sabato 18 giugno 2011

IL SACRIFICIO NON TI PERMETTE DI DIMENTICARE NULLA.........

.....Sfidiamolo, andiamo a vedere se è vero, se è possibile questa gioia! Però giocando l’esperienza della vita come la dice Lui! E giocando l’esperienza della vita come la dice Lui, restiamo povera gente come tutti gli altri; gente che non giudica più nessuno, tanto è cosciente dei limiti propri, ma che ha la possibilità della gioia, che nei termini normali, quotidiani, si chiama letizia: «Renderò evidente che Io sono Dio dalla letizia del loro cuore». La parola “letizia” dovrebbe essere espunta da qualsiasi vocabolario, perché non esiste nell’uomo normale la possibilità della letizia: della contentezza sì, della letizia no, e della gioia è altamente impossibile, eccetto che alla luce di Cristo, della certezza portata da Cristo......


.....Domanda.Io vorrei capire perché lei dice che l’esperienza del centuplo qui e ora passa attraverso un sacrificio dell’immediato e che anche l’esperienza di un possesso più grande, di un possesso vero, avviene attraverso un distacco.

Giussani. Io dico normalmente ai miei amici che non si può stabilire un rapporto vero con nulla e specialmente con nessuno, se non si implica un sacrificio. Per stabilire un rapporto vero tra me e te, immagina che ci siano questi sei metri da superare. In questi sei metri, a ogni centimetro, appare qualcosa, insorge un’apparenza che mi invita, che in qualche modo mi invita. Se io mi soffermo, non giungo più a te: se mi ci soffermo, le vado dietro, mi disperdo e non riconosco più la strada. Se a ogni centimetro c’è un’apparenza, devo lasciare quell’apparenza per venire da te. Lasciare un’apparenza, per l’uomo, sempre - anche l’apparenza dolorosa -, è un sacrificio, è un dolore. Staccarsi dall’apparenza: l’apparenza ha come una colla sopra che ti trattiene, che malamente, o bonariamente, o felicemente, ti trattiene; ma è un presente falso: l’apparente è un presente falso. Perciò, guai a chi vi appoggia l’avvenire! È il contrario della speranza, è l’origine della delusione: l’apparenza è l’origine della delusione. Se io fisso una cosa certa - certa! -, certamente esatta: che tu ci sei qui, se io voglio venire da te... come un ragazzo che vuole andare dalla sua ragazza, perché sa che è buona, sa che è giusto, sa che gli vuole bene, potrebbe avere sbagliato, ma sa che gli vuole bene e che è provvisorio il suo sbagliare: deve lasciare tutto quello che gli prende il braccio per trattenerlo; tutto gli prende il braccio per trattenerlo: deve strapparsi e andare, strapparsi e andare. E quando è giunto davanti alla faccia della sua ragazza, quell’apparenza - perché è apparenza anche quella - lo attira cento milioni di volte più di tutto il resto, ma se si avventasse come l’impeto gli direbbe, sciuperebbe; se vi si avventa, se la prende, sarebbe come un... sì, un possesso. Il possesso ti traduce o ti tradisce, ti cambia nella forma di una zampa di animale che strappa - dicevo oggi -, “discerpe”tutta la faccia dell’altro: due o tre anni dopo non è più come prima! Nel senso che muore, muore quello che ti ha destato dentro. Con Cristo, ogni giorno che andavano con Lui, cresceva quello che era destato dentro di loro, e cresce; cresce talmente che commuove anche me dopo duemila anni; è qui, ora; qui e ora.
Perciò, innanzitutto, non si può stabilire un rapporto di conoscenza, di affezione verso una cosa o una persona senza un sacrificio dentro, senza strapparsi da qualche cosa, senza strapparsi a un’apparenza. È qualcosa di oltre l’apparenza che deve emergere, rendersi concreto, farti cambiare, strappare te stesso all’apparenza tua, cambiare il gioco. Allora puoi fare veramente una famiglia, puoi iniziare una famiglia in modo vero. Immaginati tutte le sere, non quando faceste il gesto dell’Ave Maria insieme (come spesso non si dice),


ma mentre ti volti dall’altra parte e ci pensi: anche oggi è pieno di obiezione, di disagio; soltanto c’è una cosa, c’è una memoria, c’è una immagine, c’è la coscienza di una Presenza. Perché la memoria è la coscienza di una Presenza: la presenza di una cosa che è incominciata nel passato - per questo si chiama memoria -, ma invade il presente. È questo che purifica i tuoi pensieri facendo emergere la speranza. Quello per cui sei fatto, quello per cui hai incontrato tua moglie, quello per cui hai fatto il bambino, questo vincerà, è destinato a vincere, per la forza di un Altro, per la forza dell’Essere; la vita, infatti, non te la sei data tu, anche tua moglie non l’hai fatta tu, il bambino non è tuo, e tutto ciò appartiene: se tu pensi a Colui cui appartiene tutto questo, che è così presente da fare la tua carne in quel momento (ricordate il decimo capitolo del primo libro della Scuola di comunità, Il senso religioso28;andate a rileggerlo, sì, quel decimo capitolo sfida qualsiasi altro libro; non è presunzione: è più semplicità che presunzione la mia), è questo pensiero di Cristo che purifica. Allora dici: «Ave Maria, piena di grazia...», «Che io nasca, rinasca come è nato da te, dalle tue viscere, il Dio fatto uomo», e ti rimetti in pace.
Il sacrificio non ti permette di dimenticare nulla, abbraccia tutto, e finisce nella gioia; finisce, talora, nella gioia. È impressionante come questa sia l’ultima parola detta da Cristo agli apostoli - perciò agli uomini - prima di morire, sul finire di quella nottata terribile, di quella serata terribile, narrata nei quattro capitoli di san Giovanni: «Vi ho detto tutte queste cose perché la mia gioia sia in voi e la vostra gioia sia piena»29.

Sfidiamolo, andiamo a vedere se è vero, se è possibile questa gioia! Però giocando l’esperienza della vita come la dice Lui! E giocando l’esperienza della vita come la dice Lui, restiamo povera gente come tutti gli altri; gente che non giudica più nessuno, tanto è cosciente dei limiti propri, ma che ha la possibilità della gioia, che nei termini normali, quotidiani, si chiama letizia: «Renderò evidente che Io sono Dio dalla letizia del loro cuore». La parola “letizia” dovrebbe essere espunta da qualsiasi vocabolario, perché non esiste nell’uomo normale la possibilità della letizia: della contentezza sì, della letizia no, e della gioia è altamente impossibile, eccetto che alla luce di Cristo, della certezza portata da Cristo. Abbiamo parlato con lo stile del testo.


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