sabato 14 giugno 2008

SANTA RITA SETTE ANNI FA ERA GIA' UNO SCANDALO

Un paziente di 79 anni sottoposto a sette interventi in sei mesi. La sentenza del tribunale poche settimane fa: operazioni inutili e dannose • La denuncia dei figli. La perizia fa rabbrividire: «Nessun elemento per giustificare azioni così cruente»
di Stefano Filippi
Tratto da Il Giornale del 13 giugno 2008

Il signor Silvio Orsini mosse i suoi ultimi passi quando entrò alla Santa Rita alla bell’età di 79 anni. Varcò la soglia della clinica sulle sue gambe per sostituire la protesi all’anca sinistra impiantata in Francia sette anni prima. Era l’11 luglio 2001. Ne uscì a dicembre, in autolettiga, dopo aver subito sette operazioni a causa di ripetute lussazioni. «Apri e cuci, era un continuo. Meglio se gli mettevano una cerniera lampo sulla coscia», sorride tra le lacrime il figlio Furio. L’anno successivo fu ricoverato al San Raffaele per uno choc settico, un’infezione provocata dai precedenti interventi: gli tolsero una sacca di pus. Nel novembre 2002 fece un infarto. Morì un anno e mezzo dopo, il 23 aprile 2004.
Sette lussazioni, sette operazioni chirurgiche su un ottantenne già finito sotto i ferri e cardiopatico. Ognuna significa équipe medica, attrezzature, spesso una nuova protesi, e quindi rimborsi su rimborsi dalla Regione. Tutti indispensabili? Niente affatto. A stabilirlo c’è una sentenza del tribunale di Milano, quinta sezione civile, del 20 febbraio 2008. La causa risarcitoria era stata intentata dai tre figli di Orsini.

Il giudice Roberto Pertile attribuisce l’aggravamento delle condizioni di salute a «carenza di adeguata valutazione sulla indicazione al trattamento chirurgico» e alla «mancanza di adeguata motivazione per i successivi ostinati tentativi di riduzione cruenta delle lussazioni». Tradotto dal gergo medico-legale, significa che le operazioni chirurgiche non erano necessarie: una tragica anticipazione delle recenti indagini. La casa di cura milanese e i medici ortopedici Mariano Rodolfo Masera («primo operatore in tutti gli interventi praticati» alla Santa Rita) e Arabella Galasso dovranno risarcire i figli di Orsini. Il professor Rodolfo Masera, che ha annunciato opposizione, non è indagato nell’inchiesta della procura a differenza della dottoressa Galasso: è lei, intercettata, a parlare di errori nel trapianto di un tendine.

La consulenza tecnica d’ufficio ordinata dal giudice, che è a fondamento della sentenza, mette i brividi. I periti, un ortopedico e un medico legale, si dicono a più riprese stupiti delle decisioni prese alla Santa Rita. «Nessuno degli approfondimenti eseguiti forniva elementi non dico di certezza, ma neppure di forte dubbio» sul fatto che la causa dei dolori fosse la protesi. Invece «non è provato che siano state intentate metodiche di supporto alternative a precedere o sostituire l’intervento programmato». Alternative alla sostituzione? Zero.

Quando si verifica la prima lussazione (la protesi è impiantata da due giorni) «non può non sorprendere la decisione di procedere con una riduzione cruenta». I consulenti ammettono meravigliati di «non trovare una spiegazione tecnica sulla base degli elementi noti». Al secondo episodio, «resta senza spiegazione come non si possa riuscire a ridurre incruentemente una lussazione di anca in un individuo di 79 anni, nel caso di una protesi correttamente posizionata e solidale con il femore».

Ulteriore lussazione il 24 agosto: «Anche in questa circostanza la decisione di un nuovo intervento chirurgico è verosimilmente presa d’emblée, se è vero che nel diario giornaliero si legge: “dopo consulto con il primario si decide di procedere a intervento chirurgico”». I chirurghi tacciono sia sulle condizioni del cotile sostituito, cioè dell’incavo osseo dove ruota la testa del femore, sia sulle «ragioni che potessero aver determinato la recidiva delle lussazioni».

Orsini a luglio 2001 aveva un modesto dolore all’articolazione del femore, ma camminava, guidava, saliva le scale. Per gli specialisti della clinica Santa Rita era tutta colpa della protesi, sostituita «nonostante le indagini strumentali non documentassero in maniera probante nulla di tutto ciò». L’anca «in tempi anche relativamente brevi dopo ogni nuovo intervento, tornava a lussarsi, anche in assenza di documentate manovre incongrue» del paziente o dei riabilitatori. «Sorprende che, fatta eccezione per una volta, tutte le lussazioni abbiano avuto necessità del provvedimento chirurgico per essere risolte».

Anzi, pare che la decisione di intervenire «sia stata prioristica, senza neppure essere preceduta da un tentativo di riduzione incruenta». La perizia fu depositata il 16 giugno 2006. Due anni prima degli arresti di questi giorni.


«Alziamo subito i controlli al 10 per cento»
Ferruccio Fazio, sottosegretario al Welfare, indica i criteri da adottare: «Premiamo le realtà dal volto umano. I fondi? Al privato d'eccellenza»
di Francesca Angeli

Quanto è accaduto nella clinica Santa Rita getta un’ombra su tutto il sistema di accreditamento nella sanità. Professor Ferruccio Fazio, oltre ad essere sottosegretario al Welfare, conosce bene questa realtà in cui opera da anni. Esiste un problema di degenerazione dell’attuale assetto e di degrado dell’etica medica?
«Io mi auguro che si tratti di un fenomeno isolato. Altrimenti sarò il primo ad emigrare all’estero. L’umanizzazione della professione medica è sempre stata la mia priorità e credo ci sia un problema di moralizzazione generale».

Che cosa non ha funzionato?
«La vicenda di Milano apre una serie di interrogativi ai quali occorre dare immediate risposte. Vanno subito incrementati i controlli che saliranno dall’attuale 2 per cento al 10. Poi pensiamo di affiancare i controlli “a campione“ ad altri sistematici su tutte le cartelle cliniche relative alle prestazioni ad alto rischio di inappropriatezza».

Quali prestazioni giudica più a rischio?
«Le faccio un esempio. Se ad una semplice diagnosi di ipertensione essenziale (pressione alta ndr) segue un ricovero direi che c’è da chiedersi subito se tale ricovero sia appropriato».

I criteri di accreditamento vanno rivisti?
«Sono tre gli aspetti sui quali puntare per alzare il livello della selezione e del controllo. L’assessment tecnologico, (strumenti, attrezzature, farmaci e procedure ndr); le dimensioni dell’attività, ovvero il numero di pazienti e di interventi effettuati. Infine il funzionamento della struttura, che deve caratterizzarsi come virtuoso. Un ambulatorio aperto soltanto la mattina e che fornisce un numero di prestazioni limitate non è virtuoso. Si deve tendere a ridurre la microsanità».

Il rischio non è proprio quello di seguire un criterio quantitativo?
«Il punto è un altro. Io sono assolutamente contrario all’idea che la sanità possa o ancor peggio debba essere un modo per fare soldi. Questo cozza con i miei principi. Detto questo esiste una sanità pubblica virtuosa ed una cattiva. Esiste un buon privato ed un pessimo privato. Non generalizziamo».

Molti però hanno messo sotto accusa proprio il sistema dei drg (Diagnosis Related Groups, ovvero raggruppamenti omogenei di diagnosi) perché ridurrebbe l’atto clinico ad un fatto economico.
«Cambiare sistema non è uno scherzo e comunque anche altri sistemi, ad esempio il cosiddetto piè di lista, presentano problemi enormi. Per me si può intervenire anche in altri modi».

Pensa all’agenzia di controllo?
«All’agenzia credo fino ad un certo punto. Stiamo valutando se sia il caso di istituire un’agenzia tipo joint commission. Ma vogliamo semplificare, riducendo le commissioni che fanno riferimento all’ex ministero della Salute e che sono arrivate 50. Credo molto invece nell’informatizzazione di tutto il sistema. Un piccolo gruppo di esperti ci sta già lavorando ed entro un anno potremmo avere la cartella clinica informatizzata. Dobbiamo creare una rete territoriale di informazioni che va dal medico di famiglia all’ospedale. Il punto cruciale è quello della trasparenza nelle procedure e dell’informazione piena su tutto il processo cui ha diritto il paziente. Questo coprirebbe dai rischi di frode molto più di un’agenzia».

Le priorità per la salute pubblica?
«L’abbattimento delle liste di attesa. Non di tutte ma almeno delle urgenze. Se si deve fare una mammografia di controllo è un conto se invece è necessaria per una diagnosi urgente si deve aprire un canale preferenziale. Pensiamo di consentire lo splafonamento delle liste d’attesa o potenziando il pubblico o aprendo a strutture private accreditate. Strutture che vanno dotate di una sorta di bollino d’oro che certifichi un livello di accreditamento più severo. Abbiamo già calcolato un costo di 300 milioni di euro all’anno per due anni».


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