lunedì 2 luglio 2007

PADRI E FIGLI

Ogi pubblico volentieri quest'articolo.
La testimonianza contenuta e' interessante anche perche' ci si rende conto che gli stessi che pronunciano parole cosi' vere sono loro stessi da educare.
"emergenza educativa", della crescente difficoltà che s'incontra nel trasmettere alle nuove generazioni i valori-base dell'esistenza e di un retto comportamento. Cresce perciò, da più parti, la domanda di un'educazione autentica e la riscoperta del bisogno di educatori che siano davvero tali. Lo chiedono i genitori, preoccupati e spesso angosciati per il futuro dei propri figli».

«Per l'educazione e formazione cristiana è decisiva anzitutto la preghiera e la nostra amicizia personale con Gesù - ha proseguito il Papa - solo chi conosce e ama Gesù Cristo può introdurre i fratelli in un rapporto vitale con Lui».
(Tutti gli uomini abili e non hanno bisogno di incontrare persone che sanno inginocchiarsi e domandare a Cristo la capacita' di abbracciare amare e stimare la realta' che si impone.
Aiutiamoci, partendo da questa provocazione ,ad aprire le nostre scuole le nostre case sopratutto il nostro cuore a tutti coloro che Cristo ci mette sulla nostra strada.Impariamo ad accogliere l'altro con-passione.
Non nascondiamoci piu' dietro a falsi problemi ma da mendicanti impariamo ad alzare lo sguardo e aiutiamoci ad affrontare tutta la realta' non solo i frammenti.)
Spero che questa provocazione abbia un seguito,costruttivo.


Tempi num.25 del 21/06/2007
Cultura
Padri e figli. Tra testimonianza e responsabilità
Crescere qualcuno, in famiglia o a scuola, è un compito avventuroso
per professori che si scoprono allievi. Per maestri più che per pedagoghi
di Persico Roberto

Un Santo Padre. E un padre di famiglia. Un accostamento apparentemente ardito quello del convegno dedicato dal Vicariato di Roma all'educazione, in cui all'introduzione di Sua Santità Benedetto XVI è seguita la testimonianza di Franco Nembrini, quarto di dieci fratelli, padre di quattro figli e neo nominato responsabile degli educatori di Comunione e Liberazione. «Oggi, in realtà, ogni opera di educazione sembra diventare sempre più ardua e precaria - ha esordito il Papa. Si parla perciò di una grande "emergenza educativa", della crescente difficoltà che s'incontra nel trasmettere alle nuove generazioni i valori-base dell'esistenza e di un retto comportamento. Cresce perciò, da più parti, la domanda di un'educazione autentica e la riscoperta del bisogno di educatori che siano davvero tali. Lo chiedono i genitori, preoccupati e spesso angosciati per il futuro dei propri figli».
È successo a Franco Nembrini quella sera in cui andò a trovarlo il papà di una sua alunna. «Suonò il campanello quella sera a casa mia, cenammo insieme, e alla fine, affrontando il problema che gli stava a cuore scoppiò a piangere, si tirò su la manica della camicia facendomi vedere le vene e, quasi urlando disperatamente, mi disse, battendosi la mano sul braccio: "Professore, io la fede ce l'ho nel sangue, ma non la so più dare a nessuno. Può farlo lei? Lo faccia, per carità, perché io ce l'ho nel sangue, ma non la so più comunicare nemmeno a mia figlia". Pensava che tra lui e sua figlia ci fosse una generazione di differenza, e invece s'erano infilati cinquecento anni di una cultura che aveva negato tutta la sua tradizione e le cose di cui lui viveva, e che televisione e scuola - dal secondo dopoguerra in poi - avevano infilato tra lui e sua figlia. Ecco, lì m'è venuta l'idea che il problema della Chiesa fosse il metodo, la strada, che tutta la genialità del contributo che don Giussani offriva alla Chiesa e al mondo era questo: la scoperta che la fede, tornando ad essere un avvenimento presente, fosse finalmente dicibile, comunicabile». Come rispondere a questo dramma epocale? «Per l'educazione e formazione cristiana è decisiva anzitutto la preghiera e la nostra amicizia personale con Gesù - ha proseguito il Papa - solo chi conosce e ama Gesù Cristo può introdurre i fratelli in un rapporto vitale con Lui».

La sfida della santità
«Sono il quarto di dieci figli - racconta Nembrini - e l'immagine che ho del mio povero papà è quando si inginocchiava in mezzo alla stanzetta dove dormivamo noi sette figli maschi e cominciava a dire il Padre Nostro. Mio padre: uno che guardava una cosa più grande di lui e ci invitava ad andargli dietro senza bisogno di dircelo. Era uno che, quando sono diventato più grande e tornavo a casa a tarda ora per i mille impegni che c'erano, lo trovavo sempre in piedi, perché non è mai in vita sua andato a letto se non dopo aver chiuso la porta alle spalle dell'ultimo figlio rientrato; e quando alle due o alle tre di notte per non farlo arrabbiare troppo gli dicevo: "Dai, papà, diciamo compieta insieme" lui mi rispondeva: "Vai a letto, cretino, che domani mattina devi lavorare: dico io compieta per te"».
«Credo di avere imparato dai miei genitori un criterio fondamentale: l'educazione è un problema di testimonianza. Non è un problema dei bambini o dei ragazzi o dei giovani. Se sono così allo sbando oggi la prima responsabilità è la nostra. I figli vengono al mondo, esattamente come cento o mille anni fa, con lo stesso cuore, con lo stesso desiderio, con la stessa ragione di sempre; con un insopprimibile desiderio di Verità, di Bene, di Bellezza. Cioè con il desiderio di essere felici. Ma quali padri, quali maestri, quali testimoni hanno di fronte? La tristezza dei figli è figlia della nostra, la loro noia è figlia della nostra. Perché io potevo desiderare, bambino, di essere come mio papà? Perché presentivo, sapevo che mio papà sapeva le cose che nella vita è importante sapere. Sapeva del bene e del male, della verità e della menzogna, della gioia e del dolore, della vita e della morte. Senza discorsi e senza prediche mi introduceva a un senso ultimamente positivo dell'esistenza. Mio padre ci ha educati perché non aveva il problema di educarci. Perseguiva tenacemente la sua santità, non la nostra. Sapeva che santi a nostra volta lo saremmo potuti diventare solo per nostra libera scelta».
E infatti, ha detto il Papa, «per generare effetti positivi che durino nel tempo, la nostra vicinanza deve essere consapevole che il rapporto educativo è un incontro di libertà e che la stessa educazione cristiana è formazione all'autentica libertà. Non c'è infatti vera proposta educativa che non stimoli a una decisione, per quanto rispettosamente e amorevolmente, e proprio la proposta cristiana interpella a fondo la libertà, chiamandola alla fede e alla conversione. Quando avvertono di essere rispettati e presi sul serio nella loro libertà, gli adolescenti e i giovani non sono affatto indisponibili a lasciarsi interpellare da proposte esigenti: anzi, si sentono attratti e spesso affascinati da esse». Ma se l'interlocutore è la libertà dell'altro, il metodo non può essere che quello della compagnia: «Soprattutto oggi, quando l'isolamento e la solitudine sono una condizione diffusa, alla quale non pongono un reale rimedio il rumore e il conformismo di gruppo, diventa decisivo l'accompagnamento personale, che dà a chi cresce la certezza di essere amato, compreso ed accolto».
È quello che è successo allo stesso Franco Nembrini quando incontrò il fondatore di Cl. «Don Giussani venne a casa mia - racconta Nembrini. La mia povera mamma aveva un dolore grande: il primo dei dieci figli, che era stato in seminario, ne era uscito sull'onda della contestazione e non solo aveva abbandonato la pratica religiosa e la Chiesa, ma aveva fondato uno dei primi gruppi extraparlamentari insieme ad altri sette ex-seminaristi. Don Giussani venne a conoscere i miei genitori: confessò la mia mamma. Mio fratello non era in casa quel giorno. La settimana dopo da Milano arrivò un pacco di libri per questo fratello che lui non aveva conosciuto. E con mio grandissimo stupore il pacco di libri, anziché Bibbie o Vangeli, conteneva Il Capitale di Carlo Marx e altri libri di quel tipo. Fu il giorno in cui ebbi il primo sospetto serio che Dio esistesse, perché solo Dio può fare una cosa così; ho avuto lì l'idea che l'altro nome dell'educazione sia misericordia, per cui Dio ti viene incontro lì dove sei: non ti chiede prima di cambiare, non ti chiede prima di fare qualcosa, è lì dove sei tu, con i tuoi gusti, con i tuoi interessi, col tuo temperamento, con i tuoi peccati. Vedere Giussani che senza paura, senza venir meno a niente di se stesso, regalava Carlo Marx a mio fratello perché sapeva che lui era lì, ecco, mi fece venire questa idea: che l'educazione è questa misericordia in atto, per cui Dio ci viene incontro lì dove siamo. Mi venne il sospetto che quell'uomo avesse a che fare con Dio, perché non mi avrebbe mai chiesto di cambiare prima di volermi bene: mi voleva bene così come ero. Ho imparato allora che l'educazione non poggia su tecniche psicologiche o pedagogiche o sociologiche: è l'offerta della propria vita alla vita dell'altro. Se per educare fossero bastate le parole sarebbero piovuti Vangeli, invece Lui è venuto, compagno della nostra povera esistenza».
Libertà e autorevolezza
«Il lavoro educativo passa attraverso la libertà, ma ha anche bisogno di autorevolezza. Perciò è centrale la figura del testimone e il ruolo della testimonianza».
Il Papa torna all'origine: «Il testimone di Cristo è coinvolto personalmente con la verità che propone e attraverso la coerenza della propria vita diventa attendibile punto di riferimento. Egli non rimanda però a se stesso, ma a Qualcuno che è infinitamente più grande di lui, di cui si è fidato ed ha sperimentato l'affidabile bontà».
«Tutto il segreto dell'educazione mi pare che sia questo - conclude Nembrini - i tuoi figli ti guardano. Quando giocano non giocano mai soltanto, qualsiasi cosa facciano in realtà con la coda dell'occhio ti guardano sempre, e che ti vedano lieto e forte davanti alla realtà è l'unico modo che hai di educarli. Lieto e forte non perché sei perfetto - tanto non lo crederanno mai, e come è patetico e triste il genitore che cerca di nascondere ai figli il proprio male - ma perché sei tu il primo a chiedere e a ottenere ogni giorno di essere perdonato. Così tra l'altro con loro sei libero, anche di sbagliare, libero dall'angoscia di dover far vedere una coerenza impossibile, perché il tuo compito di padre è semplicemente quello di guardare un ideale grande, sempre; e loro tendono l'elastico, ti mettono alla prova sempre: sono tutti figlioli prodighi. È quella che nel Rischio educativo don Giussani chiama "funzione di coerenza ideale", la grande funzione educativa: che tu stai, che tu resti, resti lì, e magari loro si allontanano e di sottecchi guardano sempre se tu sei al tuo posto, se tu hai una casa, se tu sei una casa; e torneranno, anche quando fanno le cose peggiori, torneranno. Questa solidità, questa certezza che hai tu e che vivi tu con i tuoi amici e con tua moglie è l'unica cosa di cui hanno bisogno i figli per essere educati, è l'unica cosa che anche senza saperlo ci chiedono, e su questa testimonianza poggia la loro speranza. Si tratta di scommettere tutto sulla loro libertà».





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