lunedì 18 gennaio 2010

SVIZZERA

Svizzera
RINO CAMMILLERI
15 Jan 2010
In marzo il parlamento svizzero discuterà una legge che restringa la possibilità di suicidio assistito, giacché la Svizzera è diventata la meta preferita del turismo eutanasico. Ora, qui non voglio ripercorre gli argomenti che mi fanno schierare nel campo di quelli contrari al suicidio, medicalizzato o meno. Solo una considerazione: è chiaro che chi vuol farla finita crede di metter fine alle sue sofferenze. Ciò implica, evidentemente, o una visione atea o una buonista. Per la prima, rinunciare alla vita significa tornare al nulla, dove non gode ma neanche si soffre; semplicemente si cessa di esistere. La seconda ritiene in qualche modo che Dio sarà meno cattivo della ria sorte che mi ha fatto venir voglia di farla finita. Ambedue le visuali si fondano su un atto di fede, una pia speranza senza uno straccio di prova. Altrettanto valida, dunque, è quella opposta: come la mettiamo, infatti, se esiste l’Inferno e i suicidi ci finiscono? Insomma, chi chiede l’eutanasia fa una scommessa molto azzardata, sulla posta della quale occorrerebbe che qualcuno inducesse il candidato a utilmente riflettere. In verità, alla dipartita dell’eutanasizzato chi tira un respiro di sollievo (per il momento) è chi ha dovuto occuparsene. Tranne le apposite cliniche svizzere, ovviamente.

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