venerdì 5 marzo 2010

EDITORIALE DI TRACCE DI MARZO

Il filo rosso
Che libertà si respira, quando scopriamo che la vita è unita. Possiamo vivere senza che si aprano fessure - e poi crepe - nella nostra quotidianità, a separare fatti e aspirazioni, desideri e circostanze. Fede e realtà. La vita è una, può essere una. È ciò che desideriamo di più. E chi sta seguendo il percorso tracciato da don Giussani in Si può vivere così? (il testo su cui da mesi migliaia di persone aderenti o vicine a Cl stanno svolgendo un lavoro quotidiano) sta arrivando, poco alla volta, a scoprire la sorgente di questa unità: la carità. Non “gesti di” carità, non atti buoni che ci capita di fare, ma la carità, la natura stessa di Dio. Il Suo dono di Sé, commosso, all’uomo, perché l’uomo sia. «Perché Dio dedica se stesso a me?»,



chiede don Giussani: «Perché si dona a me creandomi, dandomi l’essere, cioè se stesso? Perché, per di più, diventa uomo e si dà a me per rendermi di nuovo innocente (...) e muore per me?». E poi risponde, con quel verso tratto da Geremia che mette i brividi, letteralmente: «Ti ho amato di un amore eterno, perciò ti ho attratto a me, avendo pietà del tuo niente».
La radice della nostra vita è questa pietà per il nostro nulla. Questa iniziativa di Dio che fa sorgere il nostro essere e chiama in causa il nostro agire, perché tutta la vita diventa occasione di risposta a questo traboccare di carità. Risposta grata alla commozione di Dio. L’opposto della passività.

È questa la liberazione. C’è un filo rosso che lega a trama doppia tutte le circostanze, e che non dobbiamo affaticarci a tessere noi, per tenere insieme i pezzi. Dobbiamo solo rinvenirlo, scoprirlo in ogni angolo della vita come sorgente della nostra vita. Senza più l’affanno di cucire con qualche discorso la fede con la realtà, il lavoro, i rapporti. In quel dono di Dio c’è già dentro tutto. «Senza di me non potete fare nulla». Non è più un abisso da colmare con le nostre forze, ma una Presenza da riconoscere, una sovrabbondanza di grazia a cui cedere. E da cui tutto può - finalmente - partire: il modo di lavorare, lo sguardo sugli altri... Tutto. Persino la politica, che - non a caso - la Chiesa indica con una formula impensabile a chi non vive l’esperienza cristiana: «Una forma di carità». Un interesse per me e per l’altro - per il “noi” - che nasce da quella gratuità e viene prima del potere, delle leggi, degli schieramenti.

A fine mese, compatibilmente con il caos delle candidature (vedi box a pagina 12), in Italia si vota. Voto regionale e locale, ma non per questo meno importante di altre occasioni. E non solo perché i problemi in agenda (la scuola, la sanità, il welfare, la libertà d’impresa...) sono decisivi quanto quelli su cui si legifera a Roma o a Bruxelles. È un’occasione per noi stessi. Perché, come ricordava don Julián Carrón ad alcuni responsabili di Cl nei giorni scorsi, «è in gioco la fede come qualcosa che riguarda la totalità della persona, perciò tutti gli aspetti del vivere». E davanti al disincanto che, ormai, circonda la politica «abbiamo un’occasione di verificare se la fede è in grado di farci interessare anche di questo aspetto della realtà che ogni volta, invece, desta più disinteresse».
La verifica della fede. Ovvero la scoperta, nell’esperienza, di quanto è saldo quel filo rosso. Questa è la grande occasione di questo mese. Sarebbe un peccato sprecarla.

Nessun commento: