martedì 22 gennaio 2008

"LIBERTA' E TOLLERANZA" LEZIONE LAICA DI TOLLERANZA

È impossibile davanti al Papa e vicino alla memoria di millenni cristiani sottrarsi alla domanda: «Che cosa diavolo ci facciamo in questo mondo?»; mea culpa, togliere la parola diavolo, per favore. Ecco: non siamo soli. Benedetto XVI ha esordito mettendoci con lui: «Fratelli e sorelle». Poi, procedendo ha cambiato, e si è rivolto così agli sguardi che se lo bevevano: «Cari amici!». Ha aggiunto: «Grazie. Vogliamo pregare insieme, non bisogna smettere di pregare».


di RENATO FARINA
Libero, 21 gennaio 2008

Ieri la piazza più religiosa e, per i maliziosi, più clericale del mondo è diventata una specie di fortino della libertà, una grande culla dove tutti i laici dell'universo potevano riposarsi per preparare la futura pugna. Non ci credete? Be', chi c'era può testimoniarlo: è accaduta la strana alleanza di uomini liberi. Cattolici oppure no, ma ieri stretti intorno a uno strano tedesco che ricorda molto un tale vissuto in Galilea duemila anni fa. Ma anche un certo Socrate. Sia detto senza confondere le essenze: ciascuno è quello che ha scelto di essere. (...) Ma ieri ci si è incontrati al Ratzinger day. Eccoci allora intorno a mezzogiorno vicino al cupolone. Presso l'obelisco c'è ancora il presepe tardivo e l'albero di Natale con gli addobbi dorati: in fondo anche se non è Natale oggi nasce qualcosa di importante in Italia. Che sciocchi quanti hanno parlato di steccati risorgenti tra chi è fedele e chi non ci crede.

Questa domenica mezzogiorno è stato il momento di una comunione, anzi - non esageriamo - di un patto in difesa del diritto di esistere con la faccia che si ha, della necessità del rispetto.

Piccole cose, persino ovvie. Ma mica tanto oramai. Prima la cronaca o prima i concetti? Qui non si riesce tanto a distinguere tra il significato delle cose, la loro potenza politica, e il susseguirsi dei fatti. Idee e facce, ragionamenti e passioni si mescolano come sempre nella vita, ma ieri di più.

Da là sotto, sul selciato, tra mille bandiere e striscioni, si vedeva specialmente il cielo di Roma, lucentissimo e blu. Questo miracolo che è il colore dell'aria a Roma. Tutti a guardare le sue braccia aperte

Centinaia di migliaia di occhi fissi alla finestra. Alle undici e cinquanta si aprono le imposte e viene srotolato il sandalo rosso. A mezzogiorno in punto una macchia bianca e due braccia si sono agitate più lente e più larghe di quelle della gente in piazza.

Il Papa è entrato in scena con le braccia aperte, forse non sapeva dove mettere le mani, non ha senso del teatro, ma dell'amore sì.

Sono passati alcuni istanti prima che il microfono rilanciasse le cadenze bavaresi del Pontefice. E sono stati momenti unici. Chi scrive è un veterano d'incontri papali. Ieri è stato diverso da ogni altra volta.

Non la solita festa, ma neanche la tristezza dinanzi alla malattia di un Papa o a eventi dolorosi dell'umanità. Piuttosto l'attesa e il desiderio. L'aspettativa di un annuncio bello. E questo fremito accomunava i credenti, pratici delle preghiere, e i "miscredenti", impacciati ma non estranei. Ed ecco la voce, la voce del Papa.

Non era quella solita attraversata da accenti d'ironia, aveva qualcosa di spezzato, come di un uomo che stesse per piangere.

Per la fatica che gli altri avevano fatto per andare a salutarlo, per la pietà che aveva per quegli uomini-donne-bambini, per chi lo aveva ferito e ancora non capiva il torto fattogli, per il mondo intero, ma anche per se stesso. E a noi giù in piazza, e - forse - a voi in cucina davanti al video, cosa è accaduto? Come una scossa.

È impossibile davanti al Papa e vicino alla memoria di millenni cristiani sottrarsi alla domanda: «Che cosa diavolo ci facciamo in questo mondo?»; mea culpa, togliere la parola diavolo, per favore. Ecco: non siamo soli. Benedetto XVI ha esordito mettendoci con lui: «Fratelli e sorelle». Poi, procedendo ha cambiato, e si è rivolto così agli sguardi che se lo bevevano: «Cari amici!». Ha aggiunto: «Grazie. Vogliamo pregare insieme, non bisogna smettere di pregare».

E questi inviti non c'è uno solo cui siano parsi bigotti o moralistici. Era chiaro che in quella richiesta c'è l'essenza del nostro essere uomini, atei o no: dei poveretti che hanno bisogno di tutto, e mendicano il destino a questo cielo di Roma così sorridente. Dalla folla si è levato un coro, partito dalla zona dove si allungava per cinquanta metri lo stendardo di Comunione e Liberazione: libertàaa-libertàaa. È diventato viva-il-Papa; e poi ti vogliamo-bene-Benedetto.

È seguito il latino solenne dell'Angelus, le formule mai consumate delle benedizioni pontificie. Il segno della croce. Tanti, tra essi molti con sottobraccio Libero, si capiva essere poco avvezzi a questo gesto: ma si sono inchinati dinanzi a una liturgia antica che nel caos di questa Italia ha il timbro fresco della speranza.

«Grazie agli amici!» ha ripreso allora il Papa. Qui è cominciata la parte "politica" dell'incontro: di una politica che è sinonimo di convivenza civile, bene comune, stare insieme rispettandosi, e persino cercando di venirsi incontro e farsi compa-gnia.

Se possibile provando a portare i pesi gli uni degli altri. O, se questa è un'utopia, almeno non tirarseli in testa. Ha usato due volte la parola «solidarietà» riferendosi a quella ricevuta, e tre volte ha detto «grazie», una al «cardinal vicario» Ruini. Soprattutto ha fatto intendere che lui non era soltanto quello che stava alla finestra, ma stava anche giù, tra la gente che ha scelto di venire qui. Si è messo tra i cattolici e i laici bambini. Quelli che vedono le cose e le dicono.

(Come il sindaco di Missaglia, Brianza con la fascia tricolore e i vigili urbani, mandato qui nella notte dal consiglio comunale al completo). Chi non c'era in piazza e anzi ha condannato per qualsivoglia menata questo Angelus è cattolico-adulto o laico-adulto. Uno che tra i suoi occhi e la realtà mette l'ideologia. E se un Papa è ferito non lo soccorre, ma domanda: a-chi-giova? Uno schifo da scribi e farisei.

Benedetto XVI, con il suo modo di fare timido e ritroso, non ha trattato questo raduno come qualcosa di gradevole ma adesso passiamo ad altro; gli ha dato un peso missionario, è diventato un gesto in cui lui si identifica: bisogna correre insieme, uomini di buona volontà, dove la libertà subisce un torto. Non si è sottratto per falsa modestia alla constatazione di aver subito una persecuzione, non ha minimizzato.

Poteva restare neutro per non dividere i prodiani (ostili al raduno) dai rutelliani (favorevoli: c'erano Rutelli e Fioroni), per non benedire implicitamente tanta parte del centrodestra, Cossiga, Andreotti, la Cisl, l'Ugl e i cristiani riformisti (veltroniani). No. Non è rimasto furbescamente neutro.

Era da questa parte. Con chi protesta perché si è impedito a un Papa di parlare. A un Papa! Figuriamoci a chi è un nessuno cosa fanno. Una lezione di democrazia

Non è un tipo che alluda, Ratzinger. Ha raccontato come ha vissuto questi giorni. Ci teneva. Ci ha patito. Prima ha raccontato di sé quasi piegato sulle sudate carte. «Conosco bene questo ateneo, lo stimo, sono affezionato. Avevo accolto volentieri l'invito, mi ero preparato il discorso per giorni dopo il Natale». Poi la violenza subita... «Purtroppo, il clima che si è creato... Ho soprasseduto mio malgrado». In quel mio-malgrado c'è un giudizio chiaro: mi è stato impedito, il danneggiato sono io, ho subito un furto di libertà.

Altro che vittoria politica del Vaticano, a lui interessa incontrare le persone più che spedire insegnamenti, la vita degli uomini è così: incontrarsi, litigare, poi bere un caffè, pensare al lavoro, ai figli. E qui la lezione di democrazia, o se si vuole molto semplice, di educazione civica: «Come professore, per così dire, emerito, che ha incontrato tanti studenti nella sua vita vi incoraggio tutti, cari universitari, ad essere sempre rispettosi delle opinioni altrui e a ricercare, con spirito libero e responsabile, la verità e il bene». Rispetto, libertà, responsabilità, verità, bene.

Secondo me il Papa non la passa liscia. Da quando in qua in questo mondo il coraggio e la mitezza sono premiati? Noi però siamo contenti che tu ci sia, papa Benedetto, e sei proprio così come sei. Più colto, più timido, più intelligente, più credente di noi. Ma ci chiami amici, sei uno di noi.

21 gennaio 2008

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