venerdì 5 giugno 2009

LUOGO DI APPRENDIMENTO E DI ESERCIZIO DELLA SPERANZA E' LA PREGHIERA


«Un primo essenziale luogo di apprendimento della speranza è la preghiera. Se non mi ascolta più nessuno, Dio mi ascolta ancora. Se non posso più parlare con nessuno, più nessuno invocare, a Dio posso sempre parlare. Se non c’è più nessuno che possa aiutarmi - dove si tratta di una necessità o di una attesa che supera l’umana capacità di sperare - Egli può aiutarmi. Se sono relegato in estrema solitudine…; ma l’orante non è mai totalmente solo. Da tredici anni di prigionia, di cui nove in isolamento, l’indimenticabile Cardinale Nguyen Van Thuan ci ha lasciato un prezioso libretto: Preghiere di speranza. Durante tredici anni di carcere, in una situazione di disperazione apparentemente totale, l’ascolto di Dio, il poter parlargli, divenne per lui una crescente forza di speranza, che dopo il suo rilascio gli consentì di diventare per gli uomini in tutto il mondo un testimone della speranza - di quella grande speranza che anche nelle notti di solitudine non tramonta» [SS. n. 32].




Un uomo disperato non prega più, perché non spera più; un uomo sicuro del suo potere e di se stesso o che ideologicamente, cioè da cui attende tutto, si affida solo alla scienza, alla sola ragione, alla sola libertà, alla sola politica, alla sola economia, alla sola cultura, come regni dell’uomo in alternativa al Regno di Dio, non prega più Dio, perché si affida soltanto alle possibilità umane. La preghiera fiduciosa è speranza in atto. Attraverso la seconda parte della preghiera insegnataci da Gesù le nostre ansie e angosce giornaliere si convertono in speranza. E’ presente l’ansia per la nostra riuscita materiale, per la pace con il nostro prossimo e infine per la minaccia di tutte le minacce: il pericolo di perdere la fede, di cadere nell’abbandono di Dio, di non poter più percepire Dio, la sua presenza e la sua azione e di finire nel vuoto assoluto, esposti a tutti i mali che provengono dai limiti naturali e dalle cattiverie umane, abbandonati nella azione ordinaria del maligno cioè la tentazione o addirittura in qualche sua azione straordinaria malefica. Noi abbiamo bisogno anche delle speranze - più piccole o più grandi - che, giorno per giorno, ci mantengono in cammino e la magnanimità dell’amore di Dio è disponibile a raggiungerci anche nell’alleviarci le sofferenze e le malattie. Ma senza la grande speranza, una speranza affidabile, in virtù della quale noi possiamo affrontare il nostro presente faticoso, esse non bastano. E nel momento in cui queste ansie diventano invocazioni, si apre la strada dai desideri e dalle speranze verso la grande speranza, dalla seconda parte alla prima del Padre nostro. Tutte le nostre angosce sono in ultima analisi paura per la perdita dell’amore cioè di Dio che è Logos, Verità e Amore e per la solitudine totale che ne consegue. Tutte le nostre speranze, anche le più piccole come lo star bene, come le piccole riuscite, sono perciò nel profondo speranza di ogni bene senza alcun male cioè del grande, illimitato amore: sono speranze del Paradiso, del Regno, della Sovranità di Dio, dell’essere con Dio e come Dio, figli nel Figlio per opera dello Spirito del Risorto sacramentalmente con noi, partecipi della sua natura divino-umana (2 Pt 1,4). In fondo, se non ci fermiamo in superficie ma penetriamo nel mistero o azione divino - umana, tutte le nostre speranze sfociano nell’unica speranza: venga il tuo regno, sia fatta la Tua volontà come in cielo così in terra. La terra diventi come il Cielo per la presenza divino umana del Crocifisso risorto, essa stessa deve diventare cielo. Nella Sua volontà sta tutta la nostra speranza. Imparare a pregare è imparare a sperare ed è perciò imparare a vivere. Dio è il fondamento della speranza - non un qualsiasi dio, tanto meno gli idoli sempre in agguato, ma quel Dio che possiede un volto umano in tutto uguale a noi nella sua fase terrena, che ci ha amati e Risorto ci ama sino alla fine: ogni singolo e l’umanità nel suo insieme. Il suo regno non è aldilà immaginario, posto in futuro che non arriva mai; il suo regno si fa presente là dove ci si sente da Lui amati senza misura, fino al perdono e lo si ama, dove il suo amore si raggiunge anche in un presente faticoso e con Lui può essere vissuto ed accettato sapendo che conduce verso una meta e di questa meta siamo sicuri, una meta così grande, di ogni bene senza alcun male, da giustificare la fatica del cammino. Solo la constatazione del suo amore ci dà la possibilità di perseverare con ogni sobrietà giorno per giorno, senza perdere lo slancio della speranza, in un mondo che, per sua natura, è imperfetto, segnato dal peccato fin dalle origini, e fin dalle origini dall’azione malefica del Maligno che odia Dio e noi e ci tenta, nella sua azione ordinaria, ci provoca azione malefica nella sua azione straordinaria. E il continuo amore di Dio, allo stesso tempo, è per noi la garanzia che esiste ciò che solo vagamente intuiamo e, tuttavia, nell’intimo aspettiamo: la vita che è “veramente” vita, già vita eterna. Luoghi di apprendimento e di esercizio della speranza sono la preghiera, l’agire e il soffrire, il Giudizio quando “…di nuovo verrà nella gloria per giudicare i vivi e i morti”: vieni Signore Gesù. Si, vengo presto, amen. La prospettiva del Giudizio, già dai primissimi tempi, ha influenzato i cristiani fin nella loro vita quotidiana come criterio secondo cui ordinare la vita presente, come richiamo alla loro coscienza e, al contempo, come speranza nella giustizia di Dio. La fede in Cristo non ha mai guardato solo indietro né mai solo verso l’alto, ma sempre anche in avanti ha conferito al cristianesimo la sua importanza per il presente.
La speranza, come la fede e la carità, è una virtù teologale cioè dono dello Spirito del Risorto da invocare continuamente con la preghiera e accogliere nei sacramenti. Ma cosa significa teologale? Ecco la sorprendente rivelazione e conoscenza: la mia, la nostra speranza è preceduta dall’attesa che Dio coltiva nei nostri confronti: in Lui non c’è solo agape cioè l’amore che dona, ma anche eros cioè l’amore che desidera me, noi! Sì, Dio ci ama e proprio per questo attende che noi torniamo a Lui, che apriamo il cuore al suo amore, che mettiamo la nostra mano nella sua e ci ricordiamo di essere suoi figli. Questa attesa di Dio precede sempre la nostra speranza, esattamente come il suo amore, la sua fiducia ci raggiungono sempre per primo (1 Gv 4,10). In questo senso la speranza cristiana è detta “teologale” come la fede e la carità: Dio ne è la fonte, il sostegno e il termine. Che grande consolazione in questo mistero, come ci ricordano gli atti di fede, speranza, carità! Il mio Creatore ha posto nel mio spirito un riflesso del suo desiderio di vita per tutti. Ogni uomo, comunque ridotto, è continuamente chiamato fino al momento terminale della vita a sperare corrispondendo all’attesa continua che Dio ha su di lui. Evangelizzare è fare notizia con la parola e con la testimonianza di questo, che è la sostanza dello sperare cristiano. Del resto, l’esperienza ci dimostra che è proprio così. Che cosa manda avanti il mondo, se non la fiducia che Dio ha nell’uomo? E’ una fiducia che ha il suo riflesso nei cuori dei piccoli, degli umili, quando attraverso le difficoltà e la fatiche si impegnano a fare del loro meglio respirando continuamente speranza nella loro preghiera, tentano e ritentano con fiducia e speranza, anche quando non riescono, di compiere quel poco di bene che però agli occhi di Dio è tanto e fan parte della grande speranza: segni di riuscita a livello spirituale e morale, piccole gioie in famiglia, piccole soddisfazioni nel posto di lavoro, piccoli successi a scuola, piccoli riconoscimenti nei diversi ambiti della società. Nel cuore di ogni uomo, attivo responsabilmente fino al momento terminale della vita, è indelebilmente scritta la speranza, perché Dio nostro Padre è vita, e per la vita eterna e beata siamo fatti: “Mio Dio, spero nella tua bontà, per le tue promesse e per i meriti di Gesù Cristo, nostro Salvatore, la vita eterna e le grazie necessarie per meritarla con le buone opere che io debbo e voglio fare. Signore, che io possa goderti in terno. Amen”.

La preghiera come esercizio del desiderio
L’uomo è stato creato per una realtà grande - addirittura per Dio stesso, per essere figlio nel Figlio per opera dello Spirito Santo e quindi per essere riempito da Lui. Ma come creatura e creatura ferita dal peccato il suo cuore è troppo stretto per la grande realtà cui è destinato e che gli è stata assegnata. Il cuore deve essere allargato e rinviando il suo dono, chiedendoci la costanza nel chiederlo mira ad allargare l’animo e dilatandolo lo rende capace di accogliere Lui stesso cioè la grande speranza. Paolo racconta di vivere in tensione, proteso verso le cose che devono venire (Fil 3,13). Agostino usa una immagine molto bella per descrivere questo processo di allargamento e di preparazione del cuore umano. “Supponi che Dio ti voglia riempire di miele (simbolo della tenerezza di Dio e della sua bontà). Se tu però, sei pieno di aceto, dove metterai il miele?” Il vaso, cioè il cuore, deve prima essere allargato e poi pulito: liberato dall’aceto e dal suo sapore. Ciò richiede lavoro, costa dolore, ma solo così si realizza l’adattamento a ciò a cui siamo destinati. Anche se Agostino parla direttamente solo della recettività di Dio, appare tuttavia chiaro che l’uomo, in questo lavoro col quale si libera dall’aceto e dal sapore dell’aceto, non diventa solo libero per Dio, ma appunto si apre anche agli altri che Dio ama, comunque ridotti. Solo diventando figli di Dio, infatti possiamo stare con il nostro Padre comune. Pregare non significa uscire dalla storia e ritirarsi nell’angolo privato. Il giusto modo di pregare è un processo di purificazione interiore che ci fa sempre più capaci per Dio e, proprio così, anche capaci per gli uomini. Nella preghiera l’uomo deve imparare che cosa egli possa veramente chiedere a Dio - che cosa sia degno di Dio. Deve imparare che non può pregare contro l’altro. Deve imparare che non può chiedere cose superflue e comode che desidera al momento - la piccola speranza sbagliata che lo conduce lontano da Dio. Deve purificare i suoi desideri e le sue speranze. Deve liberarsi dalle menzogne segrete con cui inganna se stesso: Dio lo scruta, e il confronto con Dio costringe l’uomo a riconoscerle pure lui. “Le inavvertenze chi le discerne? Assolvimi dalle colpe che non vedo”, prega il salmista (19,13). Il non riconoscimento della colpa, l’illusione di innocenza non mi giustifica e non mi salva, perché l’intorpodimento della coscienza, l’incapacità di riconoscere il male come tale in me, è colpa mia. Se non c’è Dio, devo forse rifugiarmi in tali menzogne, perché non c’è nessuno che possa perdonarmi, nessuno che sia la misura vera. L’incontro invece con Dio risveglia la mia coscienza, perché essa non mi fornisca più un’auto giustificazione, non sia più un riflesso di me stesso e dei contemporanei che mi condizionano, ma diventi capacità di ascolto del Bene stesso.

Nel pregare deve sempre esserci un intreccio tra preghiera pubblica e preghiera personale
Affinché la preghiera sviluppi questa forza purificatrice, essa deve, da una parte, essere molto personale, un confronto del mio io con Dio, con il Dio vivente. Dall’altra, tuttavia, essa deve essere sempre di nuovo guidata ed illuminata dalle grandi preghiere della Chiesa e dei santi, dalla preghiera liturgica, nella quale il Signore ci insegna continuamente a pregare nel modo giusto. Il Cardinale Nguyen Van Thuan, nel suo libro di Esercizi spirituali, ha raccontato come nella sua vita c’erano stati lunghi periodi di incapacità di pregare e quindi di sperare e come egli si era aggrappato alle parole di preghiera della Chiesa: al Padre nostro, all’Ave Maria e alle preghiere della Liturgia. Nel pregare deve sempre esserci questo intreccio tra preghiera pubblica e preghiera personale. Così possiamo parlare a Dio, così Dio parla a noi. In questo modo si realizzavano in noi le purificazioni, mediante le quali diventiamo capaci di Dio, di sperare sempre e siamo resi idonei al servizio degli uomini, rendendo ragione, dando un senso alla nostra speranza. Così diventiamo capaci della grande speranza e così diventiamo ministri della speranza per gli altri: la speranza in senso cristiano è sempre anche speranza per gli altri. Ed è speranza attiva, nella quale lottiamo perché le cose non vadano verso “la fine perversa” e il mondo sia esorcizzato cioè liberato dalla paura del male e del Maligno. E’ speranza attiva proprio anche nel senso che teniamo il mondo aperto a Dio. Solo così essa rimane anche speranza veramente umana.
Nella preghiera, nel dialogo io - Tu, emerge una speranza strettamente connessa con la fede e la carità. E’ un dono continuo che cambia la vita di chi lo riceve, come dimostra l’esperienza di tanti santi e sante. Ma in che cosa consiste questa speranza, così grande e così “affidabile” da farci dire che in essa noi abbiamo la “salvezza”? Consiste in sostanza nella conoscenza di Dio, nella scoperta del suo cuore di Padre buono e misericordioso. Gesù, con la sua morte in croce e la sua risurrezione, ci ha rivelato il suo volto, il volto di un Dio talmente grande nell’amore da comunicarci una speranza incrollabile, che nemmeno la morte può incrinare, perché la vita di chi si affida a questo Padre è già eterna e si apre sulla prospettiva dell’eterna beatitudine.
Lo sviluppo della scienza moderna ha confinato sempre più la fede, la speranza, la carità e il loro respiro nella preghiera nella sfera privata e individuale, così che oggi appare in modo evidente, e talvolta drammatico, che l’uomo e il mondo hanno bisogno del rapporto di preghiera con Dio - con il vero Dio - altrimenti restano privi di speranza. La scienza e il lavoro contribuiscono molto al bene dell’umanità, - senza dubbio - ma non è in grado di redimerla senza la preghiera, senza un rapporto continuo e filiale con il Dio vivente, sia a livello personale e sia a livello pubblico per far accadere la civiltà dell’amore. L’uomo, ogni uomo viene redento dall’amore, che rende buona e bella la vita personale e sociale e non c’è amore senza un rapporto personale e pubblico di preghiera con Dio. Per questo la grande speranza, quella piena e definitiva, è garantita solo da Dio, dal rapporto Dio e uomo, Dio e società, dal Dio che è l’amore, che in Gesù ci ha visitati e nell’incontro con Lui risorto ci dona la vita, la vita eterna e in Lui si mostrerà visibilmente alla fine dei tempi, in cieli nuovi e terra nuova. E’ in Cristo, nell’avvenimento di ogni incontro con la Sua Persona che speriamo, è Lui che attendiamo! Con Maria, sua Madre, la Chiesa, noi andiamo incontro allo Sposo: lo facciamo con le opere della carità, perché la speranza, come la fede, si documenta nell’amore.

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