giovedì 5 giugno 2008

INVITARE PANSA PER ONORARE LE VITTIME DEI COMUNISTI

Il consiglio di don Gianni agli amici del Meeting di Rimini
Credo che per rispetto a quei morti, ai preti uccisi a decine, non possiate negare una bella presentazione al suo nuovo libro sulla strage scatenata dai rossi dopo la liberazione del paese
di Gianni Baget Bozzo
Tratto da Tempi del 3 giugno 2008


«Gli allor ne sfronda e mostra di che lacrime grondi e di che sangue». Così Ugo Foscolo nei Sepolcri, parlando di Niccolò Machiavelli. Queste stesse parole si possono applicare ora a Giampaolo Pansa, che ha dedicato la sua vita e la sua fama di sinistra a mostrare l’incredibilità della tesi secondo cui il comunismo italiano è “diverso”. Il fatto che possa ancora continuare a collaborare all’Espresso mostra che gli editori non credono più alla retorica falsa e imbalsamata di Giorgio Bocca. Tra Pansa e Bocca vi è la differenza che c’è tra memorie vive e memorie morte.

Si scatenò in Italia, dopo la liberazione del Nord, una strage di cittadini accusati di essere fascisti perché non erano comunisti. Una strage che ha il suo vertice significativo in un seminarista ucciso perché portava la veste talare. Fu il medesimo odio che riempì i gulag e creò una violenza senza nome dovunque è passato. Ma in Italia si crede ancora che i comunisti italiani abbiano una storia rispettabile e diversa. I comunisti italiani aspettavano la rivoluzione, aspettavano che Tito arrivasse a Venezia e perciò pensavano che fosse opportuno iniziare con l’eliminazione dei dissidenti, preti, intellettuali, borghesi, uniti dal principio che fosse meglio ucciderli, anche per motivi privati, che costringerli con la forza a diventare comunisti. Quelli che si salvarono si salvarono così. Pansa ha iniziato il racconto della grande mattanza, che era animata dal medesimo principio che Pol Pot usò in Cambogia: far fuori tutti quelli che erano stati educati con la cultura francese occidentale. L’omicidio di una cultura diventa omicidio degli uomini che l’hanno praticata.

Pansa ha scritto un romanzo, I tre inverni della paura edito da Rizzoli, che mette in forma di romanzo una storia, una delle tante da lui raccontate. Per capire chi sono i comunisti italiani occorre leggere questa storia tenendo a mente che, quando Pansa va in Emilia, deve andarci con la scorta. Non furono la giunta militare argentina o Pinochet a inventare i desaparecidos, furono i comunisti di Parma, di Reggio Emilia, di Modena, di Bologna, dove il silenzio sui morti e sulle loro tombe è ancora obbligo; dove il partito dei Ds, diventato Partito democratico, mantiene l’omertà e impedisce che se ne parli.

Ricordo quei giorni a Genova, quando come responsabile dei giovani democristiani, andai al Comitato di liberazione nazionale e al comando britannico per denunziare i massacri dei supposti “fascisti”. Eppure, per un altro anno, per molte mattine ancora la città trovò dei cadaveri, ma il Cln e gli inglesi non ne vollero sapere. In seguito seppi che un dirigente del Comune era stato buttato vivo nel forno siderurgico e i suoi familiari avevano deposto nella tomba un pezzo di ferro.

Anche Pierluigi Bersani viene da questa storia, amici del Meeting. Capisco, voi siete nati dalla grande dimenticanza che i comunisti hanno imposto alla memoria italiana. Ma oggi non potete dimenticare, e credo che per rispetto a quei morti, ai sacerdoti uccisi a decine, al giovane seminarista, voi non possiate negare una bella presentazione e un bell’incontro a Giampaolo Pansa e al suo libro.

Dategli la parola, amici del Meeting. Compirete in forma spirituale un’opera di misericordia culturale, quella di seppellire i morti sapendo perché essi sono stati uccisi: perché erano “diversi”.




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