giovedì 3 febbraio 2011

MICHELA IL MILIONE VINTO E QUEL CALCIO ALLA DEA BENDATA......


Davide Rondoni giovedì 3 febbraio 2011


Ha i soldi. Ma vuole un lavoro. Come se questo non servisse solo per quelli. Per tirar su soldi. Mentre tutto intorno sembra dire invece solo questo. Lavoro uguale soldi. Lavoro uguale fatica da sopportare per i quattrini per poi usare quelli per vivere, finalmente. Invece no.




Senza lavoro non si vive. Senza soldi sì. Ma senza lavoro no. Da quando nella educazione, nella idea di tutti il successo, il lavoro, la fatica sembrano aver valore solo perché portano soldi se no non valgono niente, le lotterie sono diventate il paradiso in terra. La riuscita. Hanno voluto eliminare tutti i simboli. Croci, e tutto il resto.






Ma hanno alzato su mille video, in casa e nelle stazioni, negli ospedali, il nuovo dio: la fortuna. Una invasione, un diluvio di proposte di lotterie. Di fortune da tentare, a portata di mano. Milioni di spot. Hanno sostituito il crocefisso non con nessun dio ma con una dea antica e nuova, la fortuna. E se gli antichi dietro alla fortuna vedevano il profilo lontano di un monte olimpo o del fato, noi vediamo la sagoma del Ministero delle Finanze.



Ma non cambia molto: l’ideale è la fortuna. Il fortunato è l’ideale. Mica quello che fa fatica, mica quello che sgobba crocefisso alla sua fatica, al suo sacrificio. Mica quello che suda. L’ideale è il colpo di fortuna. Solo che non tiene, non funziona. E lei che ha i soldi, l’ha detto. Voglio un lavoro. Voglio un pezzo di realtà da modificare, da toccare. Da improntare. Perché il fortunato no, non lascia impronta.



Se ne va nella sua beatitudine alto un metro da terra, a un metro di distanza dalla realtà “rugosa” come diceva Rimbaud. Ma l’uomo in cui resta ancora un barlume di ragione e cuore sa d’esser fatto per prendere tra le mani il reale e lasciare la propria impronta. Un dovere, un destino. A cui nessuna fortuna può sottrarlo. E nessuna menomazione.


Michela De Paoli, 43 anni, casalinga di Pavia, disoccupata, dopo aver vinto un milione in un programma di quiz popolare ha dichiarato: “Nella nostra Italia, oggi, a fare notizia dovrebbe essere soprattutto il fatto che quella casalinga, che poi sarei io, non lo è per scelta, ma per necessità. Preferisco dire che sono casalinga solo perché suona meglio che disoccupata, ma la casalinghitudine non fa per me. Sento che potrei dare qualcosa a questa società. Ma, fino ad oggi, non ne ho avuto l’occasione. O non me l’hanno data. Per questo non dovete stupirvi se, mentre la prima cosa che salta in mente a chi vince una somma come quella che ho vinto io è, di solito, «finalmente smetterò di lavorare», io un lavoro mi auguro invece di iniziare a farlo. Ho già detto, e lo ripeto, che mi accontenterei di un posto da receptionist. Ma il mio sogno nel cassetto è fare l’organizzatrice di eventi. Si realizzerà mai? Ad essere sincera, non lo so. L’Italia non è un Paese per intelligenti. E’, piuttosto, un Paese culturalmente allo sbando”. L’Italia dice Paola la milionaria non è per intelligenti. La fortuna non è un dio per intelligenti. Ma per disperati.



Per chi non crede nemmeno più nel lavoro, per chi non crede nemmeno più in se stesso e nelle proprie possibilità. Michela ha tolto un velo dal viso apparentemente sorridente di questa nuova divinità che occhieggia in ogni tv e in ogni spot. Il potere che sempre vuole schiacciare gli uomini può usare molte armi.



Drogarli di sesso, di droghe, di ideologie, di aspirazioni fasulle, come quella alla botta di fortuna. Non solo incassa lauti proventi da questa mania, che non è più solo vizio del gioco, ma “immagine” antropologia, vizio divenuta filosofia. Perciò solo in apparenza pensiero fortissimo e invece debole e disperante.







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