mercoledì 8 dicembre 2010

QUESTO E' IL TEMPO DI SAPER GUARDARE



Avvenire giovedì 2 dicembre 2010
di Fabio Cavallari
Caro direttore, in questi giorni lo stiamo (fortunatamente) ripetendo in molti: bisogna garantire agli ammalati e alle famiglie il diritto di far sentire la loro voce, ma ancor prima è necessario far rispettare quel dovere dello Stato, spesso negato, di garantire il pieno diritto di cittadinanza alle cure, all’assistenza domiciliare, all’accesso a tutti gli ausili disponibili. Si tratta di un diritto costituzionale. Dopo il diniego di Fazio a dare visibilità a coloro che tutti i giorni lottano strenuamente per vivere, grazie all’appello di Avvenire si sono aperti spazi di riflessione all’interno di molte trasmissione Tv (pubbliche e private). Bene! È un ottimo viatico. Confesso però che coltivo una preoccupazione. Ho scritto un libro ('Vivi – storie di uomini e donne più forti della malattia' (Lindau)), pubblicato 'fuor di polemica' e nelle librerie dal 21 ottobre; ebbene so quanto sia difficile far passare il messaggio, offrire una narrazione differente sui temi eticamente sensibili.







Questo giornale, come altri 'luoghi' storicamente attenti alla centralità della persona, da sempre si occupa dei diritti negati, dell’uomo, della vita. La mia preoccupazione nasce dal timore che gli spazi oggi conquistati rispondano 'mediaticamente' a una logica di contrapposizione, contro una trasmissione o in diatriba nei confronti di taluni personaggi televisivi. Sarebbe un errore imperdonabile, se dopo la buriana di queste settimane, una volta spente le luci delle telecamere tutto ritornasse come prima. I soggetti in discussione non sono e non debbono essere i contenitori televisivi, i commentatori pro o contro, bensì i protagonisti di questo dibattito: le famiglie e gli ammalati. Coltivo questa preoccupazione, pur ritenendo estremamente prezioso quanto sta accadendo. Il diritto degli ammalati non può e non deve mai diventare tema da inserire nelle scalette dei palinsesti di quando in quando, come strumento per rincorrere le polemiche dell’attualità, ma impegno civile di tutti e sempre. Così fosse, faremmo tutti (e uso volutamente un 'noi' ampio, per non sottrarre alcuno dalle proprie responsabilità) un grave torto proprio a chi oggi chiede voce, ascolto, un gesto di accoglienza. Il ritorno al silenzio sarebbe un atto blasfemo. Oltre ai deficit assistenziali e sanitari, al surplus di burocrazia che grava sulle spalle di coloro che portano il dolore come presenza costante nella propria vita, la solitudine costituisce l’elemento più nefasto. Non permettiamo che, svanita la 'vis polemica', questi uomini e queste donne, ritornino mestamente nel silenzio.


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