giovedì 13 novembre 2008

MARTINI NON SA QUANDO INIZIA E QUANDO FINISCE LA VITA(anche lui)

• da Il Foglio del 10 novembre 2008, pag. 1
di Giuliano Ferrara

Sentite qui. "Siccome credo nella vita eterna, su quella temporale, fisica, di questa terra, posso transigere, sfumare, variare a seconda dei tempi e della storia e delle culture, e alla fine nascere e morire sono misteri sui quali ciascuno può e deve giudicare secondo la propria sensibilità. Contro un’etica non negoziabile della vita, dal concepimento alla morte naturale, c’è il relativismo cristiano della libertà che decide". L’altro giorno ho letto queste cose, che mi sono permesso di parafrasare e mettere tra virgolette, in una pagina di giornale. E ho visto che erano firmate dal cardinal Martini. Sabato prossimo devo parlare del "concepito" a una riunione di medici cattolici che mi hanno gentilmente invitato. Dovrò dire che il concepito è un essere misterioso di cui è difficile stabilire lo status di "persona" o "individuo", come dice il cardinale? E se dirò il contrario, se dirò di sapere perfettamente che cosa sia un concepito, e che è una persona, un individuo, andrò contro il pensiero dì un principe della chiesa? Sarò giudicato un oltraggioso ateo devoto che predica una religione civile, non sa niente della vita eterna, e vuole ridurre il cristianesimo a una banale teoria etica?


Carlo Maria Martini è un esegeta, teologo e pastore universalmente rispettato, e con suo merito. Il celebre gesuita viene proposto da alcuni ambienti come una specie di "altro Papa", insomma un’autorità di immenso rilievo, e una personalità venerabile, nel cattolicesimo mondiale. La sua idea delle cose, in molti aspetti essenziali, differisce da quella considerata prevalente nei magisteri di Paolo VI, Giovanni Paolo II e Benedetto XVI. Il dissenso particolare, a parte grandi questioni sospese che secondo Martini dovrebbero utilmente essere ridefinite in un Concilio Vaticano III, verte sull’etica del nostro tempo, specie sul controverso rapporto tra la nostra mentalità, l’insieme delle nostre conoscenze scientifiche, la nostra capacità di sperimentare e operare nel campo della medicina e della biogenetica, e la vita umana. Ma anche sul resto, su materie decisive come la liturgia, la concezione moderna del clero e del laicato, il metodo di lettura e interpretazione delle scritture e del messaggio di Gesù Cristo, Martini ha un punto di vista spiccatamente personale, che arricchisce la chiesa e la cultura di un’opinione e di un’esperienza culturale e teologica molto pesanti, e influenti.



Da banditore laico del valore assoluto, non negoziabile, non relativizzabile, della vita umana, mi è capitato e mi capita di convergere, talvolta entusiasticamente ma in genere abbastanza sobriamente, con le posizioni dei Papi, e di Benedetto in particolare. Ci ho messo del mio, nel bene e nel male, in questi conflitti che oppongono chiesa e mondo, dall’aborto all’eutanasia alla procreazione assistita alla contraccezione eccetera. Il mio punto di vista non è strettamente religioso né magisteriale né dogmatico. E o cerca di essere un orientamento genericamente umanistico e razionale, secolare, che però non si lascia intimidire e tacitare dalla versione ideologicamente secolarizzata del conformismo nichilista corrente, quello per cui niente è vero. e stabile, tutto è sfuggente e storico, e dunque la vita di questa particella della natura che è l’uomo va considerata con il beneficio dell’inventario tecno-scientifico. La vita sarebbe per così dire a disposizione di chi la voglia o debba manipolare per il bene supremo della causa della conoscenza e del benessere umano materialisticamente inteso, la fitness senza buonumore e senza una anche minima scintilla di felicità e di bene a cui, per dirla corta, ci siamo banalmente ridotti.



Mi ha dunque molto deluso e irritato il testo del cardinal Martini pubblicato dal Corriere della Sera di martedì 5 novembre, tratto da una pubblicazione dell’Università di don Verzè, e intitolato: "Inizio e fine, i due misteri della vita - Carlo Maria Martini: difficile stabilire quando un essere si posa chiamare ‘persona’ o ‘individuo"‘. Martini spende molte parole per argomentare una tesi corta e chiara, la stessa, più o meno, esposta sulle pagine del Foglio dal teologo laico Vito Mancuso, il coraggioso scrittore e pensatore che si batte per la rifondazione della fede cristiana, per la scrematura dalla fede cristiana di ciò che in essa a suo giudizio è morto e sepolto (e non si tratta di poca cosa, si tratta di un corpo di dottrina piuttosto ingombrante). Mancuso dice che il cristianesimo non deve essere ridotto a materialismo volgare, a bios, come tende a fare un certo magistero cattolico, e che nella considerazione del valore della vita la parte dei leone la fa il suo carattere spirituale. Perciò, almeno nella questione del testamento biologico intaso come legge dello stato, l’opinione di Mancuso, che per il resto è un chiaro antiabortista, è che deve prevalere la libertà dell’anima individuale su ogni altra considerazione. Ho riassunto e semplificato, ma nella sostanza è così.



Martini la pensa come Mancuso. Ma ho l’impressione che vada molto oltre, sia pure senza dichiararlo, sia pure nell’esitazione e nel tremore che ogni persona capace di speranza prova parlando di queste faccende decisive. Ho avuto l’impressione che il risultato sia un certo grigiore gesuitico, un argomentare ambiguo e intriso di negatività, una prova di relativismo cristiano, ma non nel senso ovvio e buono che si potrebbe addebitare alla teoria relativistica, per esempio, del minor danno. A leggere il testo viene fuori un elemento ovvio per un cristiano che abbia letto e meditato i vangeli: la vita vera è l’altra, quella emancipata dal peccato e dalla morte che la resurrezione garantisce per l’eterno a chi ha creduto. Ma da questa verità di fede, con un movimento del pensiero che a me sembra integralistico, poco rispettoso dei termini dell’alleanza di fede e ragione, Martini conclude che la vita fisica è relativizzabile, ché "non è facile stabilire il momento preciso della morte" e "non è facile stabilire quando cominci esattamente una vita umana, soprattutto quando un essere possa essere chiamato ‘persona’ o ‘individuo’ e sia soggetto di diritti e doveri".



Forse a Martini era sfuggito, ma Barack Obama, nella peggiore delle sue risposte ai problemi dei nostro tempo, quando un pastore evangelico gli aveva domandato a che punto cominci la vita umana, aveva risposto che "la domanda è al di sopra delle mie competenze", e poi aveva impapocchiato una di quelle solite tiritere parascientifiche con le quali si usa offuscare ciò che abbiamo di più chiaro sotto gli occhi, e anche sotto a lente del microscopio: che un atto d’amore genera un figlio, cioè una vita umana unica e irripetibile, e che il concepito è il frutto immediato del concepimento, il concepito è il nome naturalistico dell’individuo prodotto dall’amore. Tutto il testo di Martini è la negazione. radicale delle ragioni profonde che avevano condotto una parte della società secolare a battersi con la chiesa contro il tentativo di sfondare ogni confine e ogni pudore nella legge sulla fecondazione artificiale. La fede nella vera vita è il punto di partenza, nonostante espressioni prudenziali e di convenienza, per un ragionamento che nega l’indisponibilità assoluta della vita umana nell’epoca degli aborti forzati e di stato in Asia, della pianificazione familiare culturalmente coatta in tutto l’occidente, dell’aborto seriale, selettivo ed eugenetico protetto dall’indifferenza morale della società e dei governi, dell’eutanasia - anche infantile - secondo il modello venuto dall’Olanda. La curiosità verso la vita e verso le questioni etiche generalmente presenti a un punto di vista umano mi ha portato alla viva curiosità verso la "vita vera" e la fede dei cristiani. Ma se un cardinale di così vasta influenza brandisce la fede nella resurrezione e nella vera vita per svalutare e relativizzare la vita umana, e di questi tempi, allora mi sfugge il senso della sua fede. La sequela di Gesù non è una teoria etica, questo lo so bene; ma non voglio che dalla sequela del Risorto siano tratte idee etiche relativistiche buone per opacizzare i chiari confini che definiscono il nostro inizio, la nostra vita e la nostra morte. Mi sembra troppo.




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