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Firenze, Lunedì 17 maggio 2010
Simoncini: Questa sera dobbiamo alla perseveranza di alcuni nostri amici che in questi tempi hanno sempre insistito con Padre Aldo nell’invitarlo a Firenze, durante le diverse volte in cui è venuto in Italia, e dico dobbiamo alla perseveranza, di questi nostri amici, che hanno sempre continuato ad invitare, il fatto che oggi è possibile questo incontro.Padre Aldo è qui in Italia per incontrare il suo capo Camisasca e quindi abbiamo colto l’occasione per dirgli di fare una puntata qui a Firenze; non è facilissimo e lo ringraziamo tantissimo di questa disponibilità. Non è facilissimo trovare tempo e modo di inserire una data così, nell’agenda molto fitta che ha. Poi quello che rende questa occasione unica è il fatto che oltre ad avere Padre Aldo abbiamo anche Roberto Fontolan che come vedete piace, ha una certa aurea di mistero che preferisce avere questo momento, che è il trionfatore assoluto di ieri, cioè lui è il direttore del centro internazionale di CL, ma soprattutto è stato uno degli artefici dell’incontro di ieri a Roma, con il Papa. Si e’ anche
visto ad un certo punto nei maxischermi! In realtà oltre questo non c’è molto da dire
perché è l’opportunità di ascoltare e anche di porre qualche domanda a Padre Aldo; visto quello che soprattutto Carron ci segnala e ci sottolinea di scoprire dell’amicizia con lui.
Però il fatto di averlo qui insieme a Roberto ci permette intanto di dare la parola a lui che lo conosce da tantissimo tempo, oltre ad essere un suo grande amico, ma ne conosce anche l’opera e l’azione missionaria di Padre Aldo anche proprio per il ruolo che ha all’interno del movimento, perciò io proporrei di dare la parola a Roberto per un’introduzione e una qualche domanda e poi c’è lo spazio per altre domande.
Roberto Fontolan: Bene, grazie, intanto vi devo chiedere scusa se vi parlo con questi occhiali scuri ma venendo via da casa...”hai preso questo, hai preso quello, hai preso la penna, hai preso il telefono, hai preso Padre Aldo”...mi sono dimenticato gli altri occhiali che ho lasciato sul tavolo e quindi mi scuserete per questo, non è assolutamente, insomma mi dispiace, ma non è un gesto di maleducazione nei vostri confronti!
Io ho conosciuto Padre Aldo nel 2005 in Paraguay ad Asunciòn dove sono andato per
un’insistenza molto forte di Don Massimo Camisasca che mi aveva chiesto più e più volte
di andare a conoscere questa realtà per poi scriverci sopra un piccolo libretto, che è
uscito quell’anno e così diciamo sinceramente non avevo mai sentito parlare di Padre
Aldo. Lo posso dire, lui lo sa quindi non si offende per questo.
Io continuavo a rimandare perché mi sentivo un po’ stretto ad andare in Paraguay, era una
cosa complicata non è semplice e così di rinvio in rinvio alla fine non potevo più rinviare e
ho detto vabbè ci vado proprio perché ero stretto con le spalle al muro e così quando sono
arrivato all’aeroporto ho trovato questo sacerdote che, ripeto, non conoscevo e non
conoscevo neanche questa realtà di Asunziòn del Paraguay e per me è stato come vivere
in quell’occasione, come ritrovare un faccia, un pezzo di Don Giussani. Lo dico perché per
me è stato quell’anno lì anche per una situazione che vivevo per vicende mie, perché poi
era morto da poco Don Giussani a febbraio, io mi trovai in Paraguay mi pare un mese
dopo, e per me ecco la conoscenza immediata con Padre Aldo mi aveva come fatto
ricordare il suo accento, il suo modo di parlare, il suo sguardo; mi avevano fatto ritrovare
alcune delle cose che avevo conosciuto di Don Giussani, quindi è stato quel mese, due
mesi, quel periodo lì molto intenso da questo punto di vista. Padre Aldo Trento è in
Paraguay dal 1999, dico alcune cose che magari non sono scontate per tutti e la sua è
una vocazione molto giovane: mi ricordo che lui viene dal bellunese, dalle montagne
mitiche di cui ha sempre un grandissimo ricordo e spesso racconta che quando da
bambino, era giovanissimo, preparava la valigia insistentemente per andare in seminario
la nonna gli toglieva quello che lui metteva nella valigia e che a un certo punto ha detto
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“Vabbè, io vado” e siccome non lo volevano accompagnare in seminario ha preso il
passaggio da un trattore che passava lungo la strada per arrivare fino al seminario, quindi
insomma un personaggio che fin da piccolo era piuttosto determinato. Arriva in Paraguay
ad Asunciòn nel 1989 e dopo aver fatto a lungo per molti anni l’insegnante di religione nei
licei sia nel sud d’Italia che nel nord a Feltre e in anni piuttosto tempestosi, come erano gli
anni settanta; la sua seconda vita inizia un giorno in Paraguay, dove alla partenza è stato
accompagnato in persona da Don Giussani, che lo aveva praticamente messo su questo
aereo e lì inizia un’altra, la sua seconda vita, l’Aldo Trento che poi nel tempo abbiamo tanti
di noi imparato a conoscere. Il Paraguay è un Paese un po’ particolare diciamo, una
specie di cenerentola di tutti i tanti paesi dell’America latina, anche perché è un Paese di
circa 400.000 km quadrati quindi un po’ più grande dell’Italia ma con solo 6 milioni e
mezzo di abitanti ed è una cenerentola stretta tra i grandi giganti dell’Argentina e del
Brasile. E’ un Paese tutto sommato piuttosto povero e anche un po’ rassegnato, si può
dire così, un po’ mesto nel concerto di tutti questi Paesi. La vita di Padre Aldo in Paraguay,
poi lui vi dirà chiaramente le cose, è una vita molto dura, molto intensa, molto tormentata,
anche per le condizioni climatiche, nel senso che è quasi un contrappasso dantesco: dalle
montagne bellunesi, dal fresco della bellezza delle Dolomiti, si trova in un Paese che ha
un caldo, dove il caldo è totalmente atroce, torrido, dove è difficilissimo, è proprio pesante
e infatti lui nella parrocchia, dovunque nella parrocchia, perfino nei bagni, ha messo i
condizionatori perché non vuole più soffrire questo caldo che per tanto tempo l’ha così
tormentato in questo strano Paese un po’ sbrindellato come il Paraguay. E in questa
parrocchia che si chiama San Rafael, è una parrocchia di un quartiere residenziale di
Asunciòn, è nata nel tempo, dopo diciamo così un lungo cammino, tante vicende tante
storie che si sono incrociate in questa storia di Padre Aldo, è nata nel tempo quella che
oggi possiamo definire una vera e propria cittadella della carità o cittadella della
misericordia che ha un suo cuore un suo centro, un punto di vita pulsante che
paradossalmente questo punto di vita pulsante è una clinica per malati terminali, cioè è un
posto dove la gente va per morire, lì non si guarisce, è un posto dove la gente viene
accompagnata all’esperienza più importante della vita potremmo dire ed è questa realtà,
questa clinica, che da quando è stata aperta alcuni anni fa ha visto morire più di
settecento persone, grandi, piccoli, giovani, vecchi, donne, anziani, molti con storie
veramente terribili, con vite veramente estreme, moltissimi vengono accolti per strada,
sono privi di qualunque tipo di assistenza dovunque e comunque e molti vengono portati lì
dall’autorità, dalla polizia, da altri ospedali che non riescono più ad accogliere o non
vogliono accogliere e lì in questo luogo che è voluto, costruito, pulito, smaltato, come
trovarsi in un ospedale a Stoccolma tanto è il suo nitore tanto è il suo lindore tanta è la sua
pulizia, trasparenza di questi posti, dei suoi colori, di come vengono trattate le persone, di
come vengono curate le persone; ecco c’è questo scarto continuo attorno a questa clinica
che è dentro il recinto della parrocchia come un po’ una cittadella medievale. Infatti Padre
Aldo l’ha fatta disegnare, l’ha fatta costruire come fosse un piccolo castello medievale,
perché parte del recinto è disegnato con le merlature, le feritoie, esattamente come un
castello medievale circondato però da baite dolomitiche e quindi voi vi trovate in una
situazione anche lì un po’...
Padre Aldo:...un castello del Tirolo!!!
Roberto Fontolan:...ecco, Paraguay, Asunciòn, un castello del Tirolo, accanto ci sono le
baite dolomitiche costruite coi tronchi di legno, è più come stare in Val Badia, in un posto
del genere e siamo nel pieno dell’America Latina e attorno a questo naturalmente ci sono
cresciute nel tempo tante altre cose: c’è una scuola per bambini credo che siano circa 200
bambini attualmente no?!? Ci sono due case per bambini orfani, le Casita de Belen 1 e 2,
c’è la casa di accoglienza per anziane, c’è la casa di accoglienza per anziani, c’è il
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sistema di assistenza medica offerto a tutti i poveri della zona quindi con medici, una sorta
di ambulatorio e così via. È molto difficile raccontare tutto perché è un complesso di vita
che poggia tutto su questo cuore misterioso di questa clinica per malati terminali. Ecco, io
ho dato semplicemente una piccola didascalia che volevo offrire perché non è scontato
che tutti sappiano queste cose, lui certamente adesso dirà più cose e io perché mi era
stato chiesto di proporre a Padre Aldo come uno stimolo, uno spunto la prima cosa che
vorrei chiedergli, che penso sia utile, è proprio riferita a quest’ultima parte di questa nuova
vita paraguayana di Padre Aldo. Questi ultimi anni gli è successo qualcosa che a tanti di
noi viene richiamato da tempo da Juliàn Carròn, da Padre Carròn come un punto da
guardare. Padre Carron ha scritto, ha detto in più occasioni, che ciò che succede in
America latina, attorno a una certa storia di amicizia tra Padre Aldo e altre persone che
sono i brasiliani che vivono in Brasile che si chiamano Marco e Cleuza Zerbini, un altro
sacerdote che sia chiama Juliàn De la Morena...sta succedendo tra loro qualcosa di
importante, qualcosa di importante per tutti, non solo per i brasiliani o i paraguayani o per i
latino americani, qualcosa di importante per tutti noi, che ha qualcosa da dire a tutti noi e
non solo a noi che si appartiene al movimento di Comunione e Liberazione ma a tutti in
qualche modo.
Allora vorrei chiedergli cosa succede in America Latina di così importante, di così
interessante, di così esemplare?
Padre Aldo: Bene io vi ringrazio di cuore, soprattutto monsignor Silvano, a cui ci unisce
un’amicizia secolare, tutti e due abbiamo il pelo bianco, i capelli bianchi, pelo è in
spagnolo, scusate. Sono contento di rivederlo, e tanti altri amici.
Però come sempre io inizio in ogni luogo dove vado, inizio dicendo un Gloria al Padre per
Carròn, perché sennò non capite niente di quello che vi dico, perché io sono un miracolo
di Don Giussani, voi sapete che il mio destino sarebbe stato un ospedale per malati
mentali e quindi sono proprio l’esempio, come diceva CAREN RITIN, nessuno può dare
obiezioni a Dio, perché ha A, B, C problemi. Dio si serve di un matto di uno stupido per
fare quello che vuole. Per me questa cosa oggi è evidente ancora più intensamente di
quando ho incontrato Giussani, in questo per me padre, amico che è Carròn, per questo
voglio dire a voi, allo Spirito Santo, un Gloria al Padre perché ci aiuti a vivere questo
momento nella continuità dell’avvenimento accaduto ieri.
Gloria al Padre…
Chiedo scusa se non riesco a parlare bene, perché è dovuto appunto a questo
esaurimento lunghissimo, la mia bocca ne sta pagando ancora le conseguenze soprattutto
la fatica a muovere la lingua perché si intrappola tra i denti, quindi è solamente quando
parlo di Cristo che mi è più semplice accettare questo dolore, questa sofferenza, questo
fastidio,dovuto ad un fatto neurologico, non dovuto ad un fatto fisico, emotivo, tanto perché
mi abbiate ad avere un po’ pazienza, se vi sembra che sono un poco nervoso ma devo
dominare il dolore che sento.
Allora quando si parla di Cristo il dolore è una grazia, capite, quando si parla di Cristo e si
parla di ciò che richiama Cristo non esistono obbiezioni. Anche se senti che sembra che la
bocca venga come strappata a pezzi. Come è nata questa amicizia impensata fino a due
anni fa che sta letteralmente cambiando il continente latino americano? Come è nata
questa amicizia che ci ha ridato la speranza della verità delle parole di Giovanni Paolo II
che l’America latina è il continente della speranza. Quando poi hanno eletto presidente un
vescovo del mio paese dicevo: “qui Giovanni Paolo II ha letteralmente profetizzato male”.
Oggi invece vedo il compiersi della profezia. Dunque tutto è iniziato da un uomo, dal
guardare un uomo perché non è che l’iniziativa parte da te, nasce da uno che ti guarda e
tu te ne accorgi che ti guarda, questo uomo è Carròn. Per Cleuza e Marco è stata una
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frase detta a La Thuile: “anche i capelli del vostro capo sono contati”. Per me è stato due
anni fa in un albergo alla periferia vicino all’aeroporto di San Paolo, mi domanda “come va
il tuo supermercato di opere?” Cioè tutto il casino di opere che ci sono, gli dico “guarda
Carròn a me non me ne frega niente perché non sono io che l’ho fatte”, per questo quando
Piatti mi chiederà di parlare al Meeting, di cosa parlo io??!! Io non ho fatto niente li, io
posso parlare del casino che sono e di quello che mi è accaduto nella vita del resto
chiedilo al Padre Eterno. Ed è nata questa testimonianza che ho scritto mentre mi tagliavo
i capelli una mattina che non sapevo cosa dire (il giovedì mattina) e io dovevo parlare alle
tre del pomeriggio. Ho detto allo Spirito Santo e alla Madonna: dimmi cosa devo dire
perché io di cosa posso parlare?. Di cosa parlo di 16-17 opere che esistono li. Non sono
mie!.
Dico: “guarda Julian a me interessa una cosa, mi interessa raccontarti quello che sta
accadendo nel mio io, nel mio rapporto con la realtà, perchè da quando l’uso della ragione
– questo titolo del libro Vivere internsamente il reale - per me è il cuore di ogni istante; non
ho mai smesso un istante di vivere intensamente il reale. E’ come dice il capitolo X del
Senso Religioso che mi segue accompagnandomi.
A Carròn gli raccontavo questa vita inquieta, rabbiosa, che mi ha portato a farne di tutti i
colori sia prima, sia dopo prete, sia quando l’ideologia mi ha distrutto la testa, sia quando
mi sono innamorato, sia quando ho avuto l’esaurimento, sia quando per non perdere
quella donna, Giussani mi ha mandato in Paraguay, gli anni di dolore, voglia di non vivere.
Sono qui per raccontarti questo, il mio impatto con la realtà, perchè non ho mai smesso di
guardare la realtà anche quando la odiavo. Non avrò obbedito ai miei superiori, molte
volte, però la realtà l’ho sempre presa sul serio. Non ho mai potuto dire, come si fa con i
superiori, ho obbedito alla realtà; seguo obbedendo da sette anni la malattia. Gli ho
raccontato questo e per questo ho cercato disperatamente in tutte le cose, anche quelle
più disgraziate, quella X, perchè il Cristo in cui credevo non era quella X; io vivevo il
mistero di Cristo senza la coscienza che il Cristo è un’unità con il Padre. Era un Cristo
senza Dio. Quindi un Cristo che non mi interessava più e li l’ideologia. Perchè i due rischi
sono un Dio senza Cristo o un Cristo senza Dio.
Io ho vissuto questo punto, per cui la rabbia, e quindi tutte le cose che ho fatto nascono da
qui. Allora quando gli racconto questo immaginatevi Juliàn che non solo è un uomo che ha
assimilato in maniera impressionante il carisma di Don Giussani, ma ha portato il suo
carisma personale. Perchè dobbiamo riconoscere che l’unico uomo che ho incontrato nella
mia vita del movimento, che non solo non ripete, verifica, lui è il verificatore del carisma di
don Giussani, però lui lo verifica con il suo carisma, che Dio gli ha dato. Per cui è una
ricchezza molto più grande di quando addirittura stava don Giussani. Fino al punto che io
oggi vibro di più leggendo Giussani e facendo la Scuola di Comunità, perchè vedo lui, e
non è che lo vedo come voi. Questo voglio che sia chiaro. Da li, da quel momento lui,
Carron, fa una giornata di inizio anno, due anni fa, e dice: “guardate li”, non dice “guardate
al Nord Italia”, ma in tre paesi sottosviluppati (anche se il Brasile è l’ottava potenza
mondiale). Guardate in tre posti sottosviluppati a cui nessuno guarda!
Marco e Cleuza, Rose e Vicky e questo cretino di Prete, della depressione, no!
Il famoso prete in depressione per essersi innamorato; meno male che mi ero innamorato
di una donna, senno chissà che casino sarebbe successo! Allora guardate li, il primo a
prendere sul serio quel guardate li sono stati Marco e Cleuza, non io. Me li vedo arrivare
un giorno di novembre di due anni fa, io dico: “Marco e Cleuza, perchè siete venuti qua?”
“Perchè Carròn ci ha detto di venire da te, per vedere tu come guardi la realtà, come
guardi i tuoi malati”. Mai successo in vita mia, anche perchè io ero per i capi di allora un
boyscout, cioè il movimento era un’altra cosa. Lì, da me invece c’erano: prostitute,
omosessuali, travestiti, tutti malati di AIDS, malati terminali, quindi Scuola di Comunità, le
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decime, cosa potevano pagare? Bambine violentate, vecchi per la strada, barboni. Quello
non era movimento, capite? L’altra novità che hanno introdotto Cleuza e Marco, grazie a
Carròn, per cui io per moltissimi anni mi sentivo uno che desiderava essere riconosciuto
movimento, però non lo ero e per di più mi arrabbiavo con Dio e dicevo: “perchè mi ha
messo in questo casino?” Perchè quando ero in Italia e partecipavo agli incontri con Negri,
mi sentivo di CL, tutto perfetto: incontri, Scuola di Comunità; potevo partecipare a tutto,in
Paraguay ero come una madre con 20-40.000 figli. E che posso fare? Andare alla Scuola
di Comunità.
“Noi siamo venuti qui per apprendere il tuo sguardo”. E li mi è venuto in mente quello
sguardo di via Martinengo del 25 Marzo dell’1989 quando andai da don Giussani a dirgli
distrutto, perchè venivo dal moralismo, chè tanto suscita scandalo, perchè l’innamorarsi
sembra sia peccato e Giussani mi disse: “Finalmente ti sei innamorato di una donna”. Era
l’unico modo per togliermi dall’ubriacatura dell’ideologia, perchè finchè non sei toccato nel
cuore, nell’anima, finchè rimani al livello intellettuale, finchè non conosci la realtà e non
vivi, finchè Cristo coincide con la tua fantasia, risolvi le categorie di Dio, è comodo.
Quello sguardo, che mi ha abbracciato, che mi ha amato “che bello diventerai un uomo!
Una grazia per te, per lei, per la Chiesa, per tutto il movimento”. Che potevo capire io?
Quello sguardo, capite, quello sguardo, e loro, gli Zerbini, mi dicono: “veniamo qui per
apprendere quello sguardo”. Lo sguardo mio che ho sui malati, su tutto e io ripenso che
quello sguardo non è mio. Lo ricordo come Giussani mi ha abbracciato.
Come in quella foto che ha fatto il giro del mondo, che abbraccio quel ragazzo li, la
Resurrezione; è da li che inizia l’avventura. La prima cosa che capisco è che a tutti e tre ci
unisce una storia: la vita nella sua durezza, da piccoli non ci è stato scontato niente, il
dolore e la sofferenza. Leggete su Tempi della prossima settimana, credo, perchè stanno
preparando un bellissimo servizio in cui ho chiesto ad Amicone che pubblichi la vita di
Cleuza fatto per un giornalista della rivista di San Paolo. Perché conosciate la sua
infanzia, il suo dolore, la lotta, anni di lotta, perché sono qualcosa di indescrivibile. Per
questo che Cleuza è cosi affascinante e anche cosi “dolorida”, perchè non è che sia un
campione di salute. Quindi il borghesismo sia per loro che per noi non esiste. Anche oggi
per come viviamo non è una vita comoda. Cleuza dice una cosa: che non sopporta la
pigrizia, il borghesismo, l’assenza di domanda. Il sacrificio. Giussani dice che una delle
gravi crisi dell’educazione è che ai figli si dà tutto, non si insegna più a conoscere il
sacrificio. Per questo la regola dell’opera di Dio è calli nelle ginocchia, “Io sono Tu che mi
fai”, calli nelle mani, calli nella testa, osservazione e studio. Operatività, calli nelle mani: il
lavoro. Allora capite questa vita dura. Loro in crisi, io immaginate come ero. Loro i capelli
del capo, io la frase che Giussani ha ripetuto tante volte e che mi ha aiutato a toccarla
prima che diventasse mia: “Io sono Tu che mi fai”. Li è cambiato tutto.
Ho smesso per pura grazia a non guardarmi più con i miei occhi di disperato, ma a
guardarmi con gli occhi di lui. Quando ricordo che parlavo con lui di queste cose qui,
Giussani diceva: “Ma Padre Aldo, tu sei Tu, io sono Tu che mi fai”. Pensavo: “prima di
essere concepito nel ventre di tua madre, io ho pronunciato il tuo nome.”
Immaginate questo principio ontologico, che prescinde dalla modalità con cui posso
essere concepito, come le mie bambine, che sono diventate madri, perchè stuprate. O
come le mie bambine violentate, perché ho una casa di bambine di 12 anni che aspettano
bambini. Quando loro capiscono questo, perché lo vedono in me, “io sono Tu che mi fai”.
Va bene la modalità esecrabile, però quella è secondaria, rispetto a “Io sono Tu che mi
fai”. Tu non sei nato quando tuo padre e tua madre ti hanno concepito, sei nato quando
uno come questo imbecille ti ha aiutato a capire con la sua vita che tu sei stato creato
prima ed è quello che dà l’ontologia all’uomo non dopo. Con Carron questa cosa mi era
evidentissima, mi è ora più cara che mai: “Ti ho scritto nelle palme delle mie mani, sono
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come la pupilla dei miei occhi”. Sono i salmi che recitiamo: capite? Ci guardiamo dentro
questa cosa qua. La prima conseguenza è capire che il movimento è chiunque mi guarda,
e io lo guardo saltando tutti gli schemi e più nessuno capisce niente. Quindi il movimento è
l’omosessuale, il travestito, la lesbica, i malati di AIDS, i malati di cancro, bambini
violentati: tutta la parrocchia diventa il movimento.
Fino al punto che quando viene Carròn a visitarci gli ho fatto una sorpresa. I capi avevano
riunito tutte le diaconie e io ho portato a pranzo i malati di AIDS. Capite che tutto il
Sinedrio è rimasto un po’ sconvolto. Io che porto? Porto il movimento ed è stato bellissimo.
Perchè Carròn, perchè gli interventi più belli, non sapete, perchè c’è sempre l’autorità. Ma
leggete amici! Quando leggo Carròn è l’io, è l’umano.
Noi non abbiamo ancora fatto gli Esercizi, ma gli ho visti oggi. Lui quando dice questo:
“che l’aspetto più cruciale della difficoltà che avevamo è identificata nella mancanza
dell’umano”. Lui passa tutti i miei malati, uno per uno, e fa un’assemblea con i malati
terminali, nella clinica e mangia con loro. Allora quello che hanno scritto i miei malati è
commovente: Cleuza e Marco mi hanno fatto capire che i 120.000 che hanno loro, anche
se formalmente non pagano le decime, anche se formalmente non vivono gesti supremi,
belli come quelli di ieri o come quelli di quando siamo stati ricevuti dal Papa. Sono
movimento perchè guardati da questi occhi, dai loro occhi. Quando dopo un incontro che
abbiamo avuto con 10.000 persone a San Paolo, Cleuza era un po’ triste perchè diceva:
“Come sarebbe bello che rispettassero il silenzio”, come voi no? Ma Carròn dice a Cleuza:
“ Ma questo è un cammino, il nostro punto di paradigma è San Pietro, per questo San
Pietro quanti anni in Italia, quindi animo! L’importante è che questa drammaticità che
questa cosa che mi definisce sia sempre più potente.”
E ci lancia una sfida: “Voglio vedere che cosa produrrà la vostra amicizia operativa.”
L’altro giorno mi scrive una lettera dicendomi: “Vi ringrazio perchè vedo come Cristo attua
tra voi”. Gli avevo scritto: “da Pasqua l’ultimo testo che noi abbiamo è quello di Pasqua
Feriti torniamo a Cristo. Come abbiamo lavorato anche sui nostri giornali: abbiamo un
settimanale diffuso in Paraguay e quindi tutti i testi vanno sul giornale. I ragazzi del CLU
hanno fatto Scuola di Comunità su questo testo qui, mandandolo in 30.000 copie in un
paese di 6 Milioni di abitanti, che sapevano a malapena leggere, scrivere”. E lui diceva
“Ringrazio come Cristo attua in mezzo a voi”.
Il punto quale è stato? Andare al fondo di questa amicizia. E qual’è il primo gesto? Vederci
sistematicamente perché uno che incontra degli uomini come Marco e Cleuza poi Juliàn
De la Morena, poi Bracco, non puoi non desiderare di fare 4.000 km ogni 15 giorni. Io che
vado e loro che vengono. L’avete letto su Tempi Una giornata con loro? Perché loro fanno
la Fraternità con me e i miei operai e sono il termometro. Come è che camminiamo? Su
Tempi avete letto un po’ il dialogo, no? Ma perché faccio 4.000 km ogni 15 giorni? Vado
arrivo lì, dopo ore di viaggio, alle 2 del pomeriggio, alle 4 ci incontriamo fino a quando non
ho l’aereo e riparto, mi portano loro all’aereoporto. E perché loro vengono? E hanno
portato molti dei loro responsabili, per poter continuamente mettere a tema quello che
Carròn ci ha detto. Come è che sta cambiando la nostra vita? Ovviamente in questi giorni,
adesso i prossimi tre giorni avremo il ritiro, gli Esercizi che avete fatto voi.
Il punto di partenza era quello che è apparso sull’articolo de “La Repubblica”. Come la
predica che Carron ha fatto ai funerali di Pontiggia, ha durato per molti mesi: “chi sei Tu oh
Cristo?”.
E partendo da questa amicizia è nata un giorno una proposta. Perché non proponiamo
questa amicizia a tutti gli amici dell’America Latina che vogliono, liberamente. Dio mio non
l’avessimo mai detto. Prima eravamo tutte isole. Sapete cosa vuol dire isole? Il Paraguay
non andava in Argentina, un poco più con i brasiliani che sono più simpatici, gli argentini
sono un poco come i milanesi, hanno un io che non vi dico, due volte i milanesi, quindi a
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noi del Paraguay che ci chiamano Indios era impensabile. Ci si vedeva solo a La Thuile
con i capi. Poi arrivarono quelli che Cleuza chiama gli interpreti, cioè quelli del sinedrio che
riunivano e dicevano quello che avevano sentito a La Thuile, interpretandolo come loro
volevano, quindi capite che di fronte a questa esperienza di unità con Carròn fino a dare la
vita per lui e’ una grossa novità. Abbiamo fatto una proposta ovviamente a chi voleva, e
non sempre i capi erano d’accordo. Ci siamo trovati in 900. E’ stata una cosa dell’altro
mondo. Siamo partiti noi tre raccontando la nostra amicizia. Bene da lì è cambiata
l’America latina. Problemi secolari, problemi di autorità, di capi spazzati via non che il
cammino sia facile, per carità. Siamo andati in Messico ci hanno pagato perfino le vacanze
a Cancun, tanto sono stati contenti i messicani, e quando eravamo là con Marco e Cleuza
abbiamo fatto una gara di caiac abbiamo vinto Julian De la Morena ed io, che non sapevo
neanche come si facesse.
Bene Padre Aldo che differenza passa tra questo bellissimo mare e il tuo Victor, quel
bambino in stato vegetativo. Nessuna. Lo stesso Dio che fa me e te, che ci fa a noi, fa Lui.
E la comunità del Messico è come esplosa, e così l’Argentina è cambiata. Ormai è una
semplice amicizia che è nata, perché un uomo ci ha detto guardate lì. Secondo
un’amicizia che nasce come punto di partenza da una ferita, una vita dura, drammatica,
andate a vedere cosa vuol dire. Terzo: una amicizia, questa ferita, per essere mia ha
bisogno di una compagnia che si vede spesso. Bisogna per questo che ci vediamo
continuamente. Quarto: un gesto per far memoria di questa amicizia. Un giorno Cleuza mi
diceva. “Padre Aldo abbiamo deciso di fare ogni settimana dopo Scuola di Comunità la
zuppa di Padre Aldo per i tuoi bambini. Perché? Loro cosa fanno? Sono tutti delle
“favelas”, se poi vedeste sono tremila ogni fine settimana sabato e domenica tremila
universitari. Una cosa sconvolgente. Allora dice lei: “lo faccio perché voglio che i miei
amici apprendano a ricordare la tua faccia”, non perché è bella ma per lo sguardo che tu
hai quindi la caritativa come memoria dell’amicizia che ci ricorda a tenere viva la domanda
e ci rimanda a Carròn e viceversa. Ogni mese mi danno mille dollari finita scuola di
comunità, lei cucina fuori, non come qua, dovete andare a vedere come vivono. E’ come
dire che questa amicizia arriva fino a questo dettaglio. Pensate quando ho fatto l’ultimo
viaggio incontro a Madrid con GS Cleuza non mi vedeva più arrivare in Paraguay; in
Columbia mi avevano fatto dei casini. Aveva sognato che stavo male; ed in realtà mi
avevano rubato tutto li’ in Columbia, tanto che sono uscito dall’aereoporto in carrozzina.
Avete letto su “Tempi”, fingendo di essere un handicappato siamo riusciti a passare.
Quando dopo tre giorni sono arrivato in Paraguay, vedo Marco e Cleuza che arrivano in
Paraguay e dicono: “vogliamo vedere come stai? Perché ho sognato che eri in una sedia a
rotelle e ti chiedevo: “come stai? Sono Cleuza”. Io rispondevo: “non ti conosco!” Dopo
quattro giorni sono arrivati tutti anche Bracco, capo del Brasile. Una cosa sconcertante. E’
dire l’amicizia, perché tu sei l’amico che mi rimanda continuamente a quel punto più chiaro
che abbiamo oggi, che ci rimanda a Cristo, che è un uomo libero, sicuro, certo, libero da
ogni schema e condizionamento che si chiama Carròn. Stiamo ore e ore a dire: “Carròn
cosa direbbe”, “Carròn cosa pensa”. Ricordo una vacanza che abbiamo fatto con Carròn:
io l’acqua appena la bevo, la piscina quasi non la conosco io nato in montagna...eppure mi
son buttato nell’oceano! Eravamo fuori in barca e lui “Buttati dentro!” “Ma se ho paura
dell’acqua...!” Eppure mi son buttato perché la sicurezza che mi dava questa compagnia
(e poi Marco che mi aiutava) mi ha permesso una cosa che mai sarebbe accaduta. Questo
per dire che la mia forza non è in me, ma sta in un rapporto in cui è chiaro il punto di
partenza cioè guardare quell’uomo che per me è Giussani vivo, ma vivo centuplicato
all’ennesima potenza per quella libertà, per quel carisma particolare che lui ci dona. Quindi
questa amicizia sta cambiando un continente, non un paese! Da tre: Cleuza,quarto grado,
Marco, avvocato, e io con tutti i problemi di ogni tipo che ho,con gente povera che
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seguiamo e che viviamo nella miseria però seguendo quell’uomo, lavorando su quello che
ci propone e tenendo vivo il dramma della vita. Che importa l’aereo, che importa la corsa!
L’amicizia operativa, Cristo in azione, è quello che sta facendo veramente rifiorire
l’America Latina e che permette che della profezia di Giovanni Paolo II cominciamo a
vederne i frutti.
DOMANDE:
Silvia: volevo ringraziarti Padre Aldo perché da due anni, da quando ti ho sentito parlare
quel pomeriggio al Meeting mi hai sempre aiutato a vivere le circostanze, anche sul lavoro
quando le tribolazioni si facevano sempre più stringenti, sentirti dire “Io sono Tu che mi fai”
anche davanti alla tua drammaticità , ha fatto sì che io non fossi determinata da quello che
stavo vivendo e questo è quello che più mi interessa, per me e per la mia vita, imparare da
te. Sono sempre rimasta colpita dalla tua intensità di preghiera, dall’adorazione eucaristica
che fai con i tuoi malati come la possibilità che Cristo vinca su tutto. Quindi volevo capire
dove si rafforza di più ogni giorno, questa possibilità di far vincere Cristo, volevo capirlo da
te perché è la cosa che ora sento più stringente per me ora.
Padre Aldo: Il primo punto è proprio vivere intensamente la realtà. Quando abbiamo
chiesto a Cleuza cosa vuol dire lavoro personale lei ha risposto: “ La svegli suona alle 6?
Bene, alle 6 e un minuto alzati e fai quello che devi fare.”
Pensate con le nevrosi che mi porto dietro, cosa vuol dire vivere la realtà per me. Prima di
tutto essere cosciente che la depressione è la grazia più grande che ho avuto. Lo dico
adesso che ho incontrato Carròn perché con Giussani era ancora un periodo di rabbia.
Quindi vuol dire che tutto quello che mi è chiesto, non importa la stanchezza, esige una
risposta. Voi sapete che il nevrotico è uno dominato dalla fantasia per cui la fantasia
coincide con la realtà. Allora per me la battaglia è pane al pane e vino al vino. Stia bene o
stia male, che abbia dormito bene o male, la bocca che mi fa male...la realtà è quello che
ho lì. Immaginatevi bambine violentate, vecchi barboni, sedici mila assistiti, dal punto di
vista medico, della strada, i bambini della scuola, tutti hanno esigenze. Per non parlare poi
delle e-mail dall’ Italia, depressi a cui io stesso devo rispondere o che porto io a casa mia.
Attualmente c’è una ragazza italiana che mi ha regalato un’amica che andava dallo
psicologo – sapete come sono gli psicologi, pensano di risolvere i problemi dando
appuntamenti! A me Giussani non ha dato nessun appuntamento, Carròn uguale, mi ha
portato tre mesi con sé, ed io faccio lo stesso con lei. Se voi vedeste la mia casa: la mia
casa religiosa sembra una succursale del manicomio delle volte. Quando vado lì a pranzo
c’è l’anoressica, la bulimica, c’è chi è stato in manicomio...però tutto questo mi obbliga a
ricordare che tutto posso in Colui che mi dà forza. Stanchezza, debolezza, cancro e tutto
quello che siete ma quando abbiamo letto “non coltivare progetti di perfezione ma mirare
nella faccia Cristo (Mi ami tu? Signore sai che io ti amo); non fantasticare per arrivare alla
perfezione ma mirare in faccia Cristo. Se uno mira nella faccia a Cristo, se uno mira nella
faccia una persona a cui vuol bene, tutto dentro di lui diventa ordinato. Pensate io
depresso, il disordine assoluto (perché il depresso è il disordine assoluto), lo vedo – oggi
parlando con Roberto dicevo che la forma suprema della carità è la bellezza – il mio io
quante cose belle ha creato, stando dietro a Marco e Cleuza, cioè per Cristo. Questo mio
io come dilatazione ha creato una struttura di bellezza che è difficile da vedere anche in
Italia. Vorrei raccontarvi come sto davanti agli ammalati che arrivano pieni di vermi,
putrefatti, con il cancro, i vermi che salgono dalla bocca, pezzi di carne che cadono. Tutto
torna al suo posto. Si dice uno si pettina in una certa maniera. Io ricordo bene il disordine
che avevo. Uno si abbottona i bottoni, ha vergogna delle scarpe sporche. Capite! E dice
perdona per tanto disordine. La fonte della morale è amare qualcuno. Perdonami.
Potremmo immaginare l’origine di una moralità concepita in maniera più semplice. Non
Testo non rivisto dagli autori Pagina 9
progetti di perfezione ma guardare in faccia Cristo. Questa è la preghiera. Io non posso
stare molto in Chiesa perché la fantasia mi va dove vuole. Tanto è vero che quando non
ce la facevo più ho messo il Santissimo come Parroco. Cristo come Direttore Sanitario, se
andate a vedere li c’è Cristo eucarestia esposto in tutti i luoghi. Anche con i vecchietti e i
barboni dico guardate chi è il vero Capo. Immaginatevi che se io sto davanti al Santissimo
così, la fantasia mi va, mi pre-occupa, e la preoccupazione crea stress. E’ diverso
dall’occupazione e la preoccupazione nasce dallo stare d’avanti al Santissimo così.
L’occupazione invece nasce dalla realtà, per quello gli stressati sono quelli che non vivono
la realtà. Ma se vivi intensamente il reale tu vivi la realtà, sei occupato, cioè preghi. La
preghiera per me è vivere cada momento intensamente come segno (capitolo X del Senso
religioso), per cui davanti hai come fatto che incomincio alle ore 6 facendo ginnastica,
devo recitare tutti e 4 i rosari altrimenti non so partire, approfitto che sono diabetico e tutto
il resto e che devo fare ginnastica, allora trotto e dico il rosario, così tutta la vita di Cristo
mi passa davanti. Poi faccio la doccia, prendo i bambini, quelli violentati e abbandonati, il
bacino del buongiorno, portarli a scuola, dire le preghiere e poi li lascio alla scuola che è
dentro la parrocchia. Poi su ai malati terminali, tutto il personale che si riunisce, e poi
passare ad uno ad uno e inginocchiarmi davanti ad ognuno di loro, perché sono Cristo, no
segno di Cristo come ha detto il Papa, i malati sono Cristo. Ognuno lo bacio, non importa
quello che ha l’Aids, i contagi … non me ne frega niente, almeno che il mio respiro non è
motivo di contagio per loro, di fargli del male. Non mi metto mai mascherina perché dico:
come Giussani mi ha abbracciato, mi ha dato la mano, mettendo la mascherina e i guanti
dico: io sto baciando Cristo e ti immagini che io bacio Cristo con la mascherina! Neanche
morto! Voi tutti medici siete obbligati a farlo e questo non si discute. Però io tengo la libertà
perché per me quell’uomo è Cristo, quel bambino, quel malato putrefatto è Cristo. Cristo è
il problema della vita, non malato e non malato, ma dire Tu a Cristo. E quindi se il malato è
Cristo, i fiori sul comodino, le lenzuola si cambiano continuamente, i malati di Aids hanno
diarree terribili, cada ogni minuto si cambia se è necessario. Tre volte al giorno faccio
questo, ma questa è la preghiera, non conosco altra preghiera, come dice Carròn è fuga
della ragione. Noi concepiamo la preghiera come fuga della ragione, fuga della realtà. Ho
un cancro, dico al Signore che me lo tolga. Io dico: Signore se togliermelo è la tua gloria,
bene! Altrimenti se questa è la tua volontà e la condizione che vivo, aiutami a viverla.
Perché se è vero che la circostanza è positiva, devo chiedere a Cristo di togliermi dalla
circostanza in cui mi ha messo? Devo dire a Cristo di togliermi dalle circostanze che
soffro, se Lui le ha permesse? Gli chiedo tre cose: di non fare mai male a me stesso, di
non fare mai del male alla Chiesa e mai fare del male agli altri. Queste tre cose ti chiedo, il
resto sono affari suoi. Se Tu pensi che questa bocca deve rimanere così per tutta la vita,
che rimanga. Quando non parlerò più perché ora dico messa solamente nella clinica, ho
rinunciato all’insegnamento e mi è dispiaciuto. Gesù se Tu mi hai voluto così adesso in
queste condizioni, va bene. Vedo che ancora quando vado a parlare come stasera, riesco,
cosa che poi o domani sarà un problema, però oggi è così. E’ come dire: la preghiera è
vivere intensamente il reale come segno. Come segno di qualcosa di più grande. Pensate
se io non avessi questa cosa che mi tira mentre parlo a voi, non vibrerei della coscienza
che Cristo è qui, perché non parlo di Cristo, parlo di quello che io vivo di Cristo, di quello
che Cristo è per me in questo momento, non vengo a farvi il discorso di Scuola di
comunità, vengo a dirvi che quando ho letto oggi alcuni pezzi di Carròn sull’umano, dico,
ma l’umano è questa cosa qui. Per cui se mi mancasse questa cosa qui il mio rapporto
con Cristo sarebbe meno intenso, meno poderoso, meno capace di gridare. Sarei un
borghese, starei lì a misurare invece che andare di qui e di là. Ti auguro di percepire: “Io
sono Tu che mi fai.” Ho ripetuto molte volte con Don Giussani questa frase, ma solo con
Carròn mi è capitato il miracolo, ora mi guardo con ironia. Prima di venire qui l’altro ieri
Testo non rivisto dagli autori Pagina 10
sono andato dallo psichiatra e mi dice: “Tu hai alti e bassi?” (sapete che ora va di moda il
bipolarismo). Dico: no sono perfettamente normale, anche chi va su e giù è normale,
perché quando uno ha dei momenti di allegria e beve una bottiglia di vino è molto su. Se
non bevo niente sono sempre andante sul nero, cioè dentro di me è sempre un po’ come
la notte, quindi dico: stia tranquillo, che bipolare non sono e se lo fossi ringrazierei il
Signore perché avrei per lo meno alcuni momenti di euforia e alcuni momenti di inferno per
cui avrei il ricordo immediato di momenti anche belli. Invece sempre tempo grigio scuro,
però che me ne frega, posso io essere determinato da questi stati d’animo quando io sono
Tu che mi fai? Ditemelo! Mentre sto assistendo uno che muore o come adesso i matti
nella clinica, che ho anche i matti nella clinica, che erano l’unica cosa che non avrei mai
voluto, perché mi vedevo sempre matto, adesso ne ho uno perché a volte l’Aids ha questi
effetti e mi dice: “Padre Aldo, oggi ho pescato gatti!”, è bello stare con i matti; ieri mi ha
detto: “Oggi ho visto le colombe!”, meno male che siamo passati dai gatti alle colombe. Mi
viene anche da ridere coi vecchi abbandonati sulle strade, tutti fuori di testa, ne avevo il
terrore, però è Cristo, capite? E’ Cristo. Allora se è Cristo, quando uno viene e mi dicono
che non c’è più posto qua, io dico: come non c’è posto! La Chiesa … mettete subito un
letto nella Chiesa e lì mettiamo il malato. Questo è il punto: non esiste problema superiore
alla risposta, non può essere che il problema sia superiore a Cristo. Quando è coscienza
di questo, questa è la preghiera.
Susanna: “Sono una infermiera della ginecologia oncologica, e faccio quotidianamente
esperienza di questa drammaticità umana, e la mia domanda a Cristo lì sul lavoro è come
dire: svelati lì in quel pezzetto di realtà che è il mio reparto, con tutti i limiti e difetti che ci
sono . Volevo chiederti: che cosa significa per te che l’Avvenimento cristiano produce una
mentalità nuova? Perché avverto il bisogno di stare di fronte ai pazienti e ai colleghi con
negli occhi questa novità.”
Padre Aldo: Per me è stato il frutto di una storia, di un lavoro di anni, io ho 63 anni, a
parte che io non ho avuto niente, immaginatevi V elementare, perché non mi hanno
mandato in seminario a fare gli esami di stato, per la testa. Oggi a 63 anni ti dico queste
cose qua, tre anni fa non te le avrei dette, per quello abbiate pazienza nella vita, ce lo
ricorda sempre Carròn. E’ come dire un lavoro sistematico di confronto con la realtà a
rispondere. Anche quando ero nero, stanco e arrabbiato. La fedeltà alla realtà è un
rapporto con un volto, con dei volti che mi hanno sostenuto e accompagnato. Oggi è
chiaro che per me guardare il malato è come percepire immediatamente il volto di Cristo.
Ma è guardare tutti gli uomini così. Dicevo a Roberto stamani nella pineta di Orbetello: per
me il vertice della carità è la bellezza. Se non capiamo questo noi andiamo avanti a fare
gesti di carità che non servono a niente, come le tende di Natale; facciamo la carità, il
prete che ci chiede 100 euro facciamo la carità. Perché lì è tutto bello? Perché la
differenza tra Madre Teresa e Don Giussani, scusate se oso questo paragone, è che
Giussani ci ha fatto capire che la carità nella sua forma più grande è la bellezza. Tutti
l’abbiamo imparato. E che cosa è la bellezza? E’ quella che permette di non fare i gesti di
carità ma di vivere la carità come dimensione ontologica dell’io come gratuità. E’ la
commozione e la bellezza di fronte alla verità che si svela. Ce l’ha sempre insegnato Don
Giussani. E la verità è un fatto che abbraccia Fontolan con quei bei occhiali, che abbraccia
te, che abbraccia il mio figlio adottivo che ha una testa così e un corpicino così. Perché
mio figlio è bello? Tutti scappano. Perché è l’evidenza della verità, quindi la bellezza è lo
splendore della verità, per cui per me la carità oggi non è fare dei gesti di carità, è vedere
la bellezza di Dio in ogni volto. Quando vedo questo qui con tutta la faccia mangiata dal
cancro, scapperei, all’inizio scappavo. Quando vedo un ragazzo con la carne che gli cade
giù a pezzi, ma che cosa è la carità se non vedere la bellezza, vedere il volto di Cristo più
acutamente in quello. Capite che quando uno è in ospedale, ma anche quando uno è per
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la strada, se non vede così chiunque … . E’ come quando dicevo a Fontolan stamani
mattina … si parla di un prete pedofilo, tutti ne parlano, io ci soffro. Come soffriva
Giussani. Parlavo di quello che accade. Ma io sento una lacerazione. Tanto è vero che
anche questi strumenti in difesa del Papa li abbiamo messi in tutto il Paraguay. Perché
questa mancanza di commozione come ne abbiamo parlato a Scuola di comunità, il dono
commosso di sé a chiunque incontri perché io ho i pedofili che hanno violentato i bambini,
che sono i loro padri, i loro genitori. Però che differenza c’è come posizione mia rispetto al
pedofilo e rispetto al bambino? Nessuna. Con tutta la rabbia che posso avere, perché
anche lui comunque ha bisogno del perdono. Perché se non ci fosse il perdono Cristo non
esiste, tutto è falso e i miei bambini che sanno che quell’uomo li ha violentati, perché a
volte sono davanti al giudice faccia a faccia, io gli insegno a dire: tuo papà ha fatto un
grande delitto, però io che sono il tuo papà come è che ti guardo? Come è che ti vedo che
mi vuoi bene? Allora possiamo chiedere a Gesù che aiuti anche tuo papà a cambiare,
perché anche lui sai quanta violenza ha avuto nella sua vita? Anche lui è stato violentato
come te nella sua vita. Anche lo psichiatra mi diceva: “Tu ti coinvolgi molto con l’altro.”
Rispondo io: “scusi altrimenti che uomo sarei?” E mi chiede: “Quante ore dorme?” Io
rispondo: “quante ore posso. Se facessi la vita che fa lei certo, avrei i soldi.” Certo che uno
psichiatra oggi dormendo anche tre ore di giorno e otto di notte i soldi li fa. Gli dico: caro
amico, se la mia vita deve ridursi come la sua, preferisco stare come sono, voglio dire è
quello che insegnano anche a scuola. Tu non devi involucrarti con gli ammalati, tu non
devi coinvolgerti. Il mio primario si mette in ginocchio davanti al paziente. Il cambio di
guardia si fa davanti al Santissimo. Tutte le infermiere, quelle che entrano e quelle che
escono, fanno il cambio di guardia davanti al Santissimo, poi vanno in infermeria a mettere
a posto le cartelle col medico. La gratuità è che la bellezza nella sua massima espressione
non ce la inventiamo noi. E’ una grazia che dobbiamo chiedere, per cui se non arriviamo a
questo a cosa serve tutto quello che facciamo? Prolunghiamo di vent’anni la vita, ma a me
che me ne frega? Io non sono qui per prolungare la vita. Io sono qui perché incontrino la
vita, incontrino Cristo. Allora la clinica che è un Hospice che ha 48 letti, che non esiste da
nessuna parte del mondo, abbiamo superato la medicina palliativa e la medicina curativa,
esiste solo la medicina di Gesù, curativa, se voi le dividete è ideologia perché palliativo
come lo si intende oggi non serve più a niente. Io sono qui per curare l’umano cioè perché
l’uomo incontri Tu oh Cristo.
Simoncini: io ti ringrazio molto perché il modo con cui hai raccontato l’esperienza che vivi
con Carròn, e questa intensità del vivere il reale, sono come il filo conduttore di quello che
ci hai raccontato. Ti ringrazio perché mi sembra il modo con cui oggi il Movimento arriva
ad ognuno di noi. E’ una possibilità questa forma che hai raccontato che ha colpito me e
penso che abbia colpito tutti, che c’è una possibilità per ognuno. Un po’ come ieri che
eravamo tutti colpiti dal gesto come ci ha richiamato Carròn; insieme agli altri movimenti
abbiamo partecipato ma era come evidente che c’era una ragione più grande, che è la
ragione che ci siamo detti per partecipare al gesto di ieri con il Papa, cioè che noi non
siamo andati ad aiutare il Papa, a supportare il Papa, ma casomai siamo andati a chiedere
aiuto al Papa che è il segno oggettivo della presenza di Cristo nella nostra vita. Che il
Movimento sia questa ragione qui, che si comunichi con la bellezza di una ragione così
come le cose che hai raccontato. Viene solo da ringraziare. Ti ringrazio ancora per questa
testimonianza, e il modo più concreto per ringraziare Padre Aldo e le opere che esistono si
reggono solo per una amicizia operativa, come è stato detto, perciò il primo avviso è che si
raccolgono offerte per sostenere Padre Aldo.
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