maria, che hanno preso in mano quest'estate la pensione Mon Pays (guarda "caso", proprio qui accanto).
Cominciando proprio da loro, gli sei diventata madre e maestra; così come per tutti noi che ci siamo uniti in una sterminata catena di preghiera, di supplica, di domanda al Padre per la tua guarigione! Eppure con il tuo "sì" siamo stati noi ad essere condotti sulla strada della guarigione, della salute, cioè a riconoscere Gesù: «Io sono Tu che mi fai» o, come dice il Vangelo che abbiamo letto, Io sono la Via, cioè la Strada: il metodo, come hai voluto ricordare a tuo babbo in quel dialogo notturno per la Verità della Vita.
Insomma, ci hai accompagnato tutti per mano fino alle soglie del Mistero, di cui i tuoi occhioni di cielo erano sempre più il riflesso. Cioè, il riflesso di Colui a cui guardavi e che ora vedi faccia a faccia! Compiendosi così quel desiderio di felicità, di pienezza, fiorito nel tuo cuore e che hai espresso così intensamente e consapevolmente nel dialogo con padre Aldo Trento nella vigilia del Natale dello scorso anno: «Desidero che ogni cosa mi parli di Lui. Ho bisogno che il mio cuore di pietra si converta veramente, ho bisogno di avere fiducia, di credere che quello che sto vivendo è la strada per la mia felicità. Il mio cuore scoppia per questo desiderio di essere veramente felice e di scoprire qual è il mio posto nel mondo, cosa vuole farci Dio con me. Sto aspettando il giorno di Natale, che ormai è arrivato, con la domanda di poter immedesimarmi davvero con Gesù che nasce, con Lui, e di lasciarmi amare così come sono. Abbandonandomi fra le Sue braccia senza resistere».
Carissimi amici, attraverso il sacrificio della Marta, che immedesimandosi in Cristo «imparò l’obbedienza dalle cose che patì», Dio, nel suo misterioso Disegno (che tante volte ci appare confuso e addirittura contrario) rinnova a ciascuno di noi la sfida a metterci in gioco personalmente, a provocare il nostro "sì" a Lui, all’unico Amore che soddisfa la vita.
Don Pino mi ha pregato di leggere a tutti due righe che ha scritto:
«Se il Signore le avesse concesso di continuare il cammino sulla terra, questo essere tutta di Cristo avrebbe preso una forma visibile, una consegna totale di sé, nella certezza che ora, con i suoi grandi e bellissimi occhi, vede che il Signore è il Signore della Vita, che il Signore è tutto».
Accettiamo con semplicità e decisione questa incursione nella nostra vita della Grazia che, attraverso il sacrificio di Marta, provoca in maniera così imponente la nostra vita e la sfida! Nulla ci separerà dall’amore di Cristo! Per questo credo che l’amicizia con la nostra amica Marta sia appena cominciata!


Il saluto di Giorgio, padre di Marta, al termine dei funerali
Non voglio fare un’altra omelia, voglio solo dire due cose perché credo che siano importanti.
Io, mia moglie e i miei figli vogliamo ringraziare tutti voi, tutte le persone che sono qui presenti oggi - non solo gli amici carissimi, i parenti, i famigliari, coloro che ci hanno conosciuto -, perché con le vostre preghiere, soprattutto con le vostre preghiere ci siete sempre stati vicini, facendoci sentire sempre abbracciati e accompagnati.
La compagnia grande del movimento, soprattutto la Fraternità, dei volti precisi in particolare, i nostri amici, ma in ogni caso tutti, ci hanno sempre accompagnato e ci hanno aiutato e ci stanno aiutando a non farci travolgere dal peso di questo dolore.
Ringraziamo il buon Dio e caro Gesù. Se oggi mi chiedi se sono felice, no! Non posso essere felice, perché io Marta l’avrei voluta qui.
Però, altrettanto posso dirti che sono certo che sono felice, perché so che Marta in questo momento Ti vede, è fra le braccia dove desiderava essere. Poi la cosa più importante: devo ringraziare Marta, perché la sua presenza così preziosa nelle nostre vite ci ha insegnato che si può vivere tutto, compresa la malattia, con letizia e senza rassegnazione, e io Ti ringrazio, Padre, perché questo periodo che ci hai dato da vivere con lei, a me, alla Elena, ma non solo, a Maria, a Giacomo, è stato bellissimo perché abbiamo fatto esperienza di come ha vissuto la sua malattia con letizia, sempre senza tristezza. Qualche sera fa Marta, in prima linea, ha chiuso così una telefonata: «Io ci sono», con una voce flebile. A quel punto io, che l’ho sempre provocata - ma le mie provocazioni sono sempre state perché io per primo ho bisogno di imparare -, le ho chiesto cosa vuol dire «io ci sono», e lei ha risposto: «Vuol dire essere sempre in prima linea. Non in ultima, ma sempre in prima: vuol dire che combatto, combatto certa del grande abbraccio, con le armi che ho, che sono i grandi amici e la preghiera».
Tu, Marta, hai sempre guardato tutto con curiosità, guardando intorno cosa c’è di bello e di vero dentro ogni circostanza, al fondo delle cose. Come dicevi tu: «Bisogna guardare al fondo, cioè Lui, c’è Lui».
Io mi sono chiesto spesso in queste notti, in questi mesi passati con lei, cosa che non avevo fatto in precedenza: «Quid animo satis?» cioè: che cosa basta all’animo? Una cosa che avevo già detto e sentito, ma che era passata via senza peso. Poi mi sono accorto che a questa domanda nella mia vita io ho sempre risposto in modo parziale, cioè dando peso agli affetti, al lavoro, alla riuscita nelle cose e a un senso di giustizia che mi son sempre portato dentro, ma che se è staccato da Lui non vale niente. Tu, invece, ci hai insegnato con la tua vita che solo Lui può bastare; quell’"io sono Tu che mi fai", che spesso mi hai ripetuto in maniera così decisa, è diventato carne della tua esperienza quotidiana.
Aiutaci, adesso che Lo vedi e sei abbracciata a Lui, perché questa cosa possa diventare esperienza quotidiana anche per noi, guardando Lui in faccia.
Signore, Ti offriamo tutto il nostro dolore per la Tua maggior gloria, per la Tua Chiesa. Ti prego, vieni Signore Gesù a darci pace.


Omelia di don Stefano Alberto alla messa per Marta (Milano, Ospedale San Raffaele, 8 ottobre 2010)
«Il mio giusto vive di fede» (Gal 3,11). Il dolore profondo in questa ora del distacco da Marta non ci deve neanche per un istante far dimenticare l’essenziale: in questa ora misteriosamente, cioè veramente, realmente, si compie il desiderio più grande che ha segnato la sua vita sempre più consapevolmente, essere tutta di Cristo.
Se il Signore le avesse concesso di continuare il cammino sulla terra, questo essere tutta di Cristo avrebbe preso una forma visibile, una consegna totale di sé, nella certezza che, ora, con i suoi grandi e bellissimi occhi vede che il Signore è il Signore della vita, è il Signore di tutto, consistenza di ogni istante, consistenza di ogni cosa.
Questo impeto di consegna di sé pieno di affetto, di cordialità, di gratuità, il Signore l’ha accolto tutto, chiedendole nell’ultimo tratto della sua vita l’opera più grande: salire con Lui sulla Croce.
Chi la conosce sa che la fatica della malattia, il dolore, l’umiliazione di un corpo che sempre meno poteva contenere la grandezza del suo spirito, hanno una ragione chiara: la morte non è la fine, il sacrificio non è la negazione della felicità, ma la condizione perché la vita risorga e la felicità sia una parola non sentimentale, ma reale, dentro alla fatica quotidiana.
Venendo a trovarla in questi ultimi tempi, come risultava evidente la coscienza e la forza del suo abbandono a Cristo e, quindi, il suo protagonismo! Perché quello per cui il mondo vive è questa offerta cosciente e suprema, anche se il mondo non lo sa, anche se quello che apparentemente vale, quello che riempie i giornali è tutt’altro.
Ciascuno di noi sa bene che questo sacrificio vissuto da Marta con letizia, con desiderio ardente di vita, cercando il miracolo della guarigione fino all’ultimo istante, segna profondamente la nostra vita. Perché adesso che ci sarà compagna per sempre dal Cielo, nella comunione dei Santi, ci ricorda la ragione del nostro cammino quotidiano, la ragione della fatica del lavoro, della fatica dello studio, la ragione profonda degli affetti umani: tutto è di Cristo.
Come ha vissuto - molti di noi hanno ben vivo il suo ardore consapevole e generoso, la sua letizia, la sua ironia nella vita dell’università -, come ha vissuto continua a vivere per ciascuno di noi.
Il Signore, in questa pagina del Vangelo in cui ancora una volta si scontra con la misura, la chiusura, la ferocia dei farisei, il loro moralismo terribile, la loro dialettica arida, taglia corto: «Chi non raccoglie con Me, disperde» (Lc 11,23). È un richiamo grande al senso ultimo della vita, al valore dell’istante. Mi viene in mente Anna Vercors davanti alla figlia Violaine: «E che vale la vita se non per essere data? E perché tormentarsi quando è così semplice obbedire!».
In questo momento insieme alla Madonna, insieme al don Gius, Marta vede e si lascia abbracciare per sempre da Colui che ha amato. È un momento di dolore - e non lo vogliamo censurare - e di letizia, perché attraverso il sacrificio di Marta realmente la Resurrezione di Cristo nella nostra vita inizia ad essere esperienza di un’alba, che non è ancora il pieno giorno in cui lei ora vive per sempre, ma è una possibilità reale per ciascuno di noi.
Nella gratitudine ai suoi genitori, a sua sorella, a suo fratello, ai medici che l’hanno accompagnata, a don Martino, chiediamo alla Madonna che la nostra libertà, la nostra sete di felicità, il nostro desiderio di verità, sempre fiorisca come “sì”. Quel “sì” che lei sempre, anche nelle circostanze più dure e dolorose, prontamente ha detto. Con letizia, con certezza, con fede che era sempre speranza e carità.



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