venerdì 10 dicembre 2010

LE FORZE CHE CAMBIANO LA STORIA SONO LE STESSE CHE CAMBIANO IL CUORE DELL’UOMO

.....«Nell’appiattimento del desiderio ha origine lo smarrimento dei giovani e il cinismo degli adulti; e nella astenia generale l’alternativa qual è? Un volontarismo senza respiro e senza orizzonte, senza genialità e senza spazio, e un moralismo d’appoggio allo Stato come ultima fonte di consistenza per il flusso
umano»,

come disse don Giussani ad Assago nel 1987.
Venticinque anni dopo vediamo che entrambe queste risposte
− volontarismo individualista e speranza statalista
− non sono state in grado di darci la consistenza auspicata
e ci troviamo ad affrontare la crisi più disarmati, più
fragili che in passato. Paradossalmente,i nostri nonni e genitori erano umanamente meglio attrezzati per affrontare simili sfide.
Il Censis centra di nuovo il bersaglio quando identifica la
vera urgenza di questo momento storico: «Tornare a desiderare
è la virtù civile necessaria per riattivare una societa' troppo appagata e appiattita».....

Crisi sociale, economica e politica. Alla fine di questo 2010 tutti siamo presi dallo sconcerto. Come ha detto di recente il cardinale Bagnasco,«siamo angustiati per l’Italia che scorgiamo come inceppata
nei suoi meccanismi decisionali,mentre il Paese appare attonito e guarda disorientato».Perché questa crisi ci trova così disarmati, al punto che non riusciamo neanche a metterci d’accordo per affrontarla, pur sentendone l’urgenza come non mai?


A sorpresa il Rapporto Censis 2010 ha individuato la natura della crisi in un «calo del desiderio» che si manifesta in ogni aspetto della vita.Abbiamo meno voglia di costruire, di crescere, di cercare
la felicità. A questo fatto andrebbe attribuita la responsabilità
delle «evidenti manifestazioni di fragilità sia personali sia di massa, comportamenti e atteggiamenti spaesati,indifferenti, cinici, passivamente adattivi, prigionieri delle influenze mediatiche, condannati al presente senza profondità di memoria e di futuro». Come mai, se siamo stati in grado di raggiungere importanti obiettivi nel passato (casa, lavoro, sviluppo…), adesso «siamo una
società pericolosamente segnata dal vuoto» e a un ciclo
storico pieno di interesse e voglia di fare ne segue un altro segnato dal suo annullamento?
Tutto questo ci mostra che la crisi è sì sociale, economica
e politica, ma è soprattutto antropologica perché riguarda
la concezione stessa della persona, della natura del suo
desiderio, del suo rapporto con la realtà. Ci eravamo
illusi che il desiderio si sarebbe mantenuto in vita da solo
o addirittura che sarebbe stato più vivo nella nuova situazione
di benessere raggiunto. L’esperienza ci mostra,invece, che il desiderio può appiattirsi se non trova un oggetto all’altezza delle sue esigenze. Ci ritroviamo così tutti «sazi e disperati». «Nell’appiattimento del desiderio
ha origine lo smarrimento dei giovani e il cinismo degli
adulti; e nella astenia generale l’alternativa qual è? Un
volontarismo senza respiro e senza orizzonte, senza
genialità e senza spazio, e un moralismo d’appoggio allo
Stato come ultima fonte di consistenza per il flusso
umano»,
come disse don Giussani ad Assago nel 1987.
Venticinque anni dopo vediamo che entrambe queste risposte
− volontarismo individualista e speranza statalista
− non sono state in grado di darci la consistenza auspicata
e ci troviamo ad affrontare la crisi più disarmati, più
fragili che in passato. Paradossalmente,i nostri nonni e genitori erano umanamente meglio attrezzati per affrontare simili sfide.
Il Censis centra di nuovo il bersaglio quando identifica la
vera urgenza di questo momento storico: «Tornare a desiderare
è la virtù civile necessaria per riattivare una societa' troppo appagata e appiattita». Ma chi o che cosa può ridestare il desiderio? È questo il problema culturale della nostra epoca. Con esso sono costretti a misurarsi tutti coloro che hanno qualcosa da dire per uscire della crisi:partiti, associazioni, sindacati, insegnanti. Non basterà più una risposta ideologica, perché di tutti i progetti abbiamo visto il fallimento. Saremo perciò costretti a testimoniare un’esperienza.
Anche la Chiesa, il cui contributo non potrà limitarsi a
offrire un riparo assistenziale per le mancanze altrui,
dovrà mostrare l’autenticità della sua pretesa di avere
qualcosa in più da offrire. Come ha ricordato Benedetto
XVI, «il contributo dei cristiani è decisivo solo se l’intelligenza
della fede diventa intelligenza della realtà».

Dovrà mostrare che Cristo è così presente da essere in
grado di ridestare la persona − e quindi tutto il suo
desiderio − fino al punto di non farla dipendere totalmente
dalle congiunture storiche. Come? Attraverso la presenza
di persone che documentano un’umanità diversa in tutti
i campi della vita sociale: scuola e università, lavoro e
imprenditoria, fino alla politica e all’impegno nelle istituzioni.

Persone che non si sentono condannate alla delusione
e allo sconcerto, ma vivono all’altezza dei loro
desideri perché riconoscono presente la risposta.
Possiamo sperare di uscire dalla drammatica situazione
attuale se tutti − compresi i governanti che oggi hanno la
difficile responsabilità di guidare il Paese attraverso
questa profonda crisi − decidiamo di essere veramente
ragionevoli sottomettendo la ragione all’esperienza, se
cioè, liberandoci da ogni presunzione ideologica, siamo
disponibili a riconoscere qualcosa che nella realtà già
funziona.
Sostenere chi, nella vita sociale e politica, non
si è rassegnato a una misura ridotta del proprio desiderio
e per questo lavora e costruisce mosso da una passione
per l’uomo, è il primo contributo che possiamo dare al
bene di tutti.
LE FORZE CHE CAMBIANO LA STORIA SONO LE STESSE CHE CAMBIANO
IL CUORE DELL’UOMO
COMUNIONE E LIBERAZIONE
Dicembre 2010

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