lunedì 8 marzo 2010

DON GIUSSANI:QUEGLI OCCHI CHE SONO PER ME GLI OCCHI DI CRISTO

Ogni uomo ha bisogno di un testimone che gli permetta di scoprire che è relazione col Mistero, un “Io sono Tu che mi fai”. È quello che Giussani mi ha comunicato col suo sguardo profondo e pieno di amicizia

di Aldo Trento
Tempi 01 Marzo 2010

Non sono i libri, nemmeno il più importante di tutti, quello che racchiude la parola di Dio, ciò che determina il cambiamento nella vita di una persona. I farisei conoscevano la Bibbia a memoria, la sapevano interpretare in maniera quasi scientifica, però quando arrivò il Messia non lo riconobbero. Chiunque può fare l’elenco dei libri che ha letto nella vita e che fanno parte della sua esperienza personale, però chi ha avuto la grazia di veder cambiare il corso della sua esistenza a causa di una lettura? Non c’è dubbio che per alcuni possa aver coinciso con l’inizio di una domanda, di una curiosità, di una ricerca, di un desiderio. Ciononostante, per muovere la libertà umana e la grazia divina è sempre stato decisivo l’incontro con un testimone: uno che porta nei suoi occhi la bellezza del viso di Cristo. E sembra che affinché la nostra vita trovi il suo destino, la sua meta, è necessario sperimentare ciò che provarono Giovanni e Andrea duemila anni fa. È necessario, come è stato per me, uno sguardo pieno di tenerezza, un abbraccio colmo di umanità, come lo era quello di Giussani. Lui non mi diede un libro, non si preoccupò di darmi una ricetta o gli strumenti per uscire dalla mia condizione sul ciglio dell’abisso, né mi promise che nel giro di poco tempo sarei emerso dalla mia disperazione. Semplicemente mi guardò come Gesù, dritto in volto, e offrendomi alcune caramelle che aveva su un tavolino del suo studio mi mostrò la bellezza di Cristo, e mi fece percepire che la terribile prova che stavo vivendo, la depressione (che mi sembrava fosse riuscita a rubare la mia libertà), era il modo in cui il Mistero dava inizio a una svolta definitiva nella mia vita: il poter dire: «Tu, o Cristo mio». Fu qualcosa di molto concreto, così come era concreta ogni parola che pronunciava: «Che bello padre Aldo, finalmente diventerai un uomo, e ciò che ti sta capitando è una grazia per tutti. Pensa a come sarebbe bello se quest’estate qualcuno venisse a farti compagnia». Io lo guardai con le lacrime agli occhi e gli dissi: «Ma quale laico, quale prete sarebbe disposto a dividere con me l’abbraccio che tu mi hai dato, ogni giorno, per tutta l’estate?» E lui, immediatamente, si rivolse a me allo stesso modo in cui Gesù quel giorno sulla riva parlò a Giovanni e Andrea: «Ti porterò con me». Fu l’inizio della resurrezione, fu il seme di un albero che oggi è carico di frutti. Il cambiamento avviene per grazia, e grazie a uno sguardo carico di tenerezza: come quello di Gesù a Zaccheo, all’adultera, alla samaritana. L’uomo non ha bisogno di strumenti, per belli che siano, come certi libri o certe musiche, ma ha solo bisogno di uno sguardo. Di un testimone che penetrando nella profondità del suo essere gli permetta di scoprire che è relazione col Mistero, un “Io sono Tu che mi fai”. Questa certezza è quella che Giussani mi ha comunicato con i suoi occhi, col suo sguardo profondo e pieno di amicizia. Non mi ha mai lasciato solo fino alla sua morte. E non perché ce l’avessi davanti, ma perché quegli occhi che fissarono i miei quel 25 marzo 1988 non si sono mai allontanati dai miei. Da quel giorno infatti, l’“Io sono Tu che mi fai” è diventato lentamente carne. Per questo ricordando i cinque anni della sua morte non posso non vibrare di commozione al pensare che oggi, dopo più di ventun anni, la mia relazione con Cristo si è fatta radicale, come radicali sono la fame e la sete di Infinito che porto nel cuore. Ogni giorno che passa significa per me guardare il volto di Cristo, e affermare «Tu, o Cristo mio» all’interno di qualsiasi circostanza e stato d’animo, spesso doloroso. Poter dire “sì” a Cristo, come le amiche che mi hanno inviato queste lettere all’inizio della Quaresima. Le loro non sono parole, sono un volto pieno di dolore, però trasfigurato dalla passione con cui vivono la loro relazione con Cristo, pur vivendo una dolorosissima malattia.
    padretrento@rieder.net.py

Carissimo Padre Aldo, non ci conosciamo e non ci siamo mai visti. Ricevo da amici alcune sue e-mail. Sono queste ad avermi costretta a scriverle. Sono malata da vent’anni di tricotillomania (una mania per cui è incontrollabile il bisogno di strappare i capelli). Quello che desidero condividere con lei è il fatto che in quest’ultimo anno sto iniziando a guardare la malattia che mortifica la mia femminilità (e che per questo ho sempre odiato) come l’occasione per fare memoria che «anche i capelli del capo sono tutti contati». Anch’io mi ritengo pazza, ma “pazzamente” desiderosa che Lui mi possegga! Capello dopo capello, questo mi è sempre più chiaro! Ogni tanto chiedo al Buon Dio: «Non sei stanco di passare la giornata a ricontare i miei capelli da capo? Se Tu mi facessi guarire Ti risparmierei un sacco di tempo!». Subito però aggiungo: «Ma se una folta chioma mi facesse dimenticare di Te anche solo per un istante, prenditi tutto, tutti i miei capelli e ogni singolo pelo del mio corpo».Davanti al mondo io posso dirmi certamente malata. Anche davanti agli occhi di Dio lo sono (lo siamo tutti!). Ed è una vera fortuna… del resto, Lui non è venuto per i sani! E proprio come Cristo, anche mio marito, davanti a questa folle mania, mi guarda come una regina. È la Sua precedenza misericordiosa a disarmarmi ostinatamente! Ha deciso di scomodarsi per questa povera donna, un niente, un nulla assoluto che Lui ha reso “TUTTO” con Lui, un TUTT’UNO, proprio UNA COSA SOLA! GRATIS!!! Ma Chi è Costui? Dio mio, che gratitudine! Come al solito, l’Amato mi toglie il respiro! Pazza o equilibrata, malata o sana, tutta Sua, tutta Sua… altro non mi interessa! È per questo che la sento padre e fratello. Preghiamo per lei e per i suoi figli. Un fortissimo abbraccio e grazie del suo “sì”! «Sperando contro ogni speranza».
Lettera firmata

Cari amici, mi rallegro quando venite a trovarmi in ospedale e mi rattristo quando non vi vedo. Siete sempre segno di Cristo, perché la letizia che provo quando venite da me mi è data dal riconoscimento di Lui, mentre la tristezza che provo quando non vi vedo mi è data dalla certezza di Lui: è nostalgia di Colui che ho voglia di rivedere, e non posso provare nostalgia per qualcuno che non esiste. Questo mi fa capire che il Signore, pur essendo presente in tutto e in tutti, continua, anche oggi, come duemila anni fa con gli apostoli, ad avere una preferenza, un luogo che, con grande evidenza, ama in modo particolare. Questo luogo è una compagnia, un gruppo di amici, scelta per facilitare l’abbandonarmi a Lui. Mi stupisce, poi, e mi conforta molto vedere come la mia famiglia si sta abbandonando e consegnando nonostante una grande fatica. La serenità dei bambini e di mio marito mi testimonia che ciò che li determina non è la mia malattia, ma la compagnia di Gesù attraverso alcune persone precise che stanno abbracciando la mia famiglia con l’attenzione verso ogni bisogno, dal fare da mangiare ai bambini, fargli fare i compiti e perfino lavarli e vestirli.
Qualche giorno fa è venuta a trovarmi un’amica. Mi ha detto che desiderava tanto che io ci fossi alle prossime vacanze estive della comunità. Non so perché mi abbia detto questa cosa proprio in questo momento, ma so che un po’ di tempo prima avevo deciso di non fare le vacanze per quest’anno. Dopo quello che mi è successo non voglio più perdere l’occasione di festeggiare Cristo. Noi siamo la sua preferenza e io voglio essere preferita, Lui vive nella nostra compagnia e voglio essere presente quando facciamo festa perché Lui c’è.
Una sera hanno ricoverato una signora che per mancanza di letti ha fatto l’esperienza di rimanere in barella come me nel primo giorno di ricovero. Era accanto a me e stava male. Le ho dato dell’acqua ma non bastava a calmarla. Non mi davo pace, allora le ho proposto di dormire nel mio letto. Io che stavo un po’ meglio avrei preso la barella. Lei non ha accettato e il figlio, stupito, mi ha detto che era la cosa più bella che avesse sentito in tutta la sua vita. Io pensavo ai malati di padre Aldo Trento, lo sguardo e l’amore che lui ha per loro: è la carezza del Nazareno che è per tutti e siamo noi a porgerla.
Dopo qualche giorno è venuto a trovarmi il figlio della signora che nel frattempo aveva avuto un posto letto in un’altra stanza. Mi ha detto: «Prego per te, tu sei nel mio cuore». Una sera che ero sola nell’orario di visita e mi annoiavo un po’, ho chiesto a Gesù: «Vieni a trovarmi, cambia anche forma, non per forza attraverso i miei amici , basta che vieni a trovarmi». Dopo un po’ ho visto entrare dalla porta la signora della barella accompagnata dalla figlia. Si è seduta accanto a me e mi ha fatto compagnia. Gesù risponde subito. Giovedì, in occasione della giornata del malato, è passato un frate per dare l’unzione agli infermi. La signora che era con lui gli aveva detto di non farla a me perché sono giovane. L’infermiera che era di turno, la più dura, fredda, sgarbata, allora lo ha chiamato nuovamente e gli ha detto: «Venga, perché c’è qui una ragazza che sicuramente la desidera». Mentre il frate mi faceva con l’olio santo il segno della croce sulla fronte lei era contenta, con la sua mano sulla mia spalla e mi ha detto: «Hai visto che cosa bella garufina?». Una tenerezza inaspettata.
Io non ho fatto proprio niente per meritare alcunché, sono solo stata male. La cosa più grande è che Lui fa di tutto per stare con me.«Egli moriva in croce per me, mio buon Gesù… mio buon Gesù, non ti partir da me».
Lorena

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