venerdì 19 marzo 2010

PADRE ALDO ALLA SDC CON CARRON 10 marzo 2010

Testimonianza di PADRE ALDO ALLA SDC CON CARRON 10 marzo 2010

Oggi abbiamo la fortuna di avere qui padre Aldo; non posso non invitarlo a dirci che esperienza fa,come questo sguardo, questa carità del Mistero con noi è diventata anche sua. Prima di tutto grazie. Sono commosso perché il miracolo ogni giorno più grande della mia vita coincide con la grazia che avete voi di prendere seriamente, parola per parola, quanto Carrón ci dice. Cleuza e Marcos dicevano recentemente ad alcuni amici che chiedevano loro perché andassero in Paraguay: «In Paraguay non c’è niente di bello, è tutto brutto, non c’è niente di peggio al mondo: moribondi, malati di aids, prostitute, travestiti, bambini violentati, barboni della
strada». «E quindi perché andate?». «Andiamo per imparare uno sguardo», che è lo sguardo di Cristo alla Maddalena, di Cristo a Zaccheo, di Cristo alla Samaritana. Questo sguardo per me possiede un punto sicuro su cui non ci sono più dubbi da molti anni: «Io ho la certezza di essere voluto istante per istante così come sono».


La cosa più tragica della vita è l’incertezza affettiva,
perché è la certezza affettiva che sostiene la vita e la certezza affettiva per me è che «io sono Tu che
mi fai», che i capelli del mio capo sono contati, parole che in America Latina vanno da Panama
alla Terra del Fuoco. Guardarmi con gli occhi del Tu, guardare la mia umanità con la modalità
stessa con cui mi guarda l’Essere; e l’Essere mi guarda così, anche quando sono incavolato,
quando sto male, quello diventa un motivo di più, perché non ci sarebbe l’arrabbiatura, il
malessere senza la mia umanità, quindi il malessere, la malattia, il cancro, la depressione
diventano motivo per affermare: «Io sono Tu che mi fai», perché questi fattori appartengono alla
mia umanità. E questo mi fa commuovere, perché, anche davanti alla mia malattia o ai miei malati,
pensate cosa vuol dire: «Il Signore dal seno materno mi ha chiamato, ha pronunciato il mio nome
prima di concepirmi nel ventre di mia madre, di un amore eterno mi ha amato, ha avuto pietà del
mio niente». Parole che Carrón ci ripete continuamente e che sono come il leitmotiv di tutti i
minuti della mia vita e della vita dei miei amici; capite che non c’è aspetto della vita che sia
negativo, per questo i miei malati muoiono sorridenti, perché il punto della questione è questo
sguardo pieno di tenerezza; questo per me è l’inizio della carità. Il secondo passo è che questo io
commosso per il Mistero l’ho incontrato visibile in Cristo; come posso io essere perfetto come il
Padre? Io ho un criterio: guardare a Gesù, come Gesù viveva, come Giussani mi ha abbracciato,
come Carrón mi guarda, è un criterio molto concreto, preciso, per cui il «Tu che mi fai» diventa
Tu, o Cristo. Per questo con Cleuza e Marcos riprendiamo da mesi la predica di Carrón ai funerali
di Pontiggia quando diceva: «Chi sei Tu, o Cristo?». Questa domanda cruciale sta riecheggiando
istante per istante, ma non con una risposta immediata, perché la risposta non terminerà neanche
in Paradiso, se no ci stancheremmo; potremo sempre chiedere: «Chi sei Tu, o Cristo?». E poi c’è
la tenerezza di Dio; sono i due punti su cui stiamo lavorando forte perché nel poter dire: «Tu, o
Cristo», è nato tutto, è nata la certezza che mi fa porre in ginocchio davanti a ogni ammalato e
baciarlo, non perché i vermi non mi facciano schifo, non perché non mi provochi il vomito la carne
che cade a pezzi, non perché sia più bravo di voi, no, ma è perché quella carne putrefatta è Cristo
che soffre, è Cristo che palpita, è Cristo che vive, e quando tu vedi Cristo non puoi non
abbracciarlo, non puoi non baciarlo; e così anche la capacità di baciare o di togliere i vermi
diventa piena di letizia, perché diventa un gesto di gratuità: togli i vermi da Cristo. E un Dio
commosso dalla mia umanità diventa un io commosso davanti a ogni uomo, in particolare a questi
rifiuti umani, perché io devo fare compagnia come Cristo la fa a me, perché Cristo non mi
abbandona un istante, capite? Cristo è un appuntamento continuo con me, continuamente mi sta
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vicino, non mi dice: «Vieni domani», no, è qui presente adesso, e il segno più bello di questo dono
commosso di me è la letizia (cioè tutto mi diventa amico). Allora ai lamenti si sostituisce lo stupore,
la mia impotenza, la distanza è riempita dal Mistero, in fondo io non sono padrone di niente, se il
Mistero vuole questo vuol dire che è il meglio, e tutto comincia dall’io, dal mio io come certezza di
essere voluto. Io mi domando come fa uno a dubitare – dice Cleuza –, come fa uno ad avere dubbi?
Come fa uno ad avere dubbi davanti alle crisi, davanti al cancro, come fa a non sentire che anche
quello è il modo con cui Dio mi ama, anche non dormire è il modo con cui Dio mi dice: «Io sono
qui vicino a te che veglio con te»? Per questo la mia umanità è sedotta, come dice Geremia: Dio mi
ha sedotto e io mi sono lasciato sedurre. Che spettacolo! In ogni aspetto della mia vita, io sono
stato scelto, io sono Tu che mi fai, i capelli del mio capo sono contati: «Chi sei Tu, o Cristo?», ci
diceva Carrón; è da novembre che continuiamo a ripeterci: «Chi sei Tu, o Cristo?», ogni volta che
ci vediamo: «Chi sei Tu, o Cristo?», in ogni cosa davanti a ogni dettaglio. Questa è la carità che
vivo.
Capite adesso perché don Giussani può dire: «Il primo oggetto della carità dell’uomo si chiama

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