giovedì 4 novembre 2010

PADRE ALDO RISPONDE

......«Chi crede di stare in piedi guardi di non cadere». Noi che nella vita abbiamo incontrato don Giussani e la compagnia che da lui è nata, siamo stati richiamati spesso al fatto che non basta l’incontro ma serve un lavoro personale. Il successore di don Giussani, don Julián Carrón, continua a ripeterci con la pazienza di un padre, e testimoniandolo in prima persona, che senza un lavoro personale che ci permetta di lasciarci provocare dalla realtà è impossibile arrivare ad avere una familiarità con Cristo ed è difficile che l’Io raggiunga una maturità tale da affrontare qualsiasi circostanza come occasione positiva di arricchimento della propria personalità. Capire la frase di san Paolo significa avere come punto fermo la realtà. Per riuscirci dobbiamo, come la Vergine, dire il nostro sì: «Signore, eccomi». Quando il nostro Io vive rivolto al Mistero, cessiamo di preoccuparci del nostro rapporto col consorte, e con chiunque altro. Il matrimonio entra in crisi solo quando viene meno questo lavoro personale, quando si dà per scontato il “sì” dell’inizio, quando censuriamo il grido del cuore, che invece la relazione uomo-donna, se vissuta realisticamente, risveglia....

......«Esiste qualcosa di peggio di un’anima malvagia: è un’anima già confezionata». Guarda a quello che ti è successo come a un’occasione per vincere quest’anima confezionata, quelle illusioni che spesso ci danno la tranquillità apparente di un lago di montagna, e inizia un lavoro personale, come del resto, grazie ai tuoi amici, stai già facendo......

.....Dio ha permesso che accadesse questo affinché la vostra libertà, sbattendo la testa, capisse ciò che Carrón ripete da tempo: «È urgente un lavoro personale, è urgente prendere sul serio la nostra umanità e obbedire al nostro cuore che è il criterio oggettivo che indica il cammino verso il nostro destino». Come ci insegnano santa Rita, santa Monica e molti altri, Dio non può non ascoltare il grido dei suoi figli. Il miracolo è la più grande sorpresa che sperimenta chi si consegna al Mistero, chi ama intensamente la realtà. Tuo marito potrà censurare ciò che ha incontrato, ma non eliminarlo. E sarà la vita, la realtà, quando sarà finita la febbre che ora gli scalda il cervello, a risvegliarlo. Sostenuto dalla tua fedeltà a Cristo tornerà all’ovile, come il figliol prodigo. A te il Signore chiede una gratuità assoluta. Il dolore che provi non è tanto per il fatto che hai perso qualcosa (quando uno vive di Cristo non perde mai niente) ma perché il tuo amore per Cristo ti fa sperare che anche tuo marito torni a dire: «Tu, o Cristo mio». Il matrimonio, come qualsiasi relazione, è un cammino per arrivare a dire: «Tu, o Cristo mio». Il fatto che la persona che uno ama lo abbandoni, se si è davvero compromessi con la propria umanità, può trasformarsi in un binario preferenziale per amare Cristo, per affidarsi radicalmente a Lui. Se non fosse così, Cristo non si sarebbe fatto carne. E quello che recitiamo a Messa sarebbe una menzogna: «Per Cristo, con Cristo e in Cristo, a Te Dio Padre onnipotente, ogni onore e gloria per tutti i secoli dei secoli». Non c’è niente di tanto umano e corrispondente al cuore come l’“Amen” che pronunciamo.





Quando una cosa è bella? Quando riconosciamo in essa il segno potente del Mistero, quando ci riporta alla grande Presenza. Se questo riconoscimento non avviene, qualsiasi cosa che definiamo “bella” si riduce a emozione: qualcosa che provoca, muove la nostra emotività e ci lascia anche a bocca aperta, ma vittime dell’illusione. Normalmente ci lasciamo ingannare dall’apparenza, dallo stato d’animo, e siamo convinti che tanto il benessere quanto la felicità coincidano con l’ottimismo, con un orizzonte tranquillo. Sogniamo di vivere come su una barca che va nelle acque tranquille di Misurina, un lago sulle Dolomiti che mi è molto caro. La tranquillità come ideale di vita. È lo stesso atteggiamento con cui viviamo il matrimonio. Ciononostante la realtà scuote la barca su cui navighiamo tranquilli. Quando le acque si agitano ci spaventiamo e ci facciamo travolgere dalla corrente. Tutto è stato “perfetto” nella tua vita di sposa e di madre durante i trent’anni del tuo matrimonio. Non solo: tutto ciò che hai vissuto era ben piantato su alcuni punti fermi come la fede,




l’appartenenza a una compagnia e le migliaia di cose belle che hai condiviso con tuo marito. Nonostante questo è arrivato il momento in cui tutta questa “bellezza” è terminata, lasciandoti distrutta. Mi viene in mente la frase di san Paolo: «Chi crede di stare in piedi guardi di non cadere». Noi che nella vita abbiamo incontrato don Giussani e la compagnia che da lui è nata, siamo stati richiamati spesso al fatto che non basta l’incontro ma serve un lavoro personale. Il successore di don Giussani, don Julián Carrón, continua a ripeterci con la pazienza di un padre, e testimoniandolo in prima persona, che senza un lavoro personale che ci permetta di lasciarci provocare dalla realtà è impossibile arrivare ad avere una familiarità con Cristo ed è difficile che l’Io raggiunga una maturità tale da affrontare qualsiasi circostanza come occasione positiva di arricchimento della propria personalità. Capire la frase di san Paolo significa avere come punto fermo la realtà. Per riuscirci dobbiamo, come la Vergine, dire il nostro sì: «Signore, eccomi». Quando il nostro Io vive rivolto al Mistero, cessiamo di preoccuparci del nostro rapporto col consorte, e con chiunque altro. Il matrimonio entra in crisi solo quando viene meno questo lavoro personale, quando si dà per scontato il “sì” dell’inizio, quando censuriamo il grido del cuore, che invece la relazione uomo-donna, se vissuta realisticamente, risveglia. Recentemente un uomo mi ha detto: «Non so perché, padre, ma la relazione con mia moglie risveglia in me la nostalgia dell’eterno, e al tempo stesso l’impossibilità da parte sua di colmare questa nostalgia». Ricordo una canzone di Claudio Chieffo, Liberazione n° 2, che dice: «Perché proprio adesso vogliamo farci padroni di un amore donato?».

La nostra anima confezionata

È proprio quando nella vita assumiamo questa posizione che tutto entra in crisi, e lo stupore viene sostituito dalla pretesa e dal senso del possesso. Da qui l’amarezza e la disperazione. Diceva Camus: «Esiste qualcosa di peggio di un’anima malvagia: è un’anima già confezionata». Guarda a quello che ti è successo come a un’occasione per vincere quest’anima confezionata, quelle illusioni che spesso ci danno la tranquillità apparente di un lago di montagna, e inizia un lavoro personale, come del resto, grazie ai tuoi amici, stai già facendo.Se Dio ha permesso questo, e la tua libertà accetta la sfida, lentamente la tua vita, la tua relazione con quell’uomo che è pur sempre tuo marito, diventerà un miracolo. Significa che la tua vita non sarà mai definita dalla negatività di quello che ti è successo, ma si trasformerà in un bellissimo compito: testimoniare ai tuoi figli e a tuo marito quel punto fermo per cui la vita ha senso. «Maledetto l’uomo che confida nell’uomo, benedetto l’uomo che confida nel Signore», dice il profeta Geremia. L’ho sperimentato nella mia vita, quando ho sofferto di un grave esaurimento nervoso, ma ho accettato la sfida del Mistero e ho obbedito alla realtà sostenuto da quei volti che hanno visto la mia vita fiorire. Ho trovato l’eternità che pensavo di aver perso. Ringrazio don Giussani per avermi detto che è necessario soffrire perché la verità non si cristallizzi in dottrina. Il dolore cammina a fianco dell’amore, e la bellezza è il suo vertice. Quando uno sale in cima alla montagna lo fa perché ama le montagne – è l’amore che muove la vita­ – ed è cosciente che ogni suo passo è fatto di fatica e sacrificio. Ma arrivato in cima, commosso, anche se gli manca il fiato, riconosce la bellezza che ha di fronte.

Un binario preferenziale

Dio non ha voluto che il tuo matrimonio finisse, perché Dio non può andare contro se stesso e contro ciò che Lui stesso ha voluto. Dio ha permesso che accadesse questo affinché la vostra libertà, sbattendo la testa, capisse ciò che Carrón ripete da tempo: «È urgente un lavoro personale, è urgente prendere sul serio la nostra umanità e obbedire al nostro cuore che è il criterio oggettivo che indica il cammino verso il nostro destino». Come ci insegnano santa Rita, santa Monica e molti altri, Dio non può non ascoltare il grido dei suoi figli. Il miracolo è la più grande sorpresa che sperimenta chi si consegna al Mistero, chi ama intensamente la realtà. Tuo marito potrà censurare ciò che ha incontrato, ma non eliminarlo. E sarà la vita, la realtà, quando sarà finita la febbre che ora gli scalda il cervello, a risvegliarlo. Sostenuto dalla tua fedeltà a Cristo tornerà all’ovile, come il figliol prodigo. A te il Signore chiede una gratuità assoluta. Il dolore che provi non è tanto per il fatto che hai perso qualcosa (quando uno vive di Cristo non perde mai niente) ma perché il tuo amore per Cristo ti fa sperare che anche tuo marito torni a dire: «Tu, o Cristo mio». Il matrimonio, come qualsiasi relazione, è un cammino per arrivare a dire: «Tu, o Cristo mio». Il fatto che la persona che uno ama lo abbandoni, se si è davvero compromessi con la propria umanità, può trasformarsi in un binario preferenziale per amare Cristo, per affidarsi radicalmente a Lui. Se non fosse così, Cristo non si sarebbe fatto carne. E quello che recitiamo a Messa sarebbe una menzogna: «Per Cristo, con Cristo e in Cristo, a Te Dio Padre onnipotente, ogni onore e gloria per tutti i secoli dei secoli». Non c’è niente di tanto umano e corrispondente al cuore come l’“Amen” che pronunciamo.





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