venerdì 18 luglio 2008

HOSPICE UN LUOGO DI VITA E DI ASSISTENZA

Marco Maltoni, Direttore Unità Cure Palliative, USL Forlì

Forlì, 14 luglio 2008


Pur esprimendo il massimo rispetto e la massima comprensione umana per la vicenda di una persona e di una famiglia che soffrono in modo unico e irripetibile un dolore che è loro proprio e che nessuno dall’esterno può capire, il riverbero sociale di quella situazione costringe chi lavora nell’area delle malattie inguaribili a esprimere una posizione che abbia una valenza pubblica.
La sentenza che prescrive la morte di Eluana Englaro presenta numerosi elementi inquietanti:



-giudici che obbligano medici ad andare contro il codice deontologico, civile e penale; -carenza di conoscenze mediche per le quali il concetto di irreversibilità di stato vegetativo è solo probabilistico e non assoluto; -un lungo processo di morte per fame e per sete, tanto che presto si dirà “allora è meglio farla finita rapidamente in modo attivo”; -il fatto che la figura di chi promuove l’interruzione della nutrizione e quella di chi riporta le presunte precedenti affermazioni di Eluana coincidono entrambi nella stessa persona del Sig. Englaro; -un giudizio di fondo, alla base della sentenza, di valore della persona solo in riferimento alle qualità che riesce ad esprimere.
Ma sono due altri aspetti quelli sui quali vorrei sinteticamente soffermare l’attenzione.
Primo aspetto. I giudici della sentenza non conoscono certamente i recenti lavori di Owen (Functional neuroimaging of the vegetative state. Owen AM, Nat Rev Neurosci, 2008) sulla rilevazione dello stato di coscienza con la Risonanza Magnetica Funzionale. Da tali studi emerge che forme di coscienza varie, e talora sovrapponibili a quelle dei sani, sono presenti nella maggior parte dei pazienti in Stato Vegetativo Persistente, che però non riescono ad esprimerle. Maggiore è il livello di coscienza che il malato non riesce a trasmettere, più elevato è il suo livello di consapevolezza di quello che sta accadendo intorno a lui/lei.
Secondo aspetto. L’indicazione della sentenza a concludere il processo di morte in un hospice. L’indicazione dell’hospice come luogo di morte contrasta in modo radicale con il giudizio che ne dava la Fondatrice Dame Cicely Saunders, che definiva l’hospice “luogo di vita, di assistenza, e di ricerca”. L’attesa che Eluana sia resa “terminale” da qualcuno esterno che interrompa la nutrizione (perché un medico? Non è così difficile sfilare un sondino gastrico), per poi accettarla in hospice in quanto divenuta terminale rappresenta, a mio parere, un atteggiamento formalistico contrario allo spirito delle “vere” cure palliative.
Rassicuriamo i nostri pazienti sul fatto che le “vere” cure palliative sono per garantire loro la vita migliore possibile (come emerso anche in un vasto recente dibattito europeo) ricordando che nella sua opera “Vegliate con me”, da poco tradotta in italiano, la fondatrice Cicely diceva ai suoi malati: “Tu sei importante perché sei tu e sei importante fino alla fine”. Con questo spirito procediamo nell’assistenza dentro il fondamentale rapporto di fiducia medico-paziente, purtroppo sempre più assediato e attentato da giudici necrofili.

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