domenica 27 gennaio 2008

L'INFO-ETICA PREZIOSA COME LA BIOETICA

....l’«ambi­guità del progresso - dice Joseph Ratzinger - che offre inedite pos­sibilità per il bene, ma apre al tempo stesso possibilità abissali di male che prima non esisteva­no »......

Che serva un comitato garante?
di Giorgio Ferrari

Tratto da AVVENIRE del 26 gennaio 2008

Un uso distorto dei mass me­dia può ribaltare i benefici che il villaggio globalizzato, in cui l’informazione diffusa contribui­sce a svecchiare le oligarchie e a mettere a nudo le prevaricazioni del potere, finora ha in qualche modo garantito. E l’allarme lan­ciato senza usare mezzi termini da Benedetto XVI in occasione della quarantaduesima Giornata mondiale delle Comunicazioni sociali non è casuale.



«Sistemi volti a sottomettere l’uo­mo a logiche dettate dagli inte­ressi dominanti del momento», i mass media si avvalgono sempre più spesso - e il non essersene ac­corti sarebbe la più incresciosa delle colpe - di «volgarità, vio­lenza, trasgressione, pubblicità ossessiva, modelli di vita distorta e fuorvianti, manipolazioni ideo­logiche ».

Di qui la necessità e l’urgenza di un’etica dell’informazione, una
info-etica, come dice il Papa, o­mologa a quella che nel campo della medicina e della ricerca scientifica chiamiamo bio-etica.

Già immaginiamo cosa potranno obiettare i volonterosi difensori della libertà di informazione ad ogni costo: che si voglia istigare qualcuno o qualcosa ad allestire una sorta di Minculpop in grado di controllare e filtrare notizie e immagini in modo da non turba­re lo spirito delle persone sem­plici e influenzabili.

Non è così, per niente. Ci viene vi­ceversa di fare una modesta ri­flessione, mediata da quelle pa­role ed ammettere che non da og­gi il rumore di fondo dei mezzi di comunicazione si è sensibilmen­te elevato fino ad una soglia di di­sturbo che in molti avvertono ma che non sanno come contrastare. La soglia di una perdita genera­lizzata della decenza; e per de­cenza intendiamo quel pudore condiviso (o per lo meno un tem­po lo era) che di fronte a certe e­sasperazioni della curiosità mor­bosa attorno alle intimità, alla vi­ta privata, alla sfera inviolabile (inviolabile?) dell’individuo, di fronte a certe inaccettabili forza­ture del diritto di cronaca, di fron­te a certe patenti falsificazioni della realtà (pensiamo solo ai rea­lity show, imbarazzante ossimoro semantico perché a dispetto del nome vi è tutto fuorché qualcosa di reale) dovrebbe reagire con un diffuso rifiuto, con una scontrosa ma sacrosanta ribellione.

Un rifiuto, una ribellione che nei confronti delle reti televisive pub­bliche e dei grandi organi di informazione a mezzo stampa si vanno facendo sempre più tenui, come se questa progressiva eclis­si della necessità della verità fos­se il segno ineluttabile dei tempi, il marchio di riconoscimento di un trapasso epocale. E’ l’«ambi­guità del progresso - dice Joseph Ratzinger - che offre inedite pos­sibilità per il bene, ma apre al tempo stesso possibilità abissali di male che prima non esisteva­no ».

Ma come regolamentare, come concepire un’etica dell’informa­zione visto che l’autoregolamen­tazione e le varie Carte dei diritti del lettore che ridondano di prin­cipi e di propositi raramente han­no efficacia?

Ci vorrebbe forse un comitato di saggi, indipendenti ed estranei ad ogni logica di potere e di ideolo­gia, chiamati a segnalare di volta in volta a tutti noi fabbricanti di informazione quando usciamo dalla linea della decenza. Perché almeno non si dica che non ce n’eravamo mai accorti.

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