venerdì 25 gennaio 2008

PRIVILEGIARE SEMPRE LA VITA

Limiti all’aborto e assistenza ai prematuri • Non bisogna far dipendere la valutazione delle cure da prestare dalle previsioni su eventuali disabilità
di Eugenia Roccella

Tratto da AVVENIRE del 24 gennaio 2008



La prolusione del presidente della Cei, il cardinale Bagnasco, contiene una riflessione sull’aborto molto articolata, che i media hanno semplificato e compresso, cercando di adattarla a interpretazioni immediatamente politiche.

Ma tentare un’operazione simile vuol dire chiudersi all’ascolto, prestandosi all’equivoco. Nelle parole del cardinale c’è il ringraziamento a quei laici che hanno denunciato lo scandalo silenzioso dei milioni di non nati, ma c’è anche una dichiarazione di non belligeranza, la mano tesa a chiunque voglia davvero fare qualcosa per la «tutela della maternità», come recita il titolo della legge 194.

C’è la consapevolezza di non essersi mai allontanati da una linea di intransigenza nella difesa della vita («considerare vita la vita, sempre»), ma non ci sono parole di colpa nei confronti delle donne; c’è invece il riconoscimento per chi, come i volontari dei Centri di aiuto alla vita, «ha cercato di promuovere un’iniziativa amica delle donne che le aiuti nella decisione, talora faticosa, di accettazione dell’esistenza diversa da sé che ormai è accesa in grembo».


E poi c’è anche una domanda precisa: «Come si può, solo per questa legge, deliberatamente ignorare i progressi della scienza e della medicina e non tener conto che oltre le 22 settimane di gestazione c’è già qualche possibilità di sopravvivenza» per il nascituro? Si tratta di applicare la legge 194, che vieta l’aborto se il feto ha possibilità di vita autonoma, e indicare un limite cautelativo appunto tra la 21° e la 22° settimana di gravidanza.

L’altroieri, dopo quasi un anno di discussione, la commissione voluta dal ministro della Salute Livia Turco sulle cure per i neonati fortemente prematuri, ha chiuso i suoi lavori. Il testo prodotto dal gruppo di lavoro istituisce una casistica rigida e dettagliata: tra le 22 settimane e le 23 (anzi, le 22 più 6 giorni) sono indicate solo le «cure compassionevoli». Allo scattare della 23° settimana, il medico valuta se «sussistano condizioni di vitalità»; dopo la 24° la rianimazione diventa consigliabile, e dopo la 25°, necessaria. Ci sarebbe piaciuto qualcosa di meno prescrittivo, che però indicasse con chiarezza alcuni criteri di fondo da seguire. Per esempio quello di privilegiare comunque la tutela della vita, e non far dipendere la valutazione delle cure da prestare dalle previsioni su eventuali disabilità.

L’eugenetica preme alle nostre porte, e pretende ormai di diventare senso comune: sembra quasi ovvio che una vita da disabili non abbia lo stesso valore di una 'di qualità'.

Come si legge nella bozza elaborata dal Comitato nazionale di bioetica sull’assistenza ai prematuri, «appare eticamente inaccettabile, oltre che scientificamente opinabile, la pretesa di individuare una soglia astratta a partire dalla quale rifiutare, a priori, ogni tentativo di rianimazione».

Qualcuno obietterà che non siamo coerenti: perché, allora, chiedere un limite preciso per l’interruzione di gravidanza? È semplice: nel caso dell’aborto, si tratta di una garanzia, di un limite oltre il quale un bimbo potrebbe – forse – vivere autonomamente. Il caso dell’assistenza ai prematuri è opposto: si tratta di rifiutare aprioristicamente le cure a un bambino solo perché è nato a 22 settimane e 6 giorni anziché a 23. Alla domanda del cardinale Bagnasco, aggiungiamo la nostra: perché non dare al neonato prematuro un’occasione, o almeno lasciare la valutazione alla responsabilità del medico? Il nostro è un criterio elementare: privilegiamo la vita.


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