lunedì 3 novembre 2008

RIANIMARE I NEONATI?

Si dia una possibilità»Aborto &C - sab 1 nov
Mosca («Mangiagalli»): non basta il criterio dell'età gestazionale per stabilire quale sarà l'esito delle cure e se vi saranno handicap
di Enrico Negrotti
Tratto da Avvenire del 31 ottobre 2008

Sulla rianimazione dei neonati e­stremamente pretermine (tra le 22 e le 25 settimane di gravi­danza) la decisione non può basarsi esclusivamente su una valutazione dell’età gestazionale.



Lo ha sottoli­neato ieri sera Fabio Mosca, diretto­re dell’Unità di terapia intensiva neo­natale alla Clinica «Mangiagalli» di Milano, all’incontro promosso dalla sezione milanese dell’Associazione medici cattolici italiani (Amci) su «Rianimazione del neonato: a chi la decisione?», che ha visto la parteci­pazione anche del ginecologo Andrea Natale (ospedale Macedonio Mello­ni di Milano) e moderato da Luigi Fri­gerio (direttore dell’Unità di Ostetri­cia e ginecologia degli Ospedali Riu­niti di Bergamo). Un tema che è sta­to affrontato ieri anche da un conve­gno di esperti a Firenze per difende­re la scelta di rianimare solo oltre la soglia delle 25 settimane.

Fabio Mosca, che ha fatto parte del gruppo di esperti convocati dal mi­nistro della Salute Li­via Turco per formu­lare linee guida sul tema, ha fatto un’ampia disamina delle questioni sul tavolo: dai dati per costruire una pro­gnosi, alle percen­tuali di sopravviven­za e di disabilità e­ventuale di questi bambini, alla casistica nazionale, al­l’indicazione su chi deve avere la de­cisione sugli interventi e in base a quali criteri. Un recente articolo sul New England Journal of Medicine, ha detto Mosca, ha sottolineato la ne­cessità di «andare oltre l’età gesta­zionale» per prendere decisioni sul trattamento più adeguato: «Esistono altri parametri, spesso ignoti al mo­mento del parto, che possono influenzare grandemente l’esito delle cure: oltre al­l’età gestazionale, contano l’essere na­to da parto singolo o multiplo, il peso, il sesso, l’eventuale as­sunzione di farmaci steroidi durante la gravidanza (che mi­gliorano lo sviluppo degli organi)». Ecco dunque che l’atteggiamento più ragionevole, in sala parto, è quello di tentare di dare una possibilità a tut­ti: «Anche perché sono bambini che – se non rianimati – muoiono tutti, come succede in Olanda. Oltre al fat­to che attualmente le statistiche par­lano di un 50% di sopravvivenza a 24 settimane: più o meno quella dei ma­lati di tumore dopo 5 anni, e nessu­no si sogna di non curarli». Successi­vamente, nel reparto di terapia in­tensiva, sarà possibile adottare un approccio più meditato, conoscen­do molti più dati, vedendo la reazio­ne del bambino alle cure e confron­tandosi con i genitori («che non sem­pre sono i migliori tutori della vita dei loro figli»). Certamente questi bimbi vanno incontro al rischio di svilup­pare deficit motori e/o cognitivi di vario genere e gravità: «Ma questo è un dato imprevedibile. E il dibattito sulla qualità della vita è ancora più complicato».



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