martedì 22 gennaio 2008

FERRARA RISPONDE A MANCUSO

Ma la vittoria della ragione è solo nell’aver trovato il suo limite ai confini della fede
Scritto da GIULIANO FERRARA Il 22/01/2008 17:53
MORATORIA PER L ABORTO - Letto 12 volte
Se e quando la dottrina sociale cattolica dicesse di sì al preservativo, manterrei senza problemi l'idea razionale di amore come rischio e significato

Il teologo Vito Mancuso ci onora della sua collaborazione. Qualche lettore obietta in nome della tutela dell’ortodossia cattolica di fronte a un progetto di rifondazione della fede che è il sostrato esplicito del lavoro di Mancuso, docente laico di teologia ed eccellente e chiaro scrittore. L’obiezione non è pertinente. Un giornale libero ricerca il contatto con chi ha un pensiero diverso da quello del suo direttore e di alcuni suoi collaboratori. Lo fa senza perdere la capacità di svolgere in autonomia il proprio discorso, con l’aiuto dei tanti che lo suffragano del loro talento, anche i molti che non la pensano come Mancuso. Lo fa o cerca di farlo con naturalezza, senza esibire consenso e dissenso, che sono la pasta quotidiana di cui è fatto un foglio impegnato e responsabile nel campo delle idee, come rarità preziose o fiori all’occhiello. I lettori di questo foglio sono disincantati e tutti a loro modo credenti, nel senso che amano una ragione ricca e non un razionalismo povero, e sanno benissimo fare da soli le loro distinzioni. Se intervengo per replicare all’articolo di ieri di Vito Mancuso è perché interpella direttamente le quattro cose di cui mi sono e ci siamo occupati in questo giornale da qualche anno, con ritmo sempre crescente. Prima di arrivare all’aborto e alla contraccezione, che sono l’esemplificazione scelta dal professor Mancuso per rendere più chiaro il suo ragionamento in generale su ragione e fede oggi, affronto direttamente la questione centrale da lui posta. Semplificando, naturalmente.
Secondo Mancuso la ragione ha vinto al punto tale che oggi certe idee sulla necessità di una vita buona sono credibili solo se affermate da non credenti e da laici e in nome della sola ragione. Mi permetto di dissentire, e non per gentilezza verso la chiesa, che non ha bisogno delle mie cortesie, ma per rispetto della verità effettuale della cosa. Non nego di avere accumulato nella mia formazione razionale, prima e al di fuori di un contatto con il problema della fede, l’energia per sostenere quanto sostengo quando parlo di vita e morte, di biotecnologie, di comportamenti sociali del mio tempo, di etica e politica e diritto. Ma se non ci fosse la chiesa, se non fossero successe alcune cose nel mondo, e tra queste principalmente la nuova koinè o cultura diffusa instaurata da lunghi anni di predicazione papale, da Paolo VI a Giovanni Paolo II a Benedetto XVI, più l’incalzante offensiva culturale dei vescovi italiani, io non esisterei come banditore delle cosuzze in cui credo, quel che penso resterebbe una piccola testimonianza personale impotente, e forse non penserei quel che penso così come lo penso. Vittorio Messori ha detto di recente, segnalando la sua diffidenza verso il senso ultimo delle mie battaglie: su queste cose decide il vangelo, non la ragione degli uomini, sebbene lo spirito possa parlare attraverso la bocca di chiunque dica una cosa giusta, e da una prospettiva di fede cattolica ha indubbiamente qualche ragione. Gianni Baget Bozzo, il mio amato don Gianni, ha detto il contrario: l’appello di coscienza contro l’aborto, che distingue la questione etica da quella della legalità di un comportamento pubblico, è un modo profondamente cristiano ed evangelico di intendere la cosa, e anche lui ha forse la sua ragione. Ora Mancuso dice una terza cosa, chiudendola in un paradosso. Dice che il mio appello razionale è radicalmente indipendente dalla fede e indica imperativamente la necessità che il senso di ragione di cui è portatore il magistero cattolico di questi anni faccia fino in fondo i conti con le conseguenze di quel che insegna, rifondando razionalisticamente e in un certo senso risantificando la fede biblica, che non ha più un contenuto autonomo e parlante per il mondo moderno, alla luce del trionfo della ragione. Io non sono d’accordo con il professor Mancuso, che ha il pieno diritto di pensarla così in generale, ma sbaglia, secondo me, nell’usare come esemplificazione il mio modo di argomentare razionalmente scelte alle quali si arriverebbe (a suo giudizio) con più fatica in una prospettiva di fede tradizionale. E credo di poter dimostrare la mia piccola parte di verità in modo molto semplice.
In un certo senso la ragione ha avuto il suo trionfo. Che non è però un trionfo della ragione sperimentale o storicistica, di Galileo o di Vico come funghi intellettuali spuntati nella radura o come rotture epistemologiche rispetto a un passato contaminato dalla fede, ma un più complesso trionfo della ragione come logos, e come logos cristiano. Noi siamo figli della storia dell’incarnazione, che è superiore alla storia come storia della ragione perché comprende la necessità logica e caritativa della speranza. E dominiamo la natura, leggendola e modificandola fino a un punto critico di cui siamo chiamati a discutere con sapienza ed amore, perché a monte di Galileo e di Newton, di Heisenberg e di Feyerabend, c’è non solo l’analogia entis di san Tommaso ma tutto il pensiero patristico fondato sull’immediata decrittazione dei vangeli, e poi quello di sant’Agostino, di Anselmo, di Bonaventura e di molti altri censiti per esempio nello “sviluppo della dottrina cristiana” del cardinale Newman. Senza Cristo, niente storia. Senza Cristo e i cristiani, niente filosofia moderna e niente scienza moderna.
Io penso quindi che la ragione ha avuto il suo trionfo nel senso che ha trovato il suo limite o si è messa a cercarlo con fervore e accanimento, e solo in questo senso. Se il cardinale Ratzinger poteva parlare di illuminismo cristiano, discutendo l’Europa e le sue culture, e se ha potuto fare della “dittatura del relativismo” l’idolo polemico di una delle più straordinarie omelie dell’ultimo secolo, questo dipende da un risveglio della fede, che è necessariamente anche fede biblica e, per i cristiani, compattezza liturgica intorno all’adorazione eucaristica. Insomma, caro professor Mancuso, Atene trova il suo limite in Gerusalemme. La modernità, come diceva Leo Strauss, è divenuta un problema. E se di rifondazione vogliamo parlare, credo che sia la fede ad avere intrapreso un cammino di rifondazione della ragione, non l’opposto come lei sostiene.
Arrivo brevemente all’esempio intorno al quale lei argomenta, derivandolo dalla questione riaperta dell’aborto sulla quale lei concorda, e ne sono felice. Lei dice che la chiesa dovrebbe tirare le somme dell’impatto razionale che ha il suo magistero, di cui la campagna laica sull’aborto sarebbe una significativa conseguenza o una rivelatrice testimonianza d’accompagno. E che dovrebbe farlo rivedendo la sua dottrina contraria alle pratiche anticoncezionali. A questo punto dovremmo trovarci in teoria d’accordo: se la base è razionale, viva la faccia dell’argomento dimostrativo il quale afferma che per scongiurare l’aborto moralmente indifferente occorre assecondare la propensione a fare l’amore con il profilattico o impillolandosi il giorno prima e il giorno dopo. Invece, come lei sa, non siamo affatto d’accordo.
Io sono contrario alla stupida bandiera ideologica del profilattico (contrario, non legalmente abolizionista), che pure considero un male minore rispetto all’aborto come pratica contraccettiva, e lo sono per le stesse ragioni per cui credo che, fatta salva la tutela delle donne dalla minaccia dell’aborto clandestino, occorre rovesciare la mentalità e il diritto contemporanei e bandire la pratica dell’aborto dai nostri principi e dalle nostre povere coscienze. Forse, in nome del minor danno, in futuro la chiesa dirà di sì alla sua richiesta, ma anche in quel caso mi riserverei il diritto razionale di pensare e di dire che l’amore contraccettivo è la sanzione dell’irresponsabilità personale, il fallimento della compiutezza e significatività dell’amore, un cedimento irrazionale a un’identità umana amputata del suo senso del bene. Non perché il seme maschile non deve essere disperso, argomento di un positivismo povero, che infatti in modo grottesco minacciava cecità in conseguenza della masturbazione, bensì per altre ragioni, tipicamente inerenti al senso unitivo e di reciprocità dell’'atto d'amore. Può essere che in questo la mia razionalità sia troppo severa, e molto fuori del tempo, anzi è certamente così. Ma è nondimeno razionalità, è rifiuto dell’animalesco e del naturalistico che è penetrato nella cultura moderna. E’ rifiuto dell’idea corriva che tutto sia possibile al mondo, tranne la continenza quando non si sia disponibili a fare l’amore conoscendo il senso dell’amore, cioè il rischio e la libertà di generare figli in un atto d’unione che ha anche l’alto e nobile orizzonte del piacere, ma non se programmaticamente separato da questo rischio liberamente e consapevolmente ingaggiato. Un grande comico televisivo ha liberato l’umanità vogliosa che è in noi dal proprio limite, leggendo Dante e Agostino come gli è piaciuto; e citando l’Agostino peccatore ha chiesto la continenza, “ma non ora”. Le sembrerà aridità razionale, lontananza da future possibili scelte del magistero o della dottrina sociale della chiesa, incapacità di un laico di rispondere alle sfide della modernità come dovrebbe fare la chiesa del Vaticano II, ma io non cambierò mai questa mia idea di ragione, fondata sulla sola ragione. Faccio l’amore, ora, e allora so di rischiare, so di essere nudo e non vestito di gomma. Non voglio rischiare, e allora prego che mi sia data la continenza: ora.

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