giovedì 9 ottobre 2008

PREGARE LA MADRE CONDUCE AL FIGLIO

In quest’ottica, ha concluso don Castellucci, «la pra­tica del Rosario, se bene integrata nell’esperienza complessiva della sequela Christi, contribuisce a mantenere vivo il senso di appartenenza filiale alla Chiesa, attraverso Colei che della maternità della Chiesa è l’icona perfetta».

gio 9 ott
Vivere la fede • Promosso dalla Facoltà teologica dell’Emilia Romagna e dalla Provincia domenicana un convegno sulla «preghiera dei semplici». Tra i relatori Guido Benzi (Cei) e il vescovo Sorrentino • A Bologna tre giorni di riflessione e studio su storia, spiritualità e teologia del Rosario
di Stefano Andrini
Tratto da Avvenire del 8 ottobre 2008



«Sono uno che dice il Rosario contando le Avemarie con la punta delle dita. È più bello perché è più semplice. Così si rie­sce a dirlo anche tenendo in mano il manubrio del­la bicicletta o correndo a piedi. Non lo recito, ma lo dico. Anche questo è un modo molto semplice di e­sprimersi. Recitare il Rosario è espressione tecnica­mente corretta e importante. Ma 'dire' il Rosario ha un che di assoluto». Così padre Giuseppe Barzaghi, domenicano, ha raccontato il suo rapporto con la più diffusa preghiera mariana nell’ambito del con­vegno, apertosi lunedì, Il Rosario. Teologia, storia, spiritualità promosso a Bologna dalla Facoltà teo­logica dell’Emilia Romagna e dalla Provincia do­menicana dell’Italia settentrionale.

Nessuna meraviglia che storici e teologi si cimenti­no con questa «pia pratica». «Il Rosario – spiega in­fatti un altro domenicano, padre Riccardo Barile – nasce in un ambiente raffinato. I suoi grandi fauto­ri sono stati i certosini in epoca medievale. Solo in un secondo tempo arriverà anche un supporto di tipo popolare».

Il vescovo di Assisi-Nocera Umbra­Gualdo Tadino Domenico Sorrentino ha messo a confronto due Lettere apostoliche di Giovanni Pao­lo II: la Rosarium Virginis Mariae e la Novo millen­nio ineunte. «In quest’ultima – ha ricordato – Gio­vanni Paolo II dà alla Chiesa una prospettiva della contemplazione del volto di Cristo come centro del­la preghiera. Nella stessa Ave Maria, il cui 'baricen­tro' è il nome di Gesù, il rivolgersi alla Vergine San­ta – ha ricordato Sorrentino – termina non a lei, ma al mistero dell’incarnazione che si attua in lei».

Don Guido Benzi, nuovo direttore dell’Ufficio cate­chistico nazionale, ha proposto una relazione sulla forma ripetitiva e litanica dell’orazione cristiana sof­fermandosi in particolare sulla posizione speciale che occupa il Magnificat in quanto inno di lode e ringraziamento posto sulle labbra della Vergine Ma­ria. Per quanto riguarda il profilo storico Mario Ro- sa, della Scuola Normale Superiore di Pisa, ha ri­chiamato i trionfi del Rosario nella letteratura reli­giosa della Controriforma. «La vittoria delle forze cristiane contro quelle ottomane nella battaglia di Lepanto – ha raccontato il relatore – provocò, una eccezionale fioritura di celebrazioni letterarie. Un caso singolare fu quello del 'poema eroico' Il Ro­sario
di Capoleone Ghelfucci, edito postumo nel 1600, che ebbe un notevole successo editoriale e che si pone quasi a conclusione di una intera para­bola politico-religiosa, emblematica di una fase for­temente combattiva della Controriforma tra il pe­ricolo turco nel Mediterraneo e le guerre di religio­ne in Francia». «Il Rosario – ha osservato don Erio Castellucci, pre­side della Facoltà teologica dell’Emilia Romagna – integra nella preghiera l’aspetto 'maschile', e­spresso non solo dalla contemplazione dei misteri cristologici ma anche dal Padre Nostro e dal Gloria, con l’aspetto 'femminile', espresso dalla ripetizio­ne delle Ave Maria che ne costituiscono il tessuto. La prevalenza dell’aspetto 'femminile' costituisce un opportuno contrappeso ad un’esperienza cri­stiana spesso in Occidente sbilanciata sul 'maschi­­le', perché tesa al fare più che all’accogliere, al par­lare più che all’ascoltare, all’organizzare più che al meditare, all’esercizio della volontà più che alla col­tivazione del sentimento filiale».

In quest’ottica, ha concluso don Castellucci, «la pra­tica del Rosario, se bene integrata nell’esperienza complessiva della sequela Christi, contribuisce a mantenere vivo il senso di appartenenza filiale alla Chiesa, attraverso Colei che della maternità della Chiesa è l’icona perfetta».



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