mercoledì 21 aprile 2010

TESTIMONIANZA DI LUCIANO BARBAGLIA – ottobre 2005


.....Fu così che chiedemmo il battesimo di Paolo, prima che uscisse dall’ospedale. Capivamo che il battesimo avrebbe fatto di un povero pezzo di carne inutilmente sofferente un pezzo del corpo di Cristo che soffre per salvare il mondo. Questo era il bisogno fondamentale che si esprimeva nella gracilità, nella povertà del nostro bambino. In questo stava la fondamentale uguaglianza di dignità con noi “normali”-anzi in questo ci superava-. Nel gesto del battesimo Paolo diventava veramente
uno di noi, uno che come noi, in modo tutto suo, è chiamato a portare la sua croce per la salvezza del mondo. Questo è il suo, come il nostro, fondamentale lavoro. Ha ragione Cesana quando dice che la difficoltà ad accettare il limite è anzitutto una difficoltà a riconoscere il limite nostro e a riconoscere questa fondamentale uguaglianza che lega in Cristo tutti gli uomini.......



Amici,
dopo aver letto dei vostri interventi e del dialogo con Cesana, la mia fondamentale reazione è quella
di aggiungere ai vostri il racconto della mia esperienza, anche se alcuni già lo conoscono.
Paolo fin dalla nascita evidenziava segni che lo differenziavano dalla norma: era piccolo e gracile,poco vitale, e i medici dell’ospedale cominciarono presto a rilasciare “bollettini” poco incoraggianti: avevano capito di trovarsi di fronte ad una sindrome genetica, anche se non riuscivano ad inquadrarla: “Non è un Down” lo sentii dire tra di loro una volta.Per farla breve non mi assicuravano nemmeno che sarebbe sopravvissuto, pur essendo piuttosto vaghi e reticenti. Tutte le sere andavo a trovarlo all’ospedale e scoprivo che era tra i bambini problematici, dei quali c’era poco da compiacersi. Questi bambini erano assistiti abbastanza bene
dal punto di vista medico e per gli altri genitori di bambini con problemi questo era il massimo che desideravano per i loro figli. Io, invece, quando vedevo il bambino che piangeva, sentivo che con quel pianto esprimeva il bisogno di esser preso in braccio, il bisogno di qualcuno che lo consolasse,
che non lo lasciasse solo. Mi sembrava terribile che potesse morire senza che noi genitori l’avessimo tenuto in braccio, l’avessimo accompagnato in questa terribile esperienza, non ci fossimo fatti carico della sua sofferenza , non avessimo cercato di garantirgli, con gesti sensibili di affetto -espressione della nostra, per quanto impotente, condivisione- un’ ultima posività del suo esser venuto mondo. Per gli altri genitori sembrava che il problema fosse solo quello di aggiustare
qualcosa di rotto,e se non si riusciva,…la coscienza era paga di aver tentato il tutto per tutto.Ma era anche chiaro che se noi genitori fossimo stati soli, se non avessimo incontrato Cristo attraverso i volti dei nostri amici (alcuni dei quali venivano a trovare il bambino –che c’entravano loro?-) non saremmo stati diversi dagli altri genitori e anche quello che ci sembrava sentimento
naturale di com-passione ci sarebbe sembrato un sentimentalismo superfluo.
Ma il nostro sentimento naturale ci apriva alla consapevolezza che, se esso da solo era insufficiente a dare senso alla sofferenza del nostro bambino, vissuto, invece, come segno e come tramite dell’amore di Cristo che aveva abbracciato noi, diventava lo strumento attraverso il quale lo stesso amore arrivava concretamente fino a lui, abbracciando e dando senso alla sua vita come alla nostra.



Fu così che chiedemmo il battesimo di Paolo, prima che uscisse dall’ospedale. Capivamo che il battesimo avrebbe fatto di un povero pezzo di carne inutilmente sofferente un pezzo del corpo di Cristo che soffre per salvare il mondo. Questo era il bisogno fondamentale che si esprimeva nella gracilità, nella povertà del nostro bambino. In questo stava la fondamentale uguaglianza di dignità con noi “normali”-anzi in questo ci superava-. Nel gesto del battesimo Paolo diventava veramente
uno di noi, uno che come noi, in modo tutto suo, è chiamato a portare la sua croce per la salvezza del mondo. Questo è il suo, come il nostro, fondamentale lavoro. Ha ragione Cesana quando dice che la difficoltà ad accettare il limite è anzitutto una difficoltà a riconoscere il limite nostro e a riconoscere questa fondamentale uguaglianza che lega in Cristo tutti gli uomini.

Questo riconoscimento, invece, brucia ogni pietismo e paternalismo
Mi capita a volte di trovarmi oggetto della pietà di alcune persone benintenzionate che cercano di
dimostrarci ( a Paolo e a noi genitori) la loro partecipazione alla nostra… “sventura”.
Io allora guardo in faccia Paolo e, invece di dar corda a quel sentimento un po’ melenso, gli faccio qualche smorfia come a dirgli “Non dar retta a costui, che non sa cosa si dice… non è la sventura che ci tiene insieme, è il sentimento di positività della vita, che rende leggera la nostra fatica, che mi fa scherzare con te – e tante volte mi sembra che tu capisca-, che a volte mi fa cantare con te,
mentre tu mi rispondi con i tuoi gorgheggi, o ridi… ridi di me, di te, del mio e del tuo limite, che non è una tomba ma la strada al destino”.

Queste cose le ho ritrovate nei vostri interventi e in quelli di Cesana, come ho trovato anche la testimonianza della fatica e del dolore, che non vengono eliminati. Pure, per quel briciolo di storia che sto condividendo con voi e per quella più lunga che ho nel Movimento, intuisco che la concretezza dei problemi e della fatica è spesso la strada per una crescita inaspettata, non solo interiore,”spirituale” come si suol dire. Lo dice anche Cesana : senza un’accoglienza del malato non
si ricercano nemmeno le terapie per le malattie (si elimina il malato, come paventa un intervento),
mentre all’accoglienza del “diverso” Dio dona spesso la grazia di ridurre tale diversità, attraverso i
talenti che ha dato a ciascuno di noi.
Così anch’io pongo davanti alla nostra compagnia il mio problema particolare, anche se non so fino
a che punto potrà risposta dentro o attraverso la nostra compagnia. Il problema è quello dell’assistenza a persone come Paolo, prive di qualsiasi autonomia, dopo che noi genitori, ormai avviati al tramonto, non potremo più provvedervi. Il desiderio è quello che possano trovare non solo un’assistenza efficiente, ma anche persone educate ad avere verso di loro lo sguardo cui noi stessi siamo stati educati.
Un saluto e un abbraccio a tutti.
Luciano , Maria Grazia, Paolo

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