giovedì 28 aprile 2011

GLI INGANNI DELLA COMUNICAZIONE

...Tutto questo piace molto ed è universalmente accettato, tanto che se qualcuno osasse dire il contrario sarebbe immediatamente messo a tacere sotto una salva di “maschilista”, “razzista”, “dittatore” e altre simili espressioni. Il concetto di uguaglianza non è forse stato la bandiera di molti moti rivoluzionari del (relativamente) recente passato?.....


.....Ma anche ammettendo che queste cose non fossero vere, potremmo ugualmente dire che siamo tutti uguali solo per qualche vago elemento che abbiamo in comune? Sarebbe come dire che un aeroplano e una barca sono uguali perché tutti e due hanno il timone; che un elicottero e un minatore sono uguali perché tutti e due hanno le pale; che un transatlantico e Venezia sono uguali perché tutti e due hanno i ponti; che una bicicletta ed una porta sono uguali perché tutte e due hanno il campanello;......


....E per il lavoro è la stessa cosa. Per alcuni un lavoro ripetitivo è la scelta ideale, per altri è una noia mortale. Per alcuni lo stipendio fisso è fonte di tranquillità, per altri è una frustrazione. Alcuni amano il lavoro sedentario, altri hanno bisogno di essere sempre in movimento. Alcuni sono a loro agio lavorando da soli, altri hanno bisogno di sentirsi parte di un gruppo.....

.....L’accettazione del fatto che siamo in realtà profondamente diversi aiuterebbe la causa della pace più che qualunque manifestazione, accordo e legislazione.
Siamo tutti diversi. Per grazia del Cielo......




di Sergio Zicari letto
L’espressione “siamo tutti uguali” è una di quelle che vanno molto di moda nella società del politically correct. Fa molto “democratico” ed è considerata dimostrazione di una certa dose di umiltà, cosa questa che piace molto ad una cultura nemica di ogni voce fuori dal coro. La troviamo sotto ogni forma e varietà nelle pagine dei giornali, nelle conversazioni private, nei pubblici dibattiti, nelle emittenti radio e televisive. La sua presenza è universale e viene tirata fuori per qualunque argomento, come un coniglio dal cilindro del mago.



La sua diffusione è talmente veloce e capillare che ad essa ben si addice quanto Rossini disse sulla calunnia “…lo schiamazzo va crescendo, prende forza a poco a poco, vola già di loco in loco; … alla fin trabocca e scoppia, si propaga e si raddoppia, e produce un’esplosione come un colpo di cannone, un terremoto, un temporale che fa l’aria rimbombar …”[1].
Dalla categorica affermazione “tutti gli uomini sono uguali” ne derivano le altrettanto classiche: “le donne sono uguali agli uomini”, “tutte le razze sono uguali”, “tutti i popoli sono uguali” e così via. Tutto questo piace molto ed è universalmente accettato, tanto che se qualcuno osasse dire il contrario sarebbe immediatamente messo a tacere sotto una salva di “maschilista”, “razzista”, “dittatore” e altre simili espressioni. Il concetto di uguaglianza non è forse stato la bandiera di molti moti rivoluzionari del (relativamente) recente passato? I francesi non hanno forse iniziato l’abbattimento della monarchia al grido di “libertà, uguaglianza, fratellanza”? Intere nazioni non hanno seguito il loro esempio portando così alle moderne grandi democrazie?
Fermiamoci un attimo e proviamo a chiederci, al di là di ogni pregiudizio ed emotività: è davvero così “vera” e “giusta” come sembra questa affermazione?
Osserviamo il mondo che ci circonda. È un inno alla diversità ed un ripudio dell’uguaglianza. Non solo esistono milioni di piante ed animali diversi tra loro, ma non esiste una margherita uguale all’altra, non esiste un tramonto uguale all’altro. Avete mai trovato un ciottolo o una conchiglia uguale all’altra? Una Natura che si è preoccupata di stabilire oltre ventimila specie di api e dodicimila di formiche può poi essersi decisa per la monotonia proprio in ciò che è l’espressione più alta delle sue creazioni? Infatti sappiamo che non è così. Ogni individuo che ha mai vissuto o vivrà su questa terra possiede un DNA diverso da qualunque altro (non per nulla la Polizia usa il DNA per identificare con certezza un colpevole), nessuno ha la stessa impronta dei polpastrelli delle dita di qualcun altro. Ci basta alzare la cornetta del telefono e identifichiamo a colpo sicuro il nostro amico o familiare dal caratteristico timbro della sua voce. Nemmeno i gemelli sono uguali tra di loro, come ben sa ogni madre che non ha mai difficoltà a distinguere l’uno dall’altro.
Naturalmente si dirà che quando si parla di “uguaglianza” tra persone ci si riferisce solo a dei principi o a degli aspetti generali. Per esempio, si dirà che tutti abbiamo bisogno di mangiare, di un lavoro, di sentirci liberi e così via. Che miopia! Anche in questi che sono considerati i “bisogni” comuni, in realtà c’è tanta differenza quanti sono gli individui.
Per alcuni mangiare significa “un pugno di riso”, per altri “antipasto, primo, secondo, due contorni, dolce, caffè e digestivo” (e, naturalmente, tutte le possibili sfumature intermedie). Per alcuni i nidi di rondine sono una prelibatezza, per altri un’immangiabile porcheria. Per alcuni mangiare una braciola di maiale è il sommo della delizia, per altri rappresenta la violazione ad un comandamento divino. Per alcuni mangiare una torta intera favorisce il buonumore, per altri può rappresentare il coma diabetico.
E per il lavoro è la stessa cosa. Per alcuni un lavoro ripetitivo è la scelta ideale, per altri è una noia mortale. Per alcuni lo stipendio fisso è fonte di tranquillità, per altri è una frustrazione. Alcuni amano il lavoro sedentario, altri hanno bisogno di essere sempre in movimento. Alcuni sono a loro agio lavorando da soli, altri hanno bisogno di sentirsi parte di un gruppo. Alcuni preferiscono guadagnare meno ma lavorare pochi giorni alla settimana, altri preferiscono un lavoro che li impegni tutto il giorno, sette giorni su sette, in cambio di un alto stipendio o di una posizione di prestigio.
Per la libertà il discorso non cambia. Alcuni si sentirebbero liberi se potessero avere anche solo qualche ora alla settimana a loro disposizione (pensate a una madre che deve accudire un figlio handicappato o ad uno dei tanti moderni schiavi di cui periodicamente i giornali si occupano). Ad alcuni basta andare a votare ogni quattro anni per sentirsi liberi, altri considerano schiavitù dover sottostare a un governo che non hanno scelto o a un governo che magari hanno anche votato ma che poi pensa solo ai propri interessi. Alcuni si sono sentiti liberi nei campi di sterminio nazisti o comunisti (perché potevano continuare, se non altro, a pensare con la propria mente), altri si sentono oppressi perché i genitori chiedono loro di tornare a casa entro una certa ora o perché i professori danno loro dei capitoli da studiare. Per alcuni libertà significa farsi un buco con una siringa o scolarsi una bottiglia di liquore, per altri è andare a cercare chi è malato o solo per dare un po’ di conforto. Per alcuni libertà è comprarsi auto di grossa cilindrata, per altri è dare il proprio denaro ai poveri. Per alcuni è libertà marinare la scuola, per altri sarebbe libertà se potessero andarci.
Nessuno è uguale a qualcun altro. Nemmeno nell’uso del linguaggio siamo uguali. Infatti, ognuno di noi non dà mai esattamente lo stesso significato che danno gli altri alle parole, pur della stessa lingua. La parola “moto” suscita l’avidità di un ragazzino, il disdegno in un anziano, l’odio in un padre che ha perso suo figlio investito da un motociclista, la paura in una madre ansiosa, richiama al proprio lavoro un meccanico motociclista, stimola la ricerca di nuove idee in un ingegnere della Moto Guzzi.
Ma anche ammettendo che queste cose non fossero vere, potremmo ugualmente dire che siamo tutti uguali solo per qualche vago elemento che abbiamo in comune? Sarebbe come dire che un aeroplano e una barca sono uguali perché tutti e due hanno il timone; che un elicottero e un minatore sono uguali perché tutti e due hanno le pale; che un transatlantico e Venezia sono uguali perché tutti e due hanno i ponti; che una bicicletta ed una porta sono uguali perché tutte e due hanno il campanello; che una giraffa e una bottiglia di vino sono uguali perché tutte e due hanno il collo; che Hollywood e il cielo di notte sono uguali perché tutti e due hanno le stelle; che un Jumbo Jet e una farfalla sono uguali perché tutti e due hanno le ali.
Qualcuno vorrà ancora insistere sull’uguaglianza in almeno alcuni campi o settori. Verrà in mente il classico “la legge è uguale per tutti” (lo dice anche la Costituzione, no?). Bella bufala. Se avete tanti soldi potrete rivolgervi ai migliori avvocati, se siete indigenti vi daranno un avvocato… di fresca nomina e di ben scarsa esperienza. Che avere un buon avvocato aiuti a vincere le cause è dimostrato dal fatto che quelli bravi si fanno pagare fior di quattrini. Se la legge non fosse influenzata dall’abilità degli avvocati, tutti avrebbero la stessa parcella (al ribasso). Anzi, molte volte, non avendo soldi preferirete subire delle ingiustizie (dalle banche, dallo Stato, ecc.) piuttosto che affrontare una causa per voi troppo onerosa. D’altra parte, se siete famosi, i vostri problemi con la legge finiranno su tutti i mezzi di stampa e verranno a conoscenza di tutti; mentre se siete gente qualunque, sarete generalmente ignorati. La legge è uguale per tutti? Provate a parlare male rispettivamente del vostro vicino di casa, del primario dell’ospedale, di un calciatore, di un uomo politico dello schieramento X e di uno dello schieramento Y, o di un giudice e poi vedrete se la legge è uguale per tutti (statisticamente è l’accusa di calunnia ad un giudice che vi vedrà quasi con assoluta certezza in galera e con le più alte penalità da pagare).
Non si tratta di semplice uso improprio del linguaggio, perché le parole che pronunciamo influenzano il nostro comportamento. Una delle conseguenze di questo concetto è rintracciabile nella frase espressa da molti genitori: “Io ho sempre trattato i miei figli allo stesso modo”. Ahi, ahi! Gravissimo errore pedagogico. I figli, in realtà, sono diversi l’uno dall’altro, pertanto dovrebbero essere trattati in modo diverso, proprio per garantire quel comportamento equo (non “uguale”) che dovremmo fornire loro. Se a un figlio basta leggere una volta un testo per capirlo e memorizzarlo, non servirà che l’aiutiamo a fare i compiti come con l’altro figlio il quale, poveretto, ha difficoltà a capire i concetti. Se un figlio sa amministrarsi bene la paghetta settimanale, non avrà bisogno di quella supervisione che richiederà l’altro figlio un po’ troppo prodigo. E che dire delle numerose problematiche con gli immigrati di colore? Forse se smettessimo di considerarli “uguali” e pensassimo a loro come persone con “diverse” culture, abitudini, sensibilità, valori, modi di pensare e di vedere le cose, probabilmente avremmo evitato molti errori e potremmo cominciare a comprenderli meglio (e viceversa).
Vi scandalizza pensare che sono “diversi” da noi? Ma se nemmeno le persone della stessa razza sono uguali! Non solo. Se ciò accade non è forse perché come non comprendiamo la parola “uguali” non comprendiamo nemmeno quella “diversi”? Da dove nasce la paura che ha la nostra cultura di questo termine? Dal semplice fatto che quando, parlando di due cose o persone, diciamo che sono diverse, la domanda che ci sorge immediata è: “beh, allora, quale dei due è superiore/migliore dell’altro?”. Non ci sfiora minimamente il pensiero che due cose possono essere diverse, molto diverse, eppure avere lo stesso valore! Sono uguali un diamante ed una pelliccia? No, eppure possono valere tutte e due la stessa somma. Sono uguali un transatlantico e una fabbrica di materiale elettrico? No, eppure tutte e due possono essere stimate lo stesso prezzo. Sono uguali un uomo e un altro uomo? Un uomo e una donna? Un bianco e un negro? Un negro e un giallo/rosso…? No, eppure il valore delle loro vite, ugualmente, non ha prezzo.
“Anche se sono miliardi di persone a dirla una sciocchezza, un'idiozia rimane un'idiozia”. Se sostituissimo la falsa affermazione “siamo tutti uguali” con quella reale “siamo tutti diversi” si compirebbe all’improvviso uno straordinario balzo in avanti nella reciproca comprensione, rispetto e tolleranza. È l’ingannevole imposizione “siamo tutti uguali” che scatena incomprensioni, litigi e guerre più o meno fredde.
L’accettazione del fatto che siamo in realtà profondamente diversi aiuterebbe la causa della pace più che qualunque manifestazione, accordo e legislazione.
Siamo tutti diversi. Per grazia del Cielo.

Sergio Zicari, Amministratore unico di Akón, si occupa di organizzazione di reti di vendita, di formazione del personale commerciale e non, di iniziative di marketing, di progetti di e-commerce, di ideazione e gestione di start-up. Ha lavorato come formatore, consulente, temporary manager e amministratore delegato. Membro del Direttivo FERPI per il Triveneto, scrive articoli per riviste, libri e per e-magazine sui temi della comunicazione, del marketing e delle vendite. (sergio.zicari@akon.it)





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