sabato 17 gennaio 2009

LA RICONQUISTA EDUCATIVA








........Occorre che i nuovi immigrati imparino il rispetto per la democrazia. E questo può essere insegnato sui banchi di scuola. Gli islamici devono imparare a essere minoranza e ad accettare le conseguenze di questo loro status. Non va chiesto loro di rinunciare alla loro fede o alla loro identità religiosa, ma certamente devono imparare le regole della democrazia e sintonizzare la loro identità con esse»....



DA TEMPI


Un “patto educativo”. è questa l’idea lanciata da Khaled Fouad Allam in un’intervista al Corriere della Sera per rispondere al problema dell’integrazione musulmana. Il docente di Sociologia del mondo musulmano all’Università di Trieste e di Islamistica all’Università di Urbino, ex parlamentare del Pd, oggi lontano dalle istanze del partito veltroniano, è rimasto assai colpito dalle immagini dei musulmani oranti davanti al Duomo a Milano e a San Petronio a Bologna. «La politica può fare poco. Ci vuole un nuovo patto educativo – ripete a Tempi Fouad Allam –,



Per rispondere alle «provocazioni» come la preghiera a Milano e Bologna serve un patto educativo con l’islam. Parla Fouad Allam

di Emanuele Boffi

perché l’Italia, così come l’Europa, rischia di fare il gioco degli islamisti che tentano di spostare il conflitto dal piano politico a quello religioso». Secondo il sociologo algerino, che da pochi mesi firma come editorialista sull’Osservatore romano, l’ambito cruciale per una vera integrazione è «la scuola. Occorre che i nuovi immigrati imparino il rispetto per la democrazia. E questo può essere insegnato sui banchi di scuola. Gli islamici devono imparare a essere minoranza e ad accettare le conseguenze di questo loro status. Non va chiesto loro di rinunciare alla loro fede o alla loro identità religiosa, ma certamente devono imparare le regole della democrazia e sintonizzare la loro identità con esse». Per Fouad Allam «una volta nelle scuole si insegnava l’educazione civica. Per gli immigrati, penso anche ai non musulmani, bisognerebbe pensare a qualche disciplina che insegni loro sia il rispetto delle regole del paese di cui sono ospiti, sia la cultura delle altre civiltà». Questa scuola delle diversità e delle regole deve, però, mantenere un punto fisso e qualificante: «Il rispetto dell’altrui cultura e dell’altrui diversità può essere sempre accettato fintanto che non entri in aperto contrasto con le leggi del paese in cui si vive».
I partecipanti alla preghiera provenivano da manifestazioni di solidarietà ai palestinesi della striscia di Gaza. Ma il corteo di Milano, che avrebbe dovuto fermarsi in piazza San Babila, è proseguito fino di fronte al Duomo, impedendo poi di fatto ai fedeli cattolici l’accesso alla chiesa. La preghiera è stata guidata dall’imam della moschea di viale Jenner, Abu Imad, già condannato per terrorismo e considerato “indesiderato” anche dai paesi islamici. Prima che giungessero le rassicurazioni da parte della curia milanese che i rappresentanti dell’islam cittadino erano pronti a “chiedere scusa”, lo stesso Abu Imad aveva minimizzato, spiegando che si era trattato «di un caso. Ci siamo trovati lì e abbiamo pregato. Nessuna provocazione, nessun oltraggio». Qualcosa, però, oltre alla preghiera era accaduto. In piazza erano state bruciate delle bandiere israeliane, urlati slogan contro gli «assassini Bush e Barak», esposti striscioni che equiparavano la stella di Davide con la svastica. Se per la responsabile palestinese in Lombardia Khader Tamini si era solo trattato di una «preghiera per la pace», per monsignor Luigi Manganini, arciprete del Duomo di Milano, si trattava quantomeno di «mancanza di sensibilità».

«Si poteva rimandare la preghiera»
Se per Angela Lano, direttrice di Infopal, agenzia di stampa promotrice della manifestazione, «la preghiera mi è parsa una cosa carina», per il vescovo ausiliare di Bologna, Ernesto Vecchi, non si poteva nascondere che «non si trattava di una preghiera e basta. è una sfida, più che alla basilica, al nostro sistema democratico e culturale. C’è un progetto che viene da lontano e che prevede l’islamizzazione dell’Europa». Pax Christi ha esternato le proprie simpatie per i musulmani oranti e ha proposto di listare a lutto le stelle comete per «protestare contro i crimini di guerra perpetrati a Gaza», l’ex portavoce del Vaticano, Joaquín Navarro-Valls, ha scritto su Repubblica che «vedere che in Italia è permesso a dei musulmani di praticare l’islam davanti a una cattedrale cattolica smuoverà certamente le coscienze di molti musulmani di tutto il mondo a riconoscere, almeno in parte, quegli stessi diritti mai concessi alle minoranze cristiane ed ebraiche».
Per Khaled Fouad Allam, però, c’è un aspetto di tutta la vicenda che non regge: «Sostenere che era l’ora della preghiera e che quindi ci si è dovuti prostrare per pregare e che quello era un luogo come un altro, mi pare essere molto difficile da credere. Certo, non posso indovinare fino in fondo quali fossero le reali intenzioni dei musulmani, ma so per certo che non esiste alcun obbligo di orazione nell’islam. Il momento della preghiera, pensiamo al caso, ad esempio, del fedele impossibilitato per malattia, può essere rimandato. Così avrebbero potuto fare quelle persone. Invece hanno scelto di fermarsi e di pregare proprio sul sagrato». Anzi, hanno scelto di andarci, visto che il corteo avrebbe dovuto fermarsi prima. «Io credo sia stata una provocazione. La valenza simbolica di islamici oranti davanti a chiese cattoliche è evidente. C’è stata una deliberata volontà di enfatizzare e politicizzare quel gesto».

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