sabato 17 gennaio 2009

DA TEMPI GAZA GUERRA O DIALOGO?

Uno scambio di lettere civile e istruttivo tra l’ebreo Giorgio Israel e il cattolico Mario Mauro, vicepresidente del Parlamento europeo

Per gentile concessione degli autori, pubblichiamo lo scambio di lettere avvenuto nei giorni scorsi tra Giorgio Israel e Mario Mauro a proposito dell’appello, firmato dal vicepresidente del Parlamento europeo insieme ad altri politici italiani di entrambi gli schieramenti, affinché israeliani e palestinesi rinuncino alla soluzione armata del conflitto come chiede papa Benedetto XVI


7 gennaio 2009
Caro Mario,
mi permetto di rivolgermi a te come a uno dei firmatari dell’“Appello per la pace in Terrasanta – Si ascolti il Papa” e circa il quale ho espresso delle perplessità su “Il Foglio”. Ho ascoltato poco fa su Radio Formigoni un commento relativamente a questo mio intervento. La discussione è benvenuta e sarei felicissimo di svilupparla ovunque e comunque sia possibile. C’è però un aggettivo che mi è dispiaciuto e che spero non sia da voi tutti condiviso: “molto ingeneroso”. Si possono usare molti aggettivi per qualificare quanto ho detto ma questo è il più inappropriato. Diciamo che è il più ingeneroso… Voi mi conoscete e sapete che ho mille difetti ma non quello di tirarmi indietro o di muovermi “al risparmio” su alcunché. Sono intervenuto per anni accanto alle posizioni della Chiesa, di buona parte del mondo cattolico e di Cl sulle questioni della bioetica facendomi appioppare epiteti spiacevoli. Sono intervenuto sulla mancata visita del Papa alla Sapienza con un articolo su “L’Osservatore Romano” pagando il prezzo di una posizione molto difficile nella mia università. Ho preso posizione controcorrente sulla questione della preghiera del Venerdì santo. Ho preso posizione sulla questione di Pio XII distinguendomi da parte del mondo ebraico italiano. Ho preso posizione contro l’interruzione del dialogo ebraico-cristiano in forma così netta da attirarmi reazioni virulente. Di tutto mi si può accusare salvo che di ingenerosità nei confronti del mondo cattolico. Questa volta, se meditatamente e con toni molto pacati, vi ho chiesto di riflettere sul fatto che il vostro appello appariva ingeneroso, non mi pare proprio il caso che mi venga appioppata questa accusa che non merito. I migliori amici sono quelli che dicono la verità. Magari sbagliano, ma poiché lo fanno con il cuore e il cervello di un amico, occorre ascoltarli. Salvo dissentire, ma non tacciandoli di ingenerosità. Perché sarà difficile trovare in giro amici migliori.
Molti cari saluti
Giorgio Israel

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8 gennaio 2009
Carissimo Giorgio,
mi permetto di rivolgermi a te dandoti del tu, soprattutto in considerazione della profonda sintonia che avverto per lo spessore delle tue riflessioni e della tua esperienza.
Ho letto con attenzione le osservazioni che hai mosso non solo al contenuto del nostro appello, ma anche agli articoli da me pubblicati su “ilsussidiario.net”. Mi permetto, quindi, sulla scorta di queste osservazioni e della considerazione che le poche volte che sono sceso in piazza è stato per rimarcare il diritto all’esistenza di Israele, di inviarti ulteriori spunti che credo possano essere utili a comprendere tutti i fattori in gioco nella vicenda dello scontro Israele-Hamas e, più in generale, sul tema che va peraltro ad ingigantirsi, della condizione del medioriente. L’apertura ad oggi di un possibile fronte libanese dello scontro mi sembra un ulteriore elemento che va a sposarsi con le affermazioni che facevo nel mio primo articolo su “ilsussidiario.net”.
Partiamo da un fatto che troverà tutti d’accordo: Hamas ha colpe ormai incalcolabili. Le continue vessazioni, le stragi di civili, la distruzione di città e villaggi, il freddo e pianificato progetto di distruzione contro Israele pesano come macigni sulla coscienza del movimento di resistenza islamico che, occorre ripeterlo senza timore di incorrere in errore, se da una parte tiene in ostaggio un intero popolo – quello palestinese –, dall’altra, da lungo tempo, continua impunemente a infliggere morti ad un altro popolo – quello israeliano. Soltanto questo – che non è altro che una sommaria presentazione dello stato attuale dei rapporti tra i due popoli – basterebbe a spiegare la reazione di Israele. Con l’attuale scenario internazionale l’Europa e il resto del mondo devono fare i conti. Le immagini di questi primi giorni di conflitto riaprono una delle più acute – se non la più grave – ferite: una lacerazione cronica e mai rimarginata. Attorno alle macerie e alle centinaia di morti provocati fino ad ora in questi primi giorni di battaglia, si sono aggiunte nuove ferite che vanno ad incidersi più nel profondo. Da molto tempo l’Unione Europea (e su questo mi sono impegnato in prima persona) ha superato le ambiguità sul tema dei finanziamenti agli Stati arabi. L’Ufficio europeo per la lotta antifrode (Olaf) è l’organismo presposto a controllare che gli aiuti comunitari non vadano a sostenere attacchi armati o attività illecite finanziate mediante contributi comunitari all’Autorità palestinese. Niente del genere è mai stato provato nelle numerose e scrupolose indagini di tutti questi anni. In qualche caso è emerso, come è inevitabile, che non possa essere escluso che alcune delle risorse dell’Autorità palestinese possano essere state usate da talune persone per propositi diversi da quelli cui erano destinate. Dal 1994 al 2006, con il programma Meda, la Commissione europea ha erogato circa 2.300 milioni di euro a favore del popolo palestinese, inclusi il sostegno ai rifugiati palestinesi attraverso l’Unrwa, l’assistenza umanitaria attraverso l’Ufficio europeo per gli aiuti umanitari (Echo), l’assistenza per la sicurezza alimentare, azioni per sostenere il processo di pace in Medio Oriente e azioni di sostegno alla salute, all’istruzione e al consolidamento delle istituzioni. Il rapporto pagamenti/impegni è aumentato passando da meno del 45 per cento nel 2000 a più del 90 per cento nel 2005. La Commissione ha assegnato complessivamente 107,5 milioni di euro nel 2006 ai tre capitoli di assistenza:10 milioni di euro per forniture essenziali e spese correnti di ospedali e centri sanitari, attraverso il programma di sostegno ai servizi d’emergenza della Banca mondiale (Essp) (capitolo 1). 40 milioni di euro per la fornitura continua di risorse energetiche, tra cui carburante, mediante il contributo d’urgenza temporaneo (Ierc) (capitolo 2). 57,5 milioni di euro per il sostegno ai palestinesi in difficoltà, mediante il pagamento di prestazioni sociali alle fasce più povere della popolazione e a lavoratori che ricoprono funzioni chiave nella fornitura di servizi pubblici essenziali (capitolo 3). Nel 2008 sono diventati 142. Occorre segnalare però che dopo l’ascesa al governo palestinese da parte degli integralisti di Hamas Israele, Stati Uniti e Unione Europea hanno via via bloccato i finanziamenti diretti al governo palestinese, coinvolgendo le Ong e altre organizzazioni internazionali per convogliare attraverso di loro gli aiuti e aggirare il governo di Hamas. 
Nessuno vuole negare l’assassina ostinazione di Hamas, né la legittimità di una reazione armata di sicurezza. Il problema reale è legato alla considerazione dei cosiddetti effetti collaterali. In una delle regioni più densamente popolate al mondo il rischio di colpire una scuola diventata rifugio di civili provocando numerose vittime è, come si è visto, altissimo. Chiedere una tregua non significa quindi parteggiare per Hamas, né darla vinta all’estremismo, o fraintendere, o, peggio ancora, svilire il concetto della parola pace, vuole dire piuttosto fermare le armi perché nessun missile cada sul territorio israeliano, evitare le uccisioni di civili e alleviare la grave emergenza umanitaria che innegabilmente esiste a Gaza in nome di una riconciliazione che, non abbiamo timore a dirlo, è ancora da costruire. Si tratta di una pace negata e respinta più volte – in primis dai terroristi che rifiutano ogni dialogo –, di una possibilità di riconciliazione che sembra irrimediabilmente perduta ora che mesi di negoziati e trattative, ogni appello è rimasto inascoltato. Di fronte al disorientamento generale si deve trovare una luce di speranza. Pochi giorni fa il Santo Padre, nell’Angelus pronunciato da Piazza San Pietro in occasione della festività dell’Epifania, è stato estremamente chiaro su questo punto. Nel ricordo ai fratelli e alle sorelle delle Chiese orientali, che, seguendo il calendario giuliano, hanno celebrato il Santo Natale, ha affermato: «Il ricordo di questi nostri fratelli nella fede mi conduce spiritualmente in Terra Santa e nel Medio Oriente. Continuo a seguire con viva apprensione i violenti scontri armati in atto nella Striscia di Gaza. Mentre ribadisco che l’odio e il rifiuto del dialogo non portano che alla guerra, vorrei oggi incoraggiare le iniziative e gli sforzi di quanti, avendo a cuore la pace, stanno cercando di aiutare israeliani e palestinesi ad accettare di sedersi attorno ad un tavolo e di parlare. Iddio sostenga l’impegno di questi coraggiosi “costruttori di pace”!». Non una via necessariamente comoda, non una via semplice, ma una via di impegno per favorire una possibilità di dialogo. Rinunciare al “sussulto di saggezza” non solo aprirebbe fronti di conflitto con conseguenze difficili da prevedere, ma significherebbe dare ragione alla violenza e all’odio, ovvero ciò che i terroristi si aspettano da noi. Israele – e insieme l’intero Occidente –, da sempre costruttore di pace e di dialogo, non può rinunciare a questa battaglia.
Perdona la tardiva risposta, ma leggo solo ora il tuo messaggio.
Mario Mauro

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9 gennaio 2009
Caro Mario,
è proprio la sintonia profonda che ho nei confronti di molti di voi che mi ha spinto a muovere alcuni rilievi critici al vostro appello, con un tono moderato e volto a stabilire un dialogo costruttivo.
Purtroppo, non tutti riescono a sopportare le critiche. Dopo l’aggettivo “molto ingeneroso” ho ricevuto un violentissimo attacco personale. Ho risposto per le rime ma di malavoglia. Perché anche questa è guerra se pure senza ferite fisiche. Talvolta anche le ferite morali non scherzano. Ritengo di essermi molto adoperato per stabilire un rapporto costruttivo e di comprensione e resto di sasso quando vedo gente che è capace di reagire come tarantolata per un semplice dissenso.
Nel merito di quello che dici sono largamente d’accordo. Ma si tratta di dichiarazioni di principio di cui non riesco a vedere le implicazioni pratiche. Tu dici «fermare le armi perché nessun missile cada sul territorio israeliano». Già, ma come? Tu credi davvero che, se Israele ora si ritirasse di colpo da Gaza cessando le ostilità, cesserebbe anche il lancio di missili? Vi sarebbero piuttosto festeggiamenti per la “vittoria” sottolineati da lanci di Qassam e Katiuscia. Israele ha manifestato una buona volontà senza limiti, ha accettato una tregua con una fazione terrorista senza condizioni (senza neanche riottenere il soldato rapito!) e Hamas ha rotto la tregua alla scadenza e l’ha fatto non a parole, bensì riprendendo i lanci. Tu sai bene che sono circa 7.000 i missili piovuti sul sud di Israele. Che cos’è questa se non una pazienza infinita?
Consideriamo la risoluzione Onu di oggi. Può darsi nulla di più cinico e inutile? Non pone alcuna condizione, non stabilisce alcun modo per attuare la tregua e garantirla. Nulla di nulla. Hamas per prima l’ha respinta. E ora si dirà che è colpa di Israele che non accetta il cessate il fuoco?
La comunità internazionale ha forse fatto qualche piccolo passino avanti, come quelli che menzioni per l’Europa, ma non ha affrontato la questione come doveva, lasciando passare mese dopo mese, anno dopo anno, che si accumulassero i lanci. Tanto se li prendevano in testa quei quattro contadini di Sderot. Affaracci loro. Ora chi ha taciuto alza il dito e predica. Se non si voleva giungere a tanto bisognava pensarci prima. Come? Agendo su Hamas. Facendo pressioni fortissime, con tutti i mezzi possibili, chiedendo all’Egitto di sigillare la frontiera al passaggio di armi, controllando ciò che arrivava, isolando politicamente ed economicamente Hamas. Mezzi pacifici ve ne sono a iosa. Possono fallire. Ma ci si è provato? Di certo no. Così si continua a non far nulla anche ora.
Hai sentito le dichiarazioni di Kouchner quando gli hanno fatto rilevare che con i camion di cemento passavano missili? Ha risposto con la pernacchietta francese: «Ah, mon cher monsieur, que voulez que je vous dise, c’est la vie».
Chi agisce con tanto cinismo non ha il diritto di far la predica agli altri.
Non è certamente il vostro caso. Ma quel che volevo dirvi è: non è realistico parlare di cessate il fuoco e sperare che serva a qualcosa, se non a mettere Israele in ulteriore difficoltà, non è morale chiedere a Israele di continuare a prendersi missili in testa aspettando bonariamente che la comunità internazionale si decida a fare qualcosa prima del giorno del giudizio.
Un appello come il vostro doveva chiedere il cessate il fuoco come risultato dell’accettazione da parte di Hamas delle regole della convivenza civile. Ovvero proporre: Hamas dichiari di cancellare la pretesa alla distruzione di Israele e prometta di non lanciare più missili; in cambio Israele dovrà cessare ogni azione militare e non esercitare blocchi su Gaza, assumendosi la comunità internazionale la responsabilità di controllare l’assenza di traffico di armi. Se Hamas non farà questo si metterà al bando dalla comunità internazionale. Questo lo avrei trovato giusto e concreto, anche se non necessariamente destinato al successo. Altrimenti, si rischia di affondare tra le chiacchiere.
Capisco bene che il Papa non possa che pronunziarsi contro le armi. Ma noi laici e chi fa politica può escluderne l’uso comunque? Cosa si sarebbe dovuto fare con Hitler? Restare sotto il tallone nazifascista fino alla consunzione di quei regimi? Chi ha preso le armi contro le dittature ha fatto male? I rivoltosi del Ghetto di Varsavia hanno peccato come i nazisti che li opprimevano? I partigiani cattolici che hanno combattuto contro i fascisti con le armi erano dei peccatori al pari dei massacratori di Marzabotto?
Non riesco a capire. Un mondo senza giustizia, in cui non sia possibile dire all’assassino “tu sei un assassino” e distinguerlo moralmente dalla vittima non mi pare un mondo morale. Mi pare un mondo destinato piuttosto al caos morale.
Possiamo discutere all’infinito su dove sia il confine oltre il quale occorre alla fin fine difendersi con la forza, ma che almeno fino a quel confine ci si batta dicendo “sì, sì, no, no”, ovvero dicendo cosa è giusto e cosa è ingiusto e non mettendo tutto nello stesso sacco.
Quanto a coloro che prendono posizioni estremiste e di parte facendo affermazioni esorbitanti, come quella secondo cui Gaza è un campo di concentramento, non fanno che diffondere attivamente il disordine morale. Fino a che queste persone passeranno per messaggeri di pace avremo davvero ben poche speranze.
Molti cari saluti
Giorgio Israel