domenica 24 gennaio 2010

PEZZO DI UN INTERVENTO DI DON GIUSSANI SULLA PACE FATTO NEL 2001

.......Dico questo perché è più difficile trovare un uso vero della parola pace nelle grandi trame politiche ed economiche che non nel rapporto familiare fra l’uomo e la donna o nel groviglio di tendenze desiderose di adempimenti o di sazietà personali, cioè nel cuore dell’uomo. Tutto questo convoglia l’attenzione e la devozione al Natale cristiano. L’unica ragione di questa festività sta nel fatto che il destino misterioso si è comunicato agli uomini identificandosi con un uomo nato da una vergine, perché poi destinato a morire per risorgere, rispondendo così all’attesa di chiunque. La pace, allora, può essere sentita e vissuta e pensata solo a due condizioni: la vocazione, cioè la dipendenza da un Altro come disegno e giudizio sulla propria vita - come per la prima volta è emerso nella storia del popolo ebraico -, e l’educazione alla conoscenza del bene e del male.

Per noi il Natale segnala come la vocazione di Cristo, la sua vita, sia stata la proclamata volontà di obbedire alla grande sorgente del Mistero, in una educazione vissuta come indefessa passione di conoscenza del bene e del male, così come emerge nella storia del suo popolo. Perciò la pace dipende dal fatto che l’uomo ammetta l’impossibilità di darsi la perfezione da se stesso, mentre indomabilmente riconosce il suo debito verso l’Essere. Il Natale è tutto questo, sempre rilanciato a tutta l’umanità, come il sorgivo permanere di una proposta che la vita è, in qualunque condizione ognuno si trovi. Nella tenerezza davanti all’immagine di un bimbo appena nato l’infinita distanza dell’azione dell’uomo dal suo destino si colma come pace in un perdono. Per cui all’uomo che pensa, il Natale può apparire non frustrata dolcezza né disperazione. L’infaticabile umanità del Papa ci invita a questa sintesi ultima, in cui la dignità e la completezza dell’uomo sono tutto, cioè misericordia.

Luigi Giussani

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