mercoledì 7 gennaio 2009

ELUANA

.....Lei è padre, come Beppino Engla­ro...

...Non c’è giorno che io non mi metta nei suoi panni. Guardo mia figlia e provo a pensare che cosa farei se fos­si in lui. Vorrei parlargli, dirgli che a­veva la soluzione in casa, quelle be­nedette suore di Lecco che la ama­no e che dicono «noi da Eluana ri­ceviamo tanto». Parole incredibili: quale soddisfazione più grande di tua figlia che ancora può dare, che ancora dona amore? Io gli auguro di cuore che un giorno lo capisca, pri­ma che sia tardi


A giorni la decisione dei vertici della casa di cura che s'è offerta di far morire la giovane donna Appello dei camici bianchi: «Fermiamoci». • Dell'operazione avevano saputo dai giornali
di Lucia Bellaspiga
Tratto da Avvenire del 6 gennaio 2009



«Se prima eravamo scon­certati oggi siamo ester­refatti. Il rapporto di fi­ducia tra noi medici e la struttura sa­nitaria per cui lavoriamo si è spez­zato. L’appello ai nostri capi? Fer­matevi». Sono molti i camici bian­chi della 'Città di Udine' - il policli­nico che vorrebbe «accompagnare alla morte» Eluana - che esprimono disaccordo con i vertici. Molti (e di­versi) i motivi della loro indignazio­ne. «Alcuni di noi sono profonda­mente colpiti dal punto di vista eti­co e umano - specifica uno di loro ­, altri invece non accettano l’arro­ganza con cui gli amministratori hanno gestito la cosa, mettendoci di fronte al fatto compiuto e costrin­gendoci a saperlo dai giornali. Una terza parte, infine, non ammette che si siano rivolti a un’équipe esterna di cosiddetti volontari, anziché chie­dere a noi se eravamo disposti a stac­care il sondino: è indice di coscien­za sporca. E come li hanno recluta­ti, visto che il progetto era così se­greto? Chi c’è dietro?».

Può darsi, come hanno spiegato gli avvocati della famiglia Englaro, che si volesse evitare una possibile o­biezione di coscienza.
Ma allora la cosa è ancora più triste, per noi: la nostra casa di cura 'sven­duta', cedendo i muri ma prenden­do le distanze da quanto vi sarebbe avvenuto dentro... Si sono fatti tristi paragoni, in queste ultime settima­ne di angoscia.

Ovvero?
Parlando tra medici e infermieri, si è detto che i nostri capi hanno forni­to il mattatoio... Anche il rapporto con la cittadinanza è cambiato da quando la 'Città di Udine' è finita sui giornali: telefonate ingiuriose, e­piteti poco edificanti arrivati via fax, sfoghi di grande amarezza da parte dei pazienti. L’altra mattina stavo vi­sitando una coppia, la moglie mi ha detto «è qui che forse verrà a morire Eluana?», il marito l’ha corretta: «No, è qui che la ammazzano». Per noi che abbiamo dedicato la vita a curare il malato è umiliante, c’è solo da ab­bassare gli occhi.

Sono queste le ore in cui la casa di cura deciderà se accogliere Eluana. Lo ha annunciato tre giorni fa l’am­ministratore delegato Riccobon. Che cosa vi aspettate?
Abbiamo commentato a lungo la sua dichiarazione senza riuscire a inter­pretarla. La nostra speranza è che si rinunci al business che pensiamo possa esserci dietro e si torni alla nor­malità. La 'Città di Udine' è un’otti­ma struttura sanitaria e ha sempre o­perato in collaborazione con l’ospe­dale civile della città, in perfetto re­gime di sussidiarietà tra pubblico e privato. Ora tutta questa pubblicità negativa ri­schia di vanificare anni di fiducia e professionalità.

Riunioni in corso, dun­que... Quale può essere lo scoglio tuttora ritenuto insormontabile dai ver­tici?
L’atto di indirizzo con cui il ministro Sacconi il 16 dicembre ha ricordato che sospendere l’alimen­tazione assistita a un disabile è ille­gale. Riccobon continua a sostene­re che, essendo la nostra una strut­tura privata, resta al di fuori del ser­vizio sanitario nazionale, ma questo logicamente è ridicolo. Me ne andrei da qui se davvero il luogo in cui la­voro fosse una enclave senza legge.

Qual è la cosa che vi ha colpito di più?
L’essere stati tenuti all’oscuro di tut­to. Averlo saputo dai giornali e dalle tivù. Ovviamente la prima reazione è stata di incredulità, non era possi­bile che nessuno di noi avesse sapu­to nulla, nemmeno in accettazione, neppure nel reparto di medicina o tra gli infermieri. Poi, quando ab­biamo capito che era vero, ci siamo chiesti 'perché qui'. Non capivamo all’inizio le vere motivazioni che muovevano i responsabili del poli­clinico a una scelta così suicida.

E ora? Le avete capite?
In Regione antichi legami di amici­zia con la famiglia, e nella 'Città di Udine' - come alcuni dicono - inte­ressi economici. Poi in questo intri­co di concause c’entra anche il laici­smo esasperato di qualcuno dei re­sponsabili e di qualche suo mento­re. E naturalmente la deriva profes­sionale cui la nostra categoria sta an­dando incontro da tempo: che dei medici si prestino a spegnere una vi­ta anziché dare cura al malato è qual­cosa di inimmaginabile fino a pochi mesi fa.

Che cosa la maggior parte di voi non perdona alla casa di cura, in tutto ciò?
Parlando tra noi, quello che più ci ha indignato è stato quel termine, pie­tas, con cui Riccobon ha ammanta­to di generosità la sua scelta. Io non sono credente, ma anche per gli an­tichi pagani la pietas era sempre le­gata alla sacralità della vita e all’a­more per il prossimo. Abbiamo real­mente temuto che la cosiddetta 'pie­tas' dei nostri capi arrivasse al pun­to di far morire Eluana nei giorni di Natale, approfittando che gli ambu­­latori erano deserti e la maggior par­te di noi era assente. Per ora è anda­ta bene, ma tira ancora una brutta aria...

Lei è padre, come Beppino Engla­ro...
Non c’è giorno che io non mi metta nei suoi panni. Guardo mia figlia e provo a pensare che cosa farei se fos­si in lui. Vorrei parlargli, dirgli che a­veva la soluzione in casa, quelle be­nedette suore di Lecco che la ama­no e che dicono «noi da Eluana ri­ceviamo tanto». Parole incredibili: quale soddisfazione più grande di tua figlia che ancora può dare, che ancora dona amore? Io gli auguro di cuore che un giorno lo capisca, pri­ma che sia tardi.

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