martedì 27 gennaio 2009

LA PAROLA ALL'ESPERIENZA

[..] Oggi ho quasi 43 anni, sono stato vittima di uno spaventoso incidente stradale (come Eluana Englaro Glasgow Coma scale di 3-4 grado) avvenuto a Catania l’11 settembre del 2003, riportando danni assonali diffusi che interessavano anche la ragione ponto-mesencefalica entrando in coma, e successivamente in stato vegetativo permanente. Ho vissuto nell'incubo per quasi due anni; incredibilmente nel 2005, mi risveglio e riesco a raccontare che io sentivo e capivo tutto. Durante il mio stato vegetativo io avvertivo e sentivo di avere fame e sete, non avvertivo solamente il sapore del cibo. Finalmente oggi riesco a sentire il sapore del cibo perchè riesco ad essere nutrito dalla bocca (fino ad oggi sono stato portatore di PEG). Io sentivo ma nessuno lo capiva. Capivo cosa mi succedeva intorno, ma non potevo parlare, non riuscivo a muovere le gambe, le braccia e qualsiasi cosa volevo fare, ero
imprigionato nel mio stesso corpo proprio come lo sono oggi.Provavo con tutta la mia disperazione, con il pianto, con gli occhi, ma niente, i medici troncavano ogni speranza, per loro ero un "vegetale" e i miei movimenti oculari erano solo casuali, insomma non ero cosciente. Sentivo i medici dire che la mia morte era solo questione di tempo: così iniziavo ad aprire e chiudere gli occhi per attirare l'attenzione di chi mi stava attorno. I medici parlavano sempre di stato vegetativo permanente ed irreversibile, lo ribadivano e lo scrivevano. Io ora riesco a comunicare tramite un computer, selezionando con gli occhi le lettere sullo schermo.









Oggi a distanza di quasi 5 anni vivo da paralizzato, la mia patologia è quella che si chiama sindrome assimilabile alla Loked in “uomo incatenato”. La mia storia la raccontai anche a Piergiorgio Welby, supplicandolo “inutilmente” di lottare per la vita. Dal mio letto di quasi resuscitato alla vita, voglio gridare a tutto il mondo il mio straziante e silenzioso urlo. Questa sentenza di morte emessa nei confronti di Eluana Englaro è veramente una sentenza agghiacciante; se applicata, si inizia la nuova era dell'eutanasia con l'eliminazione di tutti i disabili gravissimi che aspettano e sperano anche nella scienza. Il mio è il pensiero semplice di chi ha sperimentato indicibili sofferenze fisiche e psicologiche, di chi è arrivato a sfiorare il baratro oltre la vita ma era ancora vivo, di chi è stato lungamente giudicato dalla scienza di mezza Europa un vegetale senza possibile ritorno tra gli uomini e invece sentiva irresistibile il desiderio di comunicare a tutti la propria voglia di vivere. Durante quegli interminabili due anni di prigionia nel mio corpo intubato e senza nervi, ero io il muto o eravate voi, uomini troppo sapienti e sani, i sordi? Ringrazio i miei cari che, soli contro tutti, non si sono mai stancati di tenere accesa la fiammella della comunicazione con questo mio corpo martoriato e con questo mio cuore affranto, ma soprattutto con questa mia anima rimasta leggera, intatta e vitale come me la diede Iddio.
Ringrazio chi, anche durante la mia "vita vegetale", mi parlava come uomo, mi confortava come amico, mi amava come figlio, come fratello, come padre. Dove sarebbe finita l’umana solidarietà se coloro che mi stavano attorno durante la mia sofferenza avessero tenuto d’occhio solo la spina da sfilare del respiratore meccanico, pronti a cedermi come trofeo di morte, col pretesto che alla mia vita non restava più dignità? La mia famiglia sfidava la scienza e la statistica dei grandi numeri svenandosi nel girovagare con me in camper per ospedali e ambulatori lontani. Urlando in TV minacce e improperi contro la generale indifferenza per il mio stato d’abbandono.
[..] Cara Mamma, quando mi coprivi di baci e di preghiere, anch’io avrei voluto stringerti quella mano rugosa e tremante, ma non ce la facevo a muovermi, né a parlare, mi limitavo a regalarti lacrime anziché suoni. Erano lacrime disprezzate da celebri rianimatori e neurologi, grandi "esperti" di qualità di vita, ma era l’unico modo possibile di balbettare come un neonato il mio più autentico inno all’esistenza avuta in dono da te e da Lui.
[..] Credetemi, la vita è degna d’essere vissuta sempre, anche da paralizzato, anche da intubato, anche da febbricitante e piagato. [..]

Salvatore Crisafulli, lettera scritta per la fiaccolata a Lecco del 17/01/09

1 commento:

sabi ha detto...

Bellissimo questo articolo. Fa riflettere molto, scardina i nostri argomenti di benpensanti. Io personalmente mi sento chiamata a riaffermare non solo a parole che la vita val la pena di essere vissuta sempre, "sperando contro ogni speranza". Sono cresciuta in una famiglia cattolica che mi ha trasmesso la fede, ho una sorella portatrice della sindrome di Down, eppure leggendo queste parole mi sono sentita meschina per la superficialità con cui tratto la vita, le persone e il mondo che mi circonda. Perchè noi cosiddetti "normali" crediamo di sapere, di poter giudicare, di essere nel giusto. E invece dovremmo essere un po' più umilie profondi, attenti ai segni che ci sono dati, coscienti che tutto ciò che c'è è un dono gratuito e, per questo, attenti a non sprecarlo. E non c'è bisogno di uccidere per essere contro la vita. Mi rendo conto che anche quando non accolgo mio figlio con i suoi pianti, con i suoi bisogni, quando discuto con mio marito o credo di conoscerlo, uqnado non sono disponibile con chi mi chiede una mano, anche allora rifiuto la vita e rifiuto addirittura, il mio compimento, la mia felicità.