giovedì 9 dicembre 2010

IL DIRETTORE DI AVVENIRE RISPONDE

Risponde il direttore Marco Tarquinio

Per noi di Avvenire, caro Cavallari, non c’è un 'prima' e un 'dopo'. Nel senso che non staccheremo di certo l’attenzione. Ma so bene che non è qui il cuore della sua preoccupazione, che si concentra, piuttosto, sullo sguardo della tv oggi dominante. Entrambi, infatti, sappiamo che questo sguardo, che sa anche essere oltremodo insistente, quando è invece rivolto su impegnative storie di lotta per la vita e sui veri e più delicati diritti (come quello di cura) diventa spesso fulmineo ed è sempre volubile. Ma io confido, da inguaribile ammalato di ragionevole speranza, che in questo strano novembre 2010 sia finalmente scattato qualcosa in chi pensa e costruisce programmi radiotelevisivi e coltiva, ovunque lavori, una vocazione di servizio pubblico. Colgo anche qualche bel segnale in tal senso. Del resto, incontrare le storie di vita e di lotta, che lei racconta nel suo prezioso libro e che noi di Avvenire proponiamo con rispetto e urgenza da cronisti, cambia gli occhi e tocca il cuore di chiunque. Spinge a chiedere più amicizia e più giustizia, a lavorare e premere per una medicina davvero umana, a rifiutare ogni abbandono e ogni rassegnazione. Ci si riempie tanto la bocca di diritti vagheggiati e di libertà affermate, ma questo dovere di solidarietà e di riconoscimento della piena dignità di chi è malato o disabile – che non è dovere dei soli credenti e che nessuna coscienza può eludere – è un 'prima' che non può più conoscere 'dopo' di assenza e di distrazione, di rimozione e di censura. Lei e noi ne siamo consapevoli, caro amico. E non per polemica, ma per amore e per civiltà. Questo è tempo di saper guardare.

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