venerdì 12 marzo 2010

TERZA PARTE INTERVISTA A SUSANNA TAMARO SLAP! UN COLPO SECCO ALLA TOLLERANZA

.....«L’abbiamo visto con i casi di Eluana Englaro,
con la legge 40. Come Ponzio Pilato, non sapendo più cosa dire sulla vita,
abbiamo demandato tutto ai giudici. Una follia. È un mondo più orrendo di quello
immaginato da Orwell. Il nostro futuro è il gulag». Nell’immediato è «la perdita
del timore. Una volta, si sarebbe detto il timor di Dio. Io non so cosa possa
accadere in certi stati vegetativi, però ho timore ad agire con brutalità. Oggi,
invece, basta la carta bollata del tribunale per spegnere una vita». E per far
«sparire dall’orizzonte dell’avventura umana l’imprevisto, quest’ospite scomodo
e inquietante, segno più tangibile che la vita è mistero».......


....., «ho cominciato a leggere, a
chiedere, a cercare. Quel senso del mistero che mi accompagnava da bambina come
un fiume carsico ha trovato la luce». Dice che in lei la consapevolezza del
divino «non è nata né dalla paura né dal conformismo, ma dalla meraviglia. La
fede non mi ha portato né chiusure né paure. Anzi, quelle che c’erano, le ha
spazzate via».....




Non basta vivere cercando d’apparire persone perbene. Non basta essere concilianti, come quel tipo dell’aforisma di Churchill, che dava da mangiare al coccodrillo e si sentiva sollevato di essere l’ultimo a dover essere divorato. «Così non si va mai al fondo del problema. Perché siamo incoerenti? Perché facciamo il male? Perché sbagliamo? Una volta me lo hanno detto in maniera chiara: “Lei è odiata perché s’ostina a credere in queste cose arcaiche: il bene e il male”». «Sì, mi faccio ancora domande importanti: che cos’è l’uomo? Perché fa il male? Rousseau si sbagliava. Non è stato Abele, morto precocemente, a generare tutte le stirpi che popolano la terra, ma Caino».



Dove trovare una risposta? Nella Costituzione? La Tamaro se lo chiese sul Corriere: «Ci salverà forse la conoscenza della Costituzione dal degrado? Tutti questi corsi non sono molto diversi dalle guarnizioni di una torta di gesso esposta nella vetrina di una pasticceria». Forse nei nuovi precetti umanitari del rispetto, della tolleranza? «La parola tolleranza, vorrei prendere la paletta e schiacciarla, slap, un colpo secco mentre mi svolazza intorno con il suo ventre peloso e le sue ali iridescenti». Una volta le risposte a queste domande si trovavano in chiesa. Oggi in tribunale.
«L’abbiamo visto con i casi di Eluana Englaro, con la legge 40. Come Ponzio Pilato, non sapendo più cosa dire sulla vita, abbiamo demandato tutto ai giudici. Una follia. È un mondo più orrendo di quello immaginato da Orwell. Il nostro futuro è il gulag». Nell’immediato è «la perdita del timore. Una volta, si sarebbe detto il timor di Dio. Io non so cosa possa accadere in certi stati vegetativi, però ho timore ad agire con brutalità. Oggi, invece, basta la carta bollata del tribunale per spegnere una vita». E per far «sparire dall’orizzonte dell’avventura umana l’imprevisto, quest’ospite scomodo e inquietante, segno più tangibile che la vita è mistero».
È in nome di questo mistero che la Tamaro, cresciuta in una famiglia non credente, si è sempre «schierata per la vita. Anche negli anni Settanta – quella lunga interminabile giornata di pioggia che sono stati gli anni Settanta – quando frequentavo le femministe e tentavo invano di dissuaderle dall’aiutare ad abortire». Poi, verso i trent’anni, «ho cominciato a leggere, a chiedere, a cercare. Quel senso del mistero che mi accompagnava da bambina come un fiume carsico ha trovato la luce». Dice che in lei la consapevolezza del divino «non è nata né dalla paura né dal conformismo, ma dalla meraviglia. La fede non mi ha portato né chiusure né paure. Anzi, quelle che c’erano, le ha spazzate via».Come la Fallaci si definiva un’atea cristiana, così la Tamaro si dipinge come «una cattolica un po’ anticlericale. Da anni conduco una personale battaglia contro la fede dei buoni sentimenti». Le è capitato più volte di chiedere ad amici cattolici quale fosse il fondamento della loro fede. «Mi rispondono: “La pace”, “essere buoni”, “non tradire mia moglie”. Mai nessuno che mi dica: “La resurrezione!”».
LE BANDIERE DELL’UMANITARISMO
Il cristianesimo sta vivendo un «importante passaggio: da fede imposta a scelta consapevole. La Chiesa ha la grande responsabilità di dare una risposta a tutte le persone che chiedono acqua viva e pura. Non può accontentarsi di offrire loro l’aranciata». L’aranciata è la buona creanza, le regole, i precetti. «Io odio i buoni sentimenti, io sono cattivissima», dice Tamaro, sapendo di sfidare così la vulgata che la vuole come la nuova Liala del Duemila. «Ho orrore dei perversi buonismi del nostro tempo. Perché mai dovremmo essere buoni, visto che ci conviene essere cattivi?».
Ha scritto che combattere il male con i buoni sentimenti «è come volere costruire un carro da guerra con degli stuzzicadenti. Viviamo in una società che, per anestetizzare la propria coscienza, ha bisogno di alzare sempre più alte le bandiere dell’umanitarismo, della tolleranza, del pacifismo. Sente i demoni salire dentro di sé, ma non sa come tenerli a bada, così usa i surrogati: l’osceno abito del buonismo».
Contro questa maschera dell’umanitariano sotto cui si nasconde «il ghigno della morte», esiste solo la «trasgressione del cristianesimo». È una cosa diversa da tutte le altre perché «propone un cammino, un percorso, una via per la redenzione». Come ha altre volte scritto, «senza l’idea di redenzione la storia diventa un’arena in cui i vincitori ammassano costantemente i corpi dei vinti. Senza la redenzione la vita degli esseri umani non è diversa da quella dei gitani sorpresi dalla nebbia.
Qual è la via da cui siamo venuti? Dove stiamo andando? Nessuno ha una bussola, si procede alla cieca, tornando sempre sui nostri passi, così, quando la morte verrà, avremo consumato tutte la scarpe marciando fermi sullo stesso posto». La vita è un percorso difficile, una sfida, un rischio: «La salvezza non si compie camminando al tramonto sul bagnasciuga di un mare calmo, ma arrampicandosi come capre tra i monti, tra l’arsura, le spine, con il rischio di precipitare in ogni istante».

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