giovedì 15 aprile 2010

UNA SERATA SPECIALE


UNA SERATA SPECIALE Sul palco con Dante, sfidando il proprio limite
di Linda Stroppa
12/04/2010 - Al teatro Carcano di Milano va in scena la Divina Commedia.

Sul palco una compagnia d’eccezione: trentasette attori di cui venticinque disabili. Due anni di lavoro e l’entusiasmo di essere protagonisti per una sera

I riflettori si accendono. Sul palco, gli attori e la regista. Il teatro è gremito. Gli applausi lunghissimi. Sembrano non finire mai. In platea, molti sorridono, piangendo di commozione. E accompagnano con lo sguardo i trentasette protagonisti.
Per lo spettacolo del 30 marzo, il Carcano di Milano dà il tutto esaurito. Ma cosa c’era di tanto unico nella pièce di questa sera? C’è che a far rivivere il testo della Divina Commedia è una compagnia di disabili. Venticinque per l’esattezza. Diretta da Luisa Oneto, regista varesina, la compagnia ha dato vita al testo di Dante.






Le luci si alternano componendo la scenografia. Sul palcoscenico solo qualche tulle bianco, per dare spazio ai protagonisti: alcuni in sedia a rotelle, altri affiancati dagli educatori. Per oggi saranno colleghi sulla scena.
Si passa dalla selva oscura, per arrivare alla città di Dite e giungere al mare del Purgatorio. S’incrociano gli sguardi di Catone, si ascoltano le parole di Cacciaguida. Un percorso vertiginoso attraverso i tre regni che si conclude con il Non nobis Domine cantato insieme. Mentre anche gli spettatori si uniscono alle voci sul palco.
Per più di due anni i «ragazzi speciali», come ama definirli Luisa, hanno lavorato sul capolavoro dantesco, supportati da attori e ballerini professionisti.
Alle spalle sta la proposta educativa delle cooperative sociali “L’Anaconda” di Varese, “Cura e Riabilitazione” di Milano e “Solidarietà e Servizi” di Busto Arsizio, che s’impegnano da anni nell’assistenza e nella riabilitazione dei disabili psico-fisici.
«Il teatro è una sfida per chiunque», spiega Gianni Nocera, il direttore dell’“Anaconda”, «e dare loro la possibilità di recitare sul palco come professionisti è stata una scommessa vinta. Hanno imparato davvero».
Un progetto teatrale con le persone disabili necessariamente espone al pubblico il limite dei protagonisti: certo, sulla scena c’è il modo di mascherare l’handicap. «Ma il nostro lavoro era proprio l’opposto», chiarisce la regista: «Non si trattava di nascondere qualcosa, ma di valorizzare tutto. Per questo abbiamo scelto la Divina Commedia: la forma apparente, esteriore, di ognuno di loro è proprio ciò che Dante supera, andando dritto al cuore. La frase che Dante fa dire a Ulisse nel XXVI canto dell’Inferno (“Fatti non foste per viver come bruti...”) e le parole rivolte a San Giacomo nel XXV del Paradiso: “Speranza è un attender certo della gloria futura”, hanno accompagnato questi anni di lavoro».
Con queste provocazioni è iniziato l’approccio dei ragazzi all’espressività teatrale, in un percorso che abbraccia le tre cantiche. Sul palco del Carcano compaiono Virgilio, Caronte, Manfredi, Matelda, Beatrice, Piccarda, fino al culmine di quell’Inno alla Vergine eseguito coralmente.
«Il fatto eccezionale», afferma Nocera, «è stato il coinvolgimento e la partecipazione, tanto da parte dei disabili, quanto degli educatori e dei collaboratori. Erano fieri di sé. E il mio stupore continua giorno dopo giorno, quando li osservo mentre si preparano ai prossimi impegni al teatro Nazionale nel mese di giugno. Molti di loro non sanno neppure leggere, ma recitano le terzine di Dante a memoria davanti a più di mille persone».
E Luisa aggiunge: «La commozione profonda sorge di fronte alla trasfigurazione delle persone, poste nella condizione di esprimere la loro realtà con l’aiuto del personaggio da interpretare. Sembravano come ridestati, tanto che alcuni genitori ripetevano stupiti: “Non riconosco più mio figlio”».
A fine spettacolo sale sul palco un ospite d’eccezione: l’allenatore del Milan, Leonardo. È spiazzato di fronte alla bellezza della serata: «Non mi aspettavo questo», ammette allargando le braccia, come in segno di scuse. «Non voglio aggiungere niente. Qui c’è qualcosa di nuovo per me: come sono guardati e trattati questi ragazzi».
«Dopo lo spettacolo mi sono arrivate molte mail e decine di messaggi», racconta Antonello Bolis, direttore di “Cura e Riabilitazione”. «Uno mi scrive: “Facendo la somma di tutti i fattori, i conti non tornano. Bisogna ammettere che era presente un Altro”. E poi ancora: “Siamo entrati pensando di vedere qualcosa di livello non particolarmente alto, salvabile comunque per gli alti fini sociali, e ne siamo usciti commossi”. Niente da aggiungere», sorride Antonello. «È proprio vero ciò che ha detto Romano Guardini: “Nell’esperienza di un grande amore tutto diventa avvenimento nel suo ambito”».

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