lunedì 15 febbraio 2010

LETTERE DI PADRE TRENTO

.......Siamo seri e sinceri, se l’uomo è relazione con il Mistero (cosa più evidente e chiara del fatto che respiro), non esiste niente e nessuno che possa dare all’uomo ciò di cui ha bisogno come il sacramento della confessione. E il confessore. Ho sperimentato giorno per giorno che non sono gli specialisti della medicina a tenermi in piedi, né gli psicofarmaci che mi tolgono il gusto della vita, ma il sentirmi abbracciato dalla tenerezza di Dio che si fa presente durante la riconciliazione.
Che tristezza: abbiamo abbandonato la confessione e il confessionale e ci siamo affidati agli psicologi, passando ore e ore sdraiati nei loro studi, con l’unico risultato che il numero dei depressi e dei malati di mente è in continuo aumento. Chi può restituirmi il senso della vita, il suo significato ultimo, se non l’esperienza dell’incontro con un uomo che ha il potere – lui, peccatore e limitato come tutti noi – di pronunciare le parole più belle del mondo: «Io ti assolvo dai tuoi peccati nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo»? Parole divine, che si sono fatte umane al punto che, dopo averle ascoltate, mentre il sacerdote traccia sopra la testa del penitente il segno della croce, uno non dipende più da ciò che ha commesso, fosse anche il peggiore dei delitti, perché è una creatura nuova, relazionata all’Infinito.......

Padre Aldo Trento 9 febbraio 2010
UN UOMO VERO
Cari amici,
Dio ci dona sempre qualcuno a cui guardare. A volte è un mendicante che ti chiede e tu lo guardi vedendo in lui la faccia di Cristo, o un bamibino abbandonato che si affeziona e a chi gli domanda il suo nome e cognome risponde: Trento Gabriele.

A volte è il vicepresidente della Repubblica che era in vacanza in Brasile quanto l’exvescovo presidente lo chiama di urgenza perché deve andare ad incontrare i suoi amici Chavez, Morales e Correa e ovviamente il vice deve assumere la presidenza interina. Così Federico, il vice, parte e con la macchina, guidando lui, torna a casa ieri, domenica. Erano le 21 ed era appena entrato in territorio Paraguayo quando mi chiamò: “ Padre Aldo, domani mattina sono lì alle 5 e 30 per recitare Lodi, aspettami.” Rimasi commosso, un uomo, un politico che si preoccupa di avvisarmi che sarà qui alle 5 e 30 per recitare Lodi. Amici, capite? Chi di noi e dei nostri politici si preoccupa di vivere un gesto come questo delle Lodi? Lunedì mattina alle 5 mi alzo, per preparare la colazione, come ogni lunedì per il Presidente in esercizio, perché alle 5 e 30 puntuale arriva. Però questa volta alle 5 e 30 arriva il suo segretario e mi dice: “Padre, Federico ti ha chiamato ieri sera alle 22 per dirti che sarebbe arrivato a casa all’1 della mattina e per chiederti se era possibile dire Lodi alle 7.” Che attenzione, ma che coscienza del Mistero! Alle 7 arriva e dico: “Presidente a quest’ora c’è la processione con il Santissimo nella clinica e l’adorazione”. “Padre, vamos (andiamo)”. E così in compagnia di Gesù abbiamo visitato infermo per infermo, ha fatto anche lui la comunione in ginocchio sul pavimento, ha ascoltato il vangelo del giorno con il commento e poi abbiamo fatto colazione assieme. “Padre, non posso incominciare la settimana senza questo gesto con voi, padri, perché come potrei affrontare gli impegni, le incomprensioni quotidiane? Per me pregare è riconoscere che non sono solo, ma c’è un Altro che mi fa le cose.” Normalmente viene sempre alle 5 e 30 del mattino perché alle 6 questo presidente convoca il consiglio dei ministri, che, essendo un problema, se non guarda prima in faccia Gesù, gli sarebbe impossibile sopportare la faccia del presidente e di certi ministri. C’è  davvero tanto da imparare. Ciao, P. Aldo
 
Padre Aldo Trento 12 febbraio 2010
Cari amici: 
Non gli esperti ma la certezza di qualcuno il cui o è definito da "Io sono Tu che mi fai" permette a due fratellini vittime delle peggiori violenze che solo una mente ammalata può mettere in atto, ri trovare la gioia di vivere. 
Guardate le due letterine che mi hanno consegnato ieri sera questi 2 miei bambini. La bambina è quella che aveva disegnato il mostro e mi aveva scritto: "Papá Aldo proteggimi, non lasciarmi". Oggi le loro facce sono come la primavera. 
Amici non ho nessun esperto: solo la certezza che "Io e loro siamo un Tu che mi fai". 
 
Letterine
Oggi abbiamo battezzato un barbone NN. L'ho chiamato Trento Aldo. È molto ammalato questo mio povero Gesù e non so quanto vivrà… però mi assomiglia molto perche anch'io sono un barbone, un povero mendicante del mistero. 
Sempre oggi mi hanno portato un bimbo di 10 anni, peserà 10 kg., tutto malformato, con un polmone solo, cieco e muto. Nessuno lo voleva, noi abbiamo tutte le camere occupate. L'ho guardato, ho visto il volto di Gesù e ho detto ad uno de i responsabili: c'è posto nella cappella del  Santissimo Sacramento esposto, mettiamolo li a fianco. Adesso entrambi si fanno compagnia. Mi dicono non può vivere senza ossigeno e senza una assistenza di 24 ore continue. "Padre ci vogliono tanti soldi perche devi assumere 3 infermiere pagare l'ossigeno di cui ha bisogno" 
Ho guardato negli occhi la responsabile e le ho detto: "ma questo è Gesù e tu vieni con la cazzata dei soldi. Dovessi per farlo perche al Gesú si da tutto o non si da niente" 
Adesso è li con Gesú, come me quando sto male pensate che bello guardare in faccia Gesú in ogni istante è una sorpresa continua, che non ti lascia mai tranquillo perchè a Lui uno deve rispondere ed è bellissimo dirgli sempre "si, oh Cristo". 
Mi affido alle vostre preghiere perchè il mio SI sia il mio respiro. 
P. Aldo 
 




La grazia indispensabile di sentirsi dire: «Io ti assolvo»
Abbiamo abbandonato la confessione e ci siamo affidati agli psicologi. Ma chi può restituirmi il senso della vita se non l’incontro con un uomo che ha il potere – lui, peccatore e limitato come tutti noi – di pronunciare le parole più belle del mondo?
di Aldo Trento
tempi 12 febbraio 2010

Quito, Ecuador, 31 dicembre 2009. Ho ancora alcune ore prima che l’aereo decolli, destinazione Lima, per poi proseguire ad Asunción dove arriverà alle tre del mattino del primo gennaio 2010. Sono in compagnia di padre Alberto, di una famiglia di amici italiani e di alcuni ragazzi del “Gruppo adulto” che vivono a Lima. Sono consacrati e lavorano a un progetto sostenuto dall’Avsi, una onlus italiana.
Mi sono preso alcuni giorni di riposo per passare un po’ di tempo con il mio amico di sempre, padre Alberto. Sono passati più di dieci anni dall’ultima volta in cui abbiamo condiviso due esperienze: l’ultimo dell’anno e il sacramento della confessione. Sia per lui che per me, infatti, era ed è impensabile terminare l’anno senza confessarci. Lo ricordo molto bene: questo gesto sacro è stato all’origine della nostra amicizia, che è stata ciò che ha permesso a questo pover’uomo di rialzarsi dal precipizio psicologico in cui era caduto. Che gesto possiamo compiere più bello di questo, stando in mezzo all’aeroporto, prima di imbarcarci sull’aereo della compagnia Taca che da Lima ci porterà ad Asunción? Mi sono messo in ginocchio e gli ho chiesto di confessarmi. Stessa cosa ha fatto lui, come da vecchia abitudine.
In ginocchio davanti al mio amico e pieno di commozione ho ringraziato il Signore per gli innumerevoli doni che mi ha concesso in questo 2009, e allo stesso tempo gli ho chiesto perdono per la dimenticanza e l’ingratitudine che molte volte mi accompagnano. È stato un momento indimenticabile, come del resto lo è ogni settimana ad Asunción quando, inginocchiandomi davanti al mio confessore e riconoscendo i miei peccati, chiedo la santa assoluzione.
Terminato il sacramento sono salito sull’aereo. Dato che era l’ultimo dell’anno era quasi vuoto. Erano le 19: un cielo terso mi permetteva di godere della vista delle Ande alla mia sinistra e dell’Oceano Pacifico alla destra, mentre il sole al tramonto dava una luce indescrivibile tutt’attorno. Stavo contemplando questo spettacolo e mi sono commosso al punto che ho tirato fuori il breviario e ho pregato la Vergine, e recitato il Magnificat e il Te Deum.

Cento chilometri per un prete
Come non ringraziare il Signore da diecimila metri di altezza, mentre ti guardi attorno e pensi alla tua vita, dedicata a Cristo e a coloro che soffrono 356 giorni all’anno? Viaggio molto commovente. Mi è venuta in mente la confessione celebrata a Quito prima di partire, assieme a tutte quelle volte che ho avuto, nei miei 63 anni di vita, la grazia di potermi riconciliare. Mia madre e il mio parroco mi hanno insegnato a confessarmi ogni settimana, cosa che faccio da quando ho sette anni. Raramente faccio passare più di otto giorni, mi confesso due o tre volte a settimana. E non è sempre stato facile, soprattutto in questi vent’anni vissuti in Paraguay, perché in questo paese è più facile incontrare una mosca bianca che un confessore. Ricordo quante volte ho dovuto fare cento chilometri di strada per trovare un prete, soprattutto nell’entroterra. Però non c’è mai stato un ostacolo tanto grande da impedire il mio desiderio di ascoltare queste parole: «Io ti assolvo dai tuoi peccati nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo».
La salute secondo san Moscati
Potrei stare senza mangiare, ma non senza riconciliazione. A volte, a causa di certe condizioni geografiche, non ho potuto celebrare la Messa tutti i giorni (raramente, grazie a Dio), però non ho mai trascurato la confessione. La mia vita in questi ultimi vent’anni di missione ha avuto ogni tipo di difficoltà, di dramma, di depressione, ma ciò che mi ha salvato e continua ogni giorno a salvarmi è stato questo sacramento. Dio mio, come vorrei che non solo chi come me soffre di depressione, ma anche quelli che si definiscono normali percepissero la grazia del sentirsi dire: «Io ti assolvo»!
Siamo seri e sinceri, se l’uomo è relazione con il Mistero (cosa più evidente e chiara del fatto che respiro), non esiste niente e nessuno che possa dare all’uomo ciò di cui ha bisogno come il sacramento della confessione. E il confessore. Ho sperimentato giorno per giorno che non sono gli specialisti della medicina a tenermi in piedi, né gli psicofarmaci che mi tolgono il gusto della vita, ma il sentirmi abbracciato dalla tenerezza di Dio che si fa presente durante la riconciliazione.
Che tristezza: abbiamo abbandonato la confessione e il confessionale e ci siamo affidati agli psicologi, passando ore e ore sdraiati nei loro studi, con l’unico risultato che il numero dei depressi e dei malati di mente è in continuo aumento. Chi può restituirmi il senso della vita, il suo significato ultimo, se non l’esperienza dell’incontro con un uomo che ha il potere – lui, peccatore e limitato come tutti noi – di pronunciare le parole più belle del mondo: «Io ti assolvo dai tuoi peccati nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo»? Parole divine, che si sono fatte umane al punto che, dopo averle ascoltate, mentre il sacerdote traccia sopra la testa del penitente il segno della croce, uno non dipende più da ciò che ha commesso, fosse anche il peggiore dei delitti, perché è una creatura nuova, relazionata all’Infinito.
Se i santi (vale a dire gli uomini veri) si confessavano spesso, se san Giuseppe Moscati era solito dire ai suoi pazienti: «Io non posso niente per la tua malattia, se prima non ti confessi», è evidente che solo recuperando questo sacramento l’uomo ritrova la salute, perché salute non è altro che la coscienza quando si colma dell’appartenenza al Mistero.
Purtroppo anche tra i pastori, i laici impegnati, quelli che parlano sempre di Cristo, la confessione è diventata la cenerentola della vita. E allora come possiamo pensare a una nuova vita, una nuova civilizzazione, quella che Giovanni Paolo II ha definito «la civiltà della verità e dell’amore»? Non esiste possibilità di relazione umana, di amicizia, di matrimonio, se non torniamo a vivere sistematicamente la confessione come sacramento.

La prospettiva che mi ha salvato
L’aereo sta per atterrare a Lima. Che bello rivivere nel silenzio della notte, in quest’ultimo dell’anno, la bellezza di un atto senza il quale la disperazione mi avrebbe mangiato vivo. Anche i medici sono fondamentali, certo, ma se mancano di questa prospettiva umana non fanno altro che riempire chi soffre di pastiglie e di domande, col risultato descritto dalla maggior parte delle e-mail che ricevo.
La fede e la ragione devono camminare una a fianco all’altra. In caso contrario l’uomo sarebbe condannato alla disperazione. In altre parole, tanto la confessione quanto le medicine devono essere strumenti per sperimentare la bellezza dello stare bene. Altrimenti saremmo tutti condannati all’infermità, e non c’è niente di peggio dello smarrire il senso delle cose e la gioia del vivere.

    padretrento@rieder.net.py


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