mercoledì 22 luglio 2009

LUI NON SUONA L'ORGANETTO


Un grande ospedale in mano a un gran tipo, un cristiano da romanzo russo
Al Corriere avranno fatto una certa fatica a comporre l’infografica a pagina ventuno del numero di ieri. La notizia era l’assegnazione delle poltrone della sanità lombarda, raccontata da un’apertura con titolo a cinque colonne e una spalla di commento. Al centro un quadro riassuntivo dei nominati. Quattro poltrone divise fra le quattro correnti interne alla maggioranza. A ogni nome è associato il simbolo di appartenenza. Lega nord, Alleanza nazionale, Forza Italia e infine il quarto; uno strano simbolo con frecce che salgono e scendono, un logo mai visto fra quelli dei partiti, fra le correnti, fra le fazioni più o meno sotterranee. Il nome associato a quel simbolo è Giancarlo Cesana, medico e professore universitario, nominato martedì a capo della Fondazione Policlinico di Milano. Si saranno affannati – anche se Google immagini aiuta molto in questi casi – per attribuire graficamente a Cesana l’etichetta di ciellino intransigente, di ipostasi di un qualche sottogoverno che attraversa in obliquo i palazzi della regione Lombardia, il feudo di Roberto Formigoni.
Nel dettaglio sciocco c’è tutta l’inadeguatezza, la strutturale difficoltà che si incontra nel tentativo di mettere l’uomo in bottiglia. E Cesana, il “ciellino di ferro” del Corriere, è uno che non si può ridurre a slogan, a vessillo di una fazione, peraltro rappresentata da un simbolo apposto soltanto per livellare la contesa.

Quelle frecce che salgono e scendono – e chissà a quanti lettori sarà rimasto ignoto il loro significato – è uno dei passi più significativi della pedagogia di Don Giussani, fondatore di Comunione e Liberazione e amico di una vita – questo sì – di Giancarlo Cesana. Alla base c’è la linea della storia, orizzontale, un vettore che si protende; dalla storia le frecce salgono, anelano a una X che sta in alto, sono la spinta dell’uomo verso la trascendenza, verso la conoscenza del mistero. Ma dalla X parte una freccia verso il basso che si posa sulla linea della storia: Dio si rivela all’uomo nell’incarnazione.

Nell’infografica, che degrada un popolo al rango di lobby, c’è invece la sintesi di una storia di cui Giancarlo Cesana è protagonista. Ha avuto una certa fortuna giornalistica l’espressione “leader laico di Comunione e Liberazione” applicata a Cesana, ma i suoi amici dicono che prima di tutto è una persona con cui si passa il tempo volentieri, un amico semplice. Molte volte nelle sue apparizioni pubbliche ha proclamato di essere un “cristiano generico”, un uomo toccato dall’incontro con il cristianesimo, non l’amministratore di quello che viene presentato come un potentato vagamente clericale.
Nella storia di Giancarlo Cesana c’è un prima e un dopo. Il prima sono gli anni del liceo e poi le agitazioni studentesche, il Sessantotto. A Carate Brianza, sua città natale, Cesana aveva creato un gruppo antagonista a Gioventù Studentesca, quel gruppo che si riuniva attorno a un giovane prete di Desio, Don Luigi Giussani, diversi anni prima che nascesse il movimento di Comunione e Liberazione. Non era una vera militanza di sinistra, ma un’immersione nello spirito del tempo e in quella sintesi di socialismo e cattolicesimo che è sostanza e modo d’essere della Brianza. Nei primi anni Settanta, da studente di medicina, Cesana scendeva in piazza a manifestare. Gli capitava spesso di incontrare una “setta” strana, portavano dei cartelli con un pesce, l’icthus dei primi cristiani. Li aveva guardati di traverso fino al giorno in cui a Canazei aveva trovato quel mangianastri.

Era andato in montagna a trovare un amico e su un tavolo c’era un registratore abbandonato; ha premuto play, così, per fare. Dal mangianastri è uscita una voce roca, quella di Don Giussani. Ecco il passaggio. Dopo averlo sentito, Cesana ha visto Giussani a un incontro a Carate Brianza, è intervenuto davanti a tutti con parole non esattamente accomodanti,destando lo scetticismo dei presenti, i fedelissimi di Don Giussani. Alla fine dell’incontro Giussani dice ai suoi: “Quello è già dei nostri”. Forse nemmeno Cesana in quel momento poteva immaginare quanto fosse vero.
Oggi ha sessantun’anni, tre figli, una carriera da stimato medico e accademico e molti anni fra i responsabili di Comunione e Liberazione. Leader laico, si diceva, nel senso stretto di non chierico ma anche nell’approccio totale, integralmente umano alla vita. Qualche anno fa, in un appartamento male arredato di Milano, zona Lambrate, raccontava ad alcuni studenti gli anni delle scuole medie e del liceo. Passava i pomeriggi in biblioteca a leggere. Che cosa? Tutto; il criterio era l’ordine con cui i libri erano sugli scaffali. Andava a centimetri di dorso, non secondo il genere. Erano le avvisaglie di una voracità intellettuale e umana, tutta giocata sull’uso della ragione che si spinge fino ai confini della fede. In un’intervista al Corriere di qualche tempo fa, Cesana ha descritto il suo approccio al cristianesimo come una “impostazione sperimentale”, un’avventura empirica che si esprime nei rapporti, negli incontri quotidiani. Per questo la sua casa è un piccolo porto dove gli amici vengono accolti attorno a una tavola. Si mangia (bene), si discute di tutto, si respira aria buona, un goccio di whiskey non manca mai. Infine il sigaro stretto fra i denti, incastonato nella barba brizzolata. Gli amici più stretti dicono che capita di sentirsi più a casa lì che nella propria.

Ora Cesana è incaricato di guidare la Fondazione Policlinico, un’istituzione che gestisce anche la clinica Mangiagalli e il Regina Elena, 3500 dipendenti in tutto. Ieri i giornali hanno riportato con qualche malizia le dichiarazioni di Cesana: “Ho tutti i titoli per ricoprire l’incarico”, ha detto. Un’affermazione che suona come un’excusatio non petita per dire che lui è stato messo lì perché è bravo, non perché ha amici potenti nel palazzo della regione. Chi ha letto il suo curriculum sa di cosa si parla. Professore ordinario di Igiene generale e applicata presso la facoltà di Medicina dell’Università di Milano-Bicocca; direttore del centro di studio e ricerca sulla patologia cronico degenerativa negli ambienti di lavoro al San Gerardo di Monza; è stato direttore scientifico del Cefass, il centro europeo di formazione per gli affari sociali e la sanità pubblica. E se ci fosse bisogno di scardinare qualche altro pregiudizio si potrebbero citare pubblicazioni scientifiche fino alla noia. La personalità di Cesana è tutta giocata nel rapporto con la realtà, con il lavoro; una relazione di passione, di amore fisico per l’essere. Anche nei compromessi, nella politica, nelle prese di posizione pubbliche, nelle situazioni delicate. Da molti anni Cesana è una delle voci ufficiali del Meeting di Rimini, il momento di maggiore visibilità pubblica di Comunione e Liberazione, diventato un punto di riferimento non soltanto per quella “strana setta” che Cesana osteggiava da giovane, ma anche per tutto il mondo laico.

A Rimini Cesana ha sempre composto inni all’arte del compromesso in politica. Nel 2006 i giornalisti lo incalzavano con le domande su Berlusconi e i rapporti con il movimento, volevano fargli dire che Cl sponsorizzava a priori Forza Italia. Lui ha spiazzato tutti citando il profeta Geremia: “Maledetto l’uomo che confida nell’uomo, noi confidiamo in Dio”. E poi, quasi motteggiando gli interlocutori: “Poi, se mi chiedete se mi fido di Bertinotti dico di no”. Ma le inchieste e persino le accuse non si sono mai placate, si cercava di stabilire con criteri politici la collocazione di Cl nel mondo. “Noi stimiamo Berlusconi come stimiamo Bersani, che volete farci, la vita è varia”, ha detto qualche anno fa prendendo a esempio Pier Luigi Bersani, frequentatore di lungo corso del Meeting. Cesana cita spesso un episodio di Giussani che rimproverava i suoi ragazzi che reagivano ai contestatori della Statale a Milano. Allora Cesana era fra quelli che volevano prendere l’iniziativa e misurarsi con la sinistra sul loro stesso terreno. Giussani in diverse occasioni li aveva provocati: “Un attimo prima di tutto c’è Cristo. Ma a voi non ve ne frega niente”, diceva.

“Ma la nostra forza non è un progetto, bensì la coscienza del Mistero che siamo”, ha ripetuto spesso il medico brianzolo, ricordando che la storia del popolo cristiano non è una catena d’assemblaggio. “Sebbene si negasse il raggiungimento della liberazione attraverso la violenza o la rivoluzione, tuttavia la si perseguiva come esito di una capacità progettuale”, ha detto a proposito dell’incontro del 1973 al Palalido, il primo convegno di rilevanza pubblica organizzato da Cl. Il percorso umano di Cesana è racchiuso nella tensione estrema verso l’ideale, verso quell’infinito che si annida nelle pieghe della caducità e della sofferenza. Spesso ha raccontato del suo incontro con Indro Montanelli. Il fondatore del Giornale gli raccontò un episodio che poi Cesana ha continuato a usare come esempio. Montanelli incontrò una contessa russa nella sua splendida casa. Dietro di lei c’era un manifesto della rivoluzione d’ottobre. Fu naturale chiedere conto dello strano connubio fra alto lignaggio e proletariato, e la contessa candidamente rivelò: “Sa, ero giovane”. Se vero – chiosava Cesana – l’ideale non invecchia, non stanca, non passa con il finire della gioventù. E resiste al male.

Il 30 ottobre del 2000 Giancarlo Cesana ha avuto un grave incidente d’auto in Paraguay; Emilia Vergani, sua moglie, in quell’incidente è rimasta uccisa mentre Giancarlo ha avuto un trauma serio alla gamba, che l’ha reso claudicante. L’8 novembre del 2000, Cesana ha raccontato l’episodio agli amici del consiglio nazionale di Cl: “L’altra sera, parlando con mia zia (una donna di 75 anni, di fede media, brianzola, mi ha detto: ‘Però chela volta chi l’te l’ha minga fada giusta’ (cioè, questa volta Dio non te l’ha mica fatta giusta). Le ho risposto – e mi sono risposto – che non è che Dio ha ucciso mia moglie: mia moglie è stata uccisa da un errore umano e da una serie di circostanze che, messe insieme, potrebbero definire la vita umana come dominata da un destino cinico e baro. L’avvenimento, invece, è ciò che, di fronte a questa mancanza assoluta di risorse [...] di fronte al limite dell’uomo introduce una risorsa, che innanzitutto si attesta come evidenza di un’esperienza umana che non cede a questo limite, e quindi come certezza di una consistenza del proprio essere e della propria vita insopprimibile e poi come speranza che anche l’aspetto ultimo del limite, cioè la morte, verrà vinto. Questo è l’avvenimento”.

Gli amici dicono che da allora in lui sia cominciata una metamorfosi dell’io che lo ha tanto permeato da cambiarne persino i tratti fisici. C’è un sottofondo biblico nell’incedere con il bastone, nella barba scomposta, nella voce roca e in una saggezza purificata dal fuoco. Non è un caso se quelli più vicini a Cesana per descriverlo usano di getto la metafora della roccia, il simbolo che nell’Antico Testamento designa la fede. E subito passano a parlare di libertà: la libertà di sostenere con voce laica, non retorica l’affermazione del carattere profondamente buono della realtà anche dentro la sofferenza. Soltanto un anno prima di perdere la moglie, Cesana aveva perso uno dei suoi più cari amici, Enzo Piccinini, chirurgo modenese e responsabile, come lui, di Cl, morto in un incidente stradale sull’autostrada che lo riportava a casa. “Era un amico e Iddio sa quanto”, ha scritto Cesana.
Quando parla in assemblea, Cesana tira fuori polmoni e accenti di convinzione profetica. Ha una personalità dirompente, solida, lineare e complicata, da eroe di romanzo russo. Non ha paura di nient’altro che non siano la stupidità e la slealtà umane.

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