lunedì 21 gennaio 2008

ARTICOLO DI RENATO FARINA

Benedetto sta tornando Maledetto
Libero 20 gennaio 2008
di RENATO FARINA Ci dispiace. Però anche: meno male.
Sul Papa e sull'Angelus delle ore dodici di oggi (meglio arrivare per tempo verso le 11) piovono con intensità crescente i progressivi distinguo, soffia su piazza San Pietro e chi vuole affollarla una specie di ira senza schiuma, ma con pretese di superiorità razionale e morale. Finirà - scommettiamo? - in anatema. Benedetto XVI tornerà in fretta Maledetto XVI.

Anzi, ci stanno già provando. Dopo la prima censura della Sapienza, ce ne sarà una seconda sull'Angelus. Una censura additiva, secondo la definizione di Umberto Eco: la si ottiene raffigurando un evento in una sgangherata esibizione di dementi o fanatici. Normale: dopo l'unanimismo che teneva conto dello stato d'animo collettivo, riprende la solita faccenda del popolo bue messo allo spiedo.
Peccato. Ma meglio così. Non per masochismo. Per lealtà. Faceva spavento l'aria di universale consenso, eccettuati gli anticlericali professionisti, che stava circondando l'appuntamento cattolico apostolico ma anche laico romano. Il rischio era di trasformare una scelta chiara in un una parata di vacche bigie nella notte bigia. Quando tutti d'accordo, nessuno è d'accordo, e la sincerità crepa. Un raduno oceanico dove non guizza nessun pesce mette tristezza. Troppo comodo e in fondo disonesto: dopo aver aizzato pescecani e piraña, partecipare alla solidarietà per la vittima sarebbe stato un po' schifoso.

Per capire come in pochi giorni siano cambiate le cose è necessario, ahimè, leggere i giornali. Mercoledì mattina, il giorno dopo l'espulsione del Papa dalla Sapienza: i quotidiani denunciano il rogo contro il Santo Padre. Eccezioni: il Manifesto e Liberazione, ma sono 50mila copie, se va bene, su 6 milioni. Colpisce quel dì il papismo di Repubblica: dopo aver sponsorizzato i 67 prof anti-Papa e trattato la volontà di respingere Ratzinger come simpatica forma di goliardia, arriva a cavallo il direttore Ezio Mauro.

Sembra il generale Diaz all'incontrario. «Sarà un giorno che ricorderemo negli anni, il giorno in cui il Papa non parlò all'Università italiana per la contestazione dei professori e la ribellione degli studenti. Una data spartiacque...

Fino a ieri, questo era un Paese tollerante. Qualcosa si è rotto, drammaticamente, sotto gli occhi del mondo. Il risultato è un cortocircuito culturale e politico d'impatto mondiale, che si può riassumere in poche parole: il Papa, che è anche vescovo di Roma, non può parlare all'Università della sua città.

Questo risultato, che sa di censura, di rifiuto del dialogo e del confronto, è inaccettabile per un Paese democratico». Ecco, com'è come non è, Mauro quel «giorno che ricorderemo per anni» se l'è già scordato. Quello di mercoledì dev'essere stato un intervento emotivo come quello di Mastella alla Camera.

Ieri ci sono tre-articolitre di quelli pesanti a rovesciare la frittata. Giovanni Valentini scrive: «Non è vero che qualcuno abbia impedito al Papa di parlare. Alla fine è stato Ratzinger a rinunciare». Il Papa doveva andare. E se lo menavano? Niente di male: «Lo stesso Gesù Cristo fu perseguitato in terra». Corrado Augias conferma, nella risposta alle lette- re, la nuova linea: «Abbiamo ricevuto molte lettere in gran parte favorevoli all'iniziativa di professori e studenti della Sapienza». Si noti: non «alcuni» professori e «alcuni» studenti. Ma l'intero corpo docente e discente sono identificati con il movimento anti-Papa. E hanno pure ragione, secondo Repubblica di ieri: infatti, scrive Augias, «sulla libertà della scienza questo Papa ha idee discutibili». Altro che censura di mauriana memoria: la mossa di Ratzinger è stata «una vittoria dell'astuta gerarchia vaticana». Il forcone passa quindi a Franco Cordero. Con linguaggio meravigliosamente astruso sostiene che ha torto Ratzinger a parlare innocentemente di dialogo, la Chiesa infatti com'è noto è brava solo a bruciare Giordano Bruno e un tale «Miguel Serveto, aragonese nomade», per la verità arso vivo dai calvinisti, ma in fondo tutto fa rogo. Il Corriere idem. Prima articoli di fondo di Ernesto Galli della Loggia pro-Papa. Ora Emanuele Severino, che spiega - rispettosamente - come il Papa sia un emerito ignorantone, e non sappia nulla né di fede né di ragione. Severino scrive che la «filosofia dà verità incontrovertibili» a differenza della fede, ma Ratzinger non lo sa, poveretto. E qui Severino, che fu professore alla Cattolica, non afferra una questione decisiva: le verità che la filosofia può dimostrare con la logica, non bastano per vivere; la ragione è più grande della logica, «va allargata alla questione su Dio» dice il Papa. Il fraintendimento sulla ragione è proprio il guaio del nostro tempo più di quello sulla fede. Intanto qualche domanda. Quanti saremo a mezzogiorno sotto le finestre di Ratzinger, in San Pietro? Trecentomila? Centomila? Di sicuro ci conteranno. Se saremo pochi, si dirà con dileggio: fiasco. Se tanti, si travestirà la piazza coi colori dell'intolleranza, dimenticando che questo raduno è la risposta che più pacifica non si può alla ferita inflitta a un uomo mite. Amen.
Il gioco della vita è fatto anche di questo continuo e voluto fraintendimento. Non caschiamoci, noi che andiamo lì, o che facciamo il tifo almeno con il pensiero: il rapporto serio è tra la nostra coscienza e quanto ha da comunicarci quel tale vestito di bianco. In fondo è la questione più interessante: di che cosa viviamo? C'è una verità o no? Non tanto una verità filosofica o scientifica, quanto una verità per l'esisten za, un significato per tirare indietro le lenzuola e affrontare il tran tran magari in letizia. La notizia, comunque la si metta, resta il fatto che tanti si mettono in viaggio per fare quello che mai avrebbero creduto di intraprendere: un pellegrinaggio. E qualcuno tra i meno adusi al latino si sta interessando a che cosa sia l'Angelus, e chi sia mai l'"Ancilla Domini". Be', la domanda e la risposta forse sono persino più interessanti di un paio d'ore al centro commerciale.

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