sabato 13 settembre 2008

AVETE UCCISO GIUSEPPE GIGANTE BUONO


Come avete concluso la serata maledetta? Come vi siete visti dopo aver tolto il casco?

Giuseppe è morto e lo avete ucciso voi. Avete spento un cuore. Non uno solamente. I cuori stanno a grappoli: ne tocchi uno e ne trascini cento.

Quell’uomo amava. A quella fonte erano in tanti a bere. A morire sono in molti quando ci si imbatte nelle vostre bande.

di Maurizio Patriciello
Tratto da Avvenire del 12 settembre 2008

Lo avete ucciso. Barbaramente. Stupidamente. Inutilmente. Siete poveri, dite. Senza lavoro. Dovete mangiare e vivere anche voi, dite, e forse è vero. Ma anche lui, Giuseppe, il gigante buono, era povero. Come voi, ma non si era arreso. Il lavoro lo aveva cercato e trovato. Un lavoro dove si rischia molto e si guadagna poco. Lui i ' valori' li scortava, non li possedeva.


Ma aveva un lavoro che, come tutti i lavori, lo faceva uomo. Gli dava lo statuto, la dignità di uomo. Un lavoro che gli consentiva a sera di impastare il pane. Forse era solo pane nero, ma era pane suo. Lo impastava lui con la sola acqua che lo rende buono: il sudore della carne sua. Non il sudore altrui. Maledetto è il pane impastato col sudore altrui. È pane che non sazia. È pane avvelenato, pane velenoso.

Una pizza mangiava, Giuseppe, con l’amico di sempre. Ma voi avete resi pericolosi anche questi momenti belli.

Avete deciso che a Napoli si possa morire così, inutilmente, una sera di fine estate, quando il caldo ancora soffoca e si cerca un po’ di refrigerio.

Voi non amate. Non riuscite ad amare.

Non sapete amare. Non dico il nemico: a tutti viene difficile amare chi non ci vuole bene. Voi non amate neanche i vostri stessi figlioli. Andate in giro a sotterrare mine. Poi, distratti, le dimenticate. E un giorno qualcuno su di esse salterà. Ciò che, testardi, ottusi, vi ostinate a non capire, è che potrebbe capitare alla donna o al figliolo di uno di voi. Il figliolo più bello, quello che somiglia tanto. Il figliolo prediletto. E adesso che fate?

Come avete concluso la serata maledetta? Come vi siete visti dopo aver tolto il casco?

Giuseppe è morto e lo avete ucciso voi. Avete spento un cuore. Non uno solamente. I cuori stanno a grappoli: ne tocchi uno e ne trascini cento.

Quell’uomo amava. A quella fonte erano in tanti a bere. A morire sono in molti quando ci si imbatte nelle vostre bande. È successo a lui. È stato un caso. Poteva succedere a me, o al figliolo di uno di voi. O al figliolo del figliolo. Forse dite di « amare il Napoli », ma non amate Napoli: la nostra città bella, la nostra città antica. C’è un altro morto ancora per il quale mai sarete processati. È la speranza la vostra vittima più illustre. Voi non ve ne accorgete. Non ve ne potete accorgere, siete troppo indaffarati. Ma a Napoli a tanti viene difficile sperare.

Vogliono andare via. Li state mandando via. Voi li cacciate via.

Chi siete? Chi è che si nasconde dietro il casco? Di che colore è la pelle vostra? Siete nostri o venite da lontano? Forse non lo sapremo mai. Amate atteggiarvi a vittime. Certo che lo siete. Non solamente vittime. Vittime e carnefici.

Partite – e lo so bene – con una marcia in meno. La vita con voi non sempre vi fu madre. È vero. È tutto vero. Eravate poveri fino all’altra sera. Andavate a rapinare e, quindi, vi si poteva chiamare rapinatori. Ladri. Ma adesso siete diventati assassini. Per darvi coraggio vi direte che si è trattato di un incidente, che non volevate uccidere, che « ci è scappato il morto ». Non è vero, non vi ingannate. Quando impugnate l’arma sapete bene che al bisogno la userete. Caino si chiamava chi per la prima volta uccise. Ma la voce di quel sangue ancora non si è spenta. Abele ancora piange. Ancora geme, Abele. Chiunque versa il sangue di Abele porta il nome. Voi non vi chiamate Abele. Spero che non dormiate. Spero che non mangiate.
Spero che il rimorso vi tolga la fame e il sonno e non per un giorno solo.

Spero che il ricordo del ' gigante buono', vi rattristi il cuore. Spero che siate ancora capaci di piangere.

Lacrime benedette, acqua che purifica. Acqua che vi lavi il volto. Acqua che deterge l’animo. Lacrime per farvi uomini.

Al pozzo proprio va attinta l’acqua per impastare il pane. Forse sarà poco il pane e ancor di meno il vino, ma basterà a saziarci. E lo gusteremo insieme e lo daremo ai figli, guardandoli negli occhi, guardandoli orgogliosi. E la vita allora ci sarà più amica.

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