martedì 29 luglio 2008

LA VITA OLTRE UNA SENTENZA

Viene contestato poi che la nutrizione artificiale sia una terapia, si critica il fatto che le volontà di Eluana siano state dedotte da “semplici frasi di commento”, ma soprattutto si fa riferimento alle migliaia di persone che in Italia si trovano nelle stesse condizioni della Englaro, ed a tutti coloro che si adoperano per sostenerle, insieme alle loro famiglie. È indubbio che se la vicenda Englaro si risolvesse con la rimozione del sondino naso gastrico e la morte per fame e per sete della donna, alle migliaia di famiglie che si prendono cura dei loro congiunti gravemente cerebrolesi giungerebbe un messaggio devastante, e cioè che è meglio morire piuttosto che vivere in quelle condizioni. Eppure proprio le storie dei familiari di chi si trova in stato vegetativo, o comunque in situazioni di gravissima disabilità, sono lì a dimostrare che siamo di fronte a una vita diversa, di cui ancora c’è tanto da comprendere, ma che è, indubbiamente, ancora una vita.

lun 28 lug
di Assuntina Morresi
Tratto da cronache di Liberal del 26 luglio 2008



«È fondamentale considerare che la persona in stato vegetativo non presenta un elettroencefalogramma piatto e non è un malato terminale; è una persona che una volta raggiunta la stabilità clinica non è più da considerare paziente o malato ma persona con gravissima disabilità; è forse la persona con il massimo livello di disabilità. È persona a tutti gli effetti a cui restano tutti i diritti di cittadino».

Con queste parole ben trentaquattro associazioni che si occupano di gravi cerebrolesioni hanno definito in cosa consiste lo stato vegetativo, spiegando che è la forma più grave di disabilità di fronte a cui ci si può trovare, ma che è una condizione totalmente diversa, e comunque lontana, dallo stato di morte clinica.

Stiamo parlando di ventitrè associazioni aderenti alla Federazione Associazioni Traumi Cranici, di dieci associazioni che fanno capo alla Rete Associazioni riunite per il Trauma Cranico e le Gravi Cerebrolesioni Acquisite, e dell’Associazione Vi. Ve (Vite Vegetative) a cui sono iscritti venti professionisti fra neurologi, esperti del settore, compresi bioeticisti. Si tratta della rappresentanza più vasta di persone gravemente cerebrolese, unite in un comune giudizio riguardo al caso di Eluana Englaro.

Lo scorso 23 luglio, a Roma, presso la Biblioteca del Senato, queste associazioni hanno organizzato una conferenza stampa per rendere pubblica la loro richiesta al procuratore generale di Milano di presentare ricorso avverso alla sentenza della Corte di Appello, che ha consentito la sospensione dell’alimentazione e dell’idratazione artificiale ad Eluana Englaro, da 16 anni in stato vegetativo. Alla conferenza stampa è intervenuto il sottosegretario al Welfare, Eugenia Roccella, che ha condiviso molte delle perplessità delle associazioni sulle sentenze che stanno facendo discutere l’Italia - quella della Cassazione dello scorso ottobre e quella della Corte di Appello di Milano di qualche settimana fa - ma che ha anche spiegato che quella non era appena una conferenza stampa sul caso Englaro: insieme alla lettera al procuratore generale di Milano, infatti, le associazioni hanno presentato alcune richieste al sottosegretario, in particolare la creazione di un Osservatorio e di un registro nazionale per monitorare la situazione delle persone gravemente cerebrolese nel nostro paese.

A tutt’oggi il numero di italiani che versano in queste condizioni è solamente stimato sulla base di dati statistici: considerando la distribuzione di queste cerebrolesioni rispetto alla popolazione, si ipotizza che in Italia ci siano circa 1500 “Eluane”, la maggior parte delle quali vive in famiglia. Ma il numero è veramente indicativo, tenendo conto anche del fatto che dal 20 al 40 per cento delle diagnosi di stato vegetativo sono errate. Tutti gli intervenuti alla conferenza stampa sono stati concordi nell’esprimere profondo rispetto per i sentimenti e la battaglia di Beppino Englaro, il padre di Eluana, il quale è convinto che la sospensione di idratazione e alimentazione artificiale sia la migliore soluzione per sua figlia.

Allo stesso tempo, però, la critica alla sentenza della Cassazione e a quella della Corte di Appello è stata durissima, sul piano scientifico, giuridico e anche dell’esperienza. Il documento delle associazioni sottolinea innanzitutto che la letteratura scientifica a cui si fa riferimento nelle due sentenze è oramai superata, e che, per esempio, lo stato vegetativo non viene più definito «permanente» dagli esperti del settore - come riportato in entrambe i testi - perché non è possibile dimostrarne con certezza l’irreversibilità.

Viene contestato poi che la nutrizione artificiale sia una terapia, si critica il fatto che le volontà di Eluana siano state dedotte da “semplici frasi di commento”, ma soprattutto si fa riferimento alle migliaia di persone che in Italia si trovano nelle stesse condizioni della Englaro, ed a tutti coloro che si adoperano per sostenerle, insieme alle loro famiglie. È indubbio che se la vicenda Englaro si risolvesse con la rimozione del sondino naso gastrico e la morte per fame e per sete della donna, alle migliaia di famiglie che si prendono cura dei loro congiunti gravemente cerebrolesi giungerebbe un messaggio devastante, e cioè che è meglio morire piuttosto che vivere in quelle condizioni. Eppure proprio le storie dei familiari di chi si trova in stato vegetativo, o comunque in situazioni di gravissima disabilità, sono lì a dimostrare che siamo di fronte a una vita diversa, di cui ancora c’è tanto da comprendere, ma che è, indubbiamente, ancora una vita.

Nelle pagine che seguono, oltre che il testo del documento presentato in conferenza stampa, possiamo leggere la storia di una delle 34 associazioni firmatarie: Gli amici di Luca. Se si riuscisse ad ascoltare innanzitutto la voce di tutti coloro che vivono in prima persona queste situazioni, uscendo dalle secche dello scontatissimo scontro laici-cattolici, sicuramente ne guadagnerebbe il dibattito pubblico, ma anche i tanti Luca ed Eluane e tutti coloro che se ne prendono cura.

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