martedì 15 luglio 2008

L'INDIVIDUALISMO UCCIDE

IL PEZZO CHE TROVATE QUI SOTTO L'HO PRESO DALL'ARTICOLO CHE POTETE LEGGERE ALL'INTERNO INTITOLATO "LA VITA SOTTO TIRO"


Dopo aver ascoltato gli studenti e riflettuto sull’argomento, Somerville è arrivata alla conclusione che uno dei principali problemi nel difendere le tesi contrarie all’eutanasia e al suicidio assistito è dato dal profondo individualismo su cui poggia una cultura fortemente secolarizzata.

Secondo uno degli studenti di Somerville, i diritti individuali sono considerati prioritari nella società contemporanea e pertanto va conferita ad essi la stessa priorità anche nelle questioni relative alla morte.

Somerville ha precisato che per trattare questi argomenti è necessario evitare impostazioni fondate sulla religione e usare solo argomenti laici. Tuttavia, sebbene il ragionamento non religioso sia del tutto solido e fondato, esso risulta perdente rispetto all’impatto emotivo che scaturisce dalla drammaticità che emana dai malati terminali.

Benedetto XVI, nel suo discorso rivolto ai partecipanti al congresso “Accanto al malato inguaribile e al morente: orientamenti etici ed operativi”, organizzato dalla Pontificia Accademia per la vita, ha parlato delle problematiche etiche che sorgono in questo contesto.

Non solo i credenti, ma l’intera società sono tenuti al rispetto della vita e della dignità di coloro che si trovano in fase terminale o sono gravemente malati, ha affermato.

Il Papa ha anche esortato ad assistere le famiglie che sono messe alla prova dalla malattia di un parente, soprattutto se grave e prolungata.

“Un più grande rispetto della vita umana individuale passa inevitabilmente attraverso la solidarietà concreta di tutti e di ciascuno, costituendo una delle sfide più urgenti del nostro tempo”, ha aggiunto il Pontefice. Una solidarietà che certamente non consiste nel dare la morte a persone che invece hanno bisogno del nostro aiuto.


La vita sotto tiro Eutanasia - lun 14 lug
Continuano le pressioni per il suicidio assistito
di Padre John Flynn, LC
Tratto dal sito ZENIT, Agenzia di notizie il 13 luglio 2008

I fautori del suicidio assistito continuano a fare pressioni in molti Paesi per perorare la loro causa. In Germania, un ex senatore di Amburgo, Roger Kusch, ha pubblicato un video in cui aiuta una donna a commettere suicidio, secondo la Reuters del 1° luglio.

Nel video si vedrebbe Kusch dare istruzioni a Bettina Schardt su come preparare un cocktail letale di farmaci, in grado di ucciderla. Schardt, 79 anni, non soffriva di alcuna malattia grave. Prima di aiutarla a morire, Kusch ha filmato 9 ore di conversazione con la Schardt che affermava di temere l’idea di essere portata in un ospizio.

L’iniziativa di Kusch ha riscosso condanne generalizzate, secondo un articolo pubblicato il 1° luglio sul sito di Spiegel Online. Jörg-Dietrich Hoppe, presidente dell’Associazione dei medici tedeschi, ha definito la vicenda “orrenda e profondamente sconcertante”. Il Ministro della salute tedesco, Ulla Schmidt, ha detto: “rifiuto categoricamente questo modo di procedere”.

Kusch ha detto che Schardt si era messa in contatto con lui dopo aver visto sul giornale la sua presentazione di una “macchina per il suicidio” che i pazienti avrebbero potuto utilizzare per autoiniettarsi una soluzione letale.

Il mese prima, in Inghilterra, il tema del suicidio assistito era tornato sotto i riflettori grazie alla vicenda di una donna affetta da sclerosi multipla che ha portato il suo caso davanti all’alta Corte, secondo la BBC dell’11 giugno.

La donna, Debbie Purdy, ha in programma di recarsi in Svizzera, dove il suicidio assistito è legale. Il suo ricorso riguarda invece il futuro del marito Omar, che teoricamente, al suo rientro dalla Svizzera, potrebbe essere incriminato per averla aiutata a commettere suicidio.

Purdy si è quindi appellata all’alta Corte per chiedere al Procuratore generale di chiarire l’interpretazione della legge.

Cresce la pressione
Commentando il caso nell’edizione dell’8 luglio del Sunday Telegraph, Alasdair Palmer ha detto di simpatizzare con Debbie Purdy, in quanto anche lui affetto da sclerosi multipla.

L’azione legale, se dovesse essere accolta, costituirebbe il primo passo verso il riconoscimento giuridico del suicidio assistito, ha avvertito Palmer.

Un esplicito “diritto a morire” cambierebbe notevolmente il contesto delle questioni di vita e di morte, aumentando di molto il rischio di sentirsi indotti a porre fine alla propria vita.

Melanie McDonagh, scrivendo sul Telegraph del 13 giugno, ha detto che ciò di cui persone come Purdy in realtà hanno bisogno è una maggiore attenzione medica e di maggiore assistenza per aiutare il marito a gestire la situazione. La dignità in questi casi consiste nell’aiutare le persone a vivere al meglio e non a commettere suicidio, secondo McDonagh.

Alcuni dei rischi connessi con il suicidio assistito sono stati evidenziati in un recente caso a Sydney, in Australia. Un giudice ha condannato Shirley Justins e Caren Jenning per l’uccisione del partner riconosciuto della Justins, Graeme Wylie, secondo il quotidiano The Australian del 20 giugno.

La condanna è stata un duro colpo per il movimento pro-eutanasia, secondo l’articolo. Justins e Jenning sono membri dell’organizzazione Exit International, diretta dal dr. Phillip Nitschke, che svolge campagne in favore dell’eutanasia.

Durante un processo, la Justins ha ammesso di aver aiutato Wylie a commettere suicidio fornendogli il Nembutal, che Jenning ha confessato di aver portato in Australia. Il procuratore, Mark Tedeschi, ha detto che Justins era preoccupata soprattutto di tutelare il suo futuro economico.

Una settimana prima della sua morte, Wylie aveva infatti modificato il suo testamento, lasciando quasi tutto il suo patrimonio immobiliare di 2, 4 milioni di dollari australiani (1, 4 milioni di euro) a Justins.

Un rapporto del Senato
Il dibattito sul suicidio assistito è destinato a proseguire in Australia, dove è stata presentata al Senato federale una proposta presentata per abolire le restrizioni vigenti. Nel 1996, il Northern Territory ha approvato una legge con cui è stato legalizzato il suicidio assistito.

Ma, sia il Northern Territory che l’Australian Capital Territory, dove è sita la capitale Canberra, non godono di un’autonomia legislativa piena. Pertanto, poco dopo la legalizzazione, le autorità federali hanno abrogato la legge.

Qualche mese fa, Bob Brown, senatore del partito dei verdi, ha presentato un disegno di legge diretto ad abrogare la legge che attualmente vieta ai due territori di legalizzare il suicidio assistito.

Nell’ambito di un’indagine del Senato sul tema proposto dal disegno di legge si è verificata una forte contrapposizione fra i senatori, secondo il quotidiano Age del 27 giugno.

Il primo ministro Kevin Rudd aveva reso nota la sua opposizione alla legalizzazione del suicidio assistito. Tuttavia, questa posizione potrebbe risultare minoritaria, avendo, il partito laburista di governo, bisogno del sostegno del partito dei verdi per poter approvare le sue leggi in Senato.

Falsa compassione
Una carta che spesso viene giocata dai fautori del suicidio assistito è quello della compassione per i malati terminali. Così è stato anche per il caso di Chantel Sébire, una donna di 52 anni, che ha fatto ricorso in Francia per ottenere l’aiuto dei medici a morire, secondo la BBC del 17 marzo.

Soffriva di un tumore incurabile che le aveva pesantemente sfigurato il volto, ma le era stato negato il “diritto a morire”. Secondo la BBC, il suo caso ha innescato un ampio dibattito e molta simpatia.

Bruce Crumley, commentando questo caso in un articolo pubblicato il 1° aprile sul sito Internet di Time magazine, ha osservato che la situazione di Sébire ha indotto a riesaminare la normativa francese che vieta l’eutanasia attiva.

Tuttavia, secondo Crumley, il dibattito non ha tenuto conto di un aspetto fondamentale: per quasi mezzo decennio, Sébire ha costantemente rifiutato le cure per la sua malattia, prima che questa arrivasse alla sua fase terminale che l’ha poi indotta a voler morire.

I medici hanno spiegato a Crumley che il suo tumore poteva essere asportato chirurgicamente, con buone probabilità di successo. Tuttavia, Sébire ha rifiutato sia le proposte di intervento chirurgico, sia le cure palliative.

Axel Kahn, medico e membro del Comitato consultivo nazionale di bioetica francese, ha riferito al Time che le reazioni dell’opinione pubblica al caso di Sébire sono state “compassionevoli e sentite”. Kahn ha lamentato che troppo spesso su queste questioni la reazione emotiva ha la meglio su un’analisi razionale.

Margaret Somerville, direttrice del Center for Medicine, Ethics and Law presso la McGill University, ha sottolineato, in un articolo apparso il 27 giugno sull’Ottawa Citizen, la difficoltà di contrastare l’opinione generale in favore del suicidio assistito.

Somerville ha raccontato di aver introdotto il tema dell’eutanasia ai suoi studenti di legge della McGill University, lo scorso semestre. Alla fine del corso, tuttavia, le è sembrato che gli studenti non avessero colto i problemi insiti nella questione dell’eutanasia.

Individualismo
Dopo aver ascoltato gli studenti e riflettuto sull’argomento, Somerville è arrivata alla conclusione che uno dei principali problemi nel difendere le tesi contrarie all’eutanasia e al suicidio assistito è dato dal profondo individualismo su cui poggia una cultura fortemente secolarizzata.

Secondo uno degli studenti di Somerville, i diritti individuali sono considerati prioritari nella società contemporanea e pertanto va conferita ad essi la stessa priorità anche nelle questioni relative alla morte.

Somerville ha precisato che per trattare questi argomenti è necessario evitare impostazioni fondate sulla religione e usare solo argomenti laici. Tuttavia, sebbene il ragionamento non religioso sia del tutto solido e fondato, esso risulta perdente rispetto all’impatto emotivo che scaturisce dalla drammaticità che emana dai malati terminali.

Benedetto XVI, nel suo discorso rivolto ai partecipanti al congresso “Accanto al malato inguaribile e al morente: orientamenti etici ed operativi”, organizzato dalla Pontificia Accademia per la vita, ha parlato delle problematiche etiche che sorgono in questo contesto.

Non solo i credenti, ma l’intera società sono tenuti al rispetto della vita e della dignità di coloro che si trovano in fase terminale o sono gravemente malati, ha affermato.

Il Papa ha anche esortato ad assistere le famiglie che sono messe alla prova dalla malattia di un parente, soprattutto se grave e prolungata.

“Un più grande rispetto della vita umana individuale passa inevitabilmente attraverso la solidarietà concreta di tutti e di ciascuno, costituendo una delle sfide più urgenti del nostro tempo”, ha aggiunto il Pontefice. Una solidarietà che certamente non consiste nel dare la morte a persone che invece hanno bisogno del nostro aiuto.




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