giovedì 17 marzo 2011

IL NUCLEARE PER PARLARE D'ALTRO

DA IL CLANDESTINO

Un numero imprecisato di vittime. Un fragore che inghiotte città, vite, speranze. Uno spettacolo tremendo della nostra piccolezza. Una lezione che gli antichi e i nuovi saggi ci ripetono, in opere profonde di filosofia, in bellezze strazianti di poesie e fino in proverbi popolari: siamo qui provvisori, siamo "quasi" niente come diceva Leopardi.
Sgomento che può indurre a due atteggiamenti: disperazione o senso religioso dell'esistenza. Rifiuto della vita come bene o senso del mistero.
E invece si mettono tutti a parlar d'altro. Del nucleare. Come se fossero tutti ingegneri. Tutti, giornalisti, opinionisti, baristi, politici... Non che il problema non sia serio, e anche strumentalizzato. Ma così si è trovata nel grande disagio la via per uscire, per distrarsi, per parlar d'altro. Per non guardare in faccia la nostra piccolezza, e che cosa questa chiede alla nostra coscienza normale. Si è preferito ancora una volta la distrazione.

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