sabato 28 aprile 2007

JOSEPH E ORIANA, L'INCONTRO DI DUE MENTI ECCELSE

RICORDIAMO ORIANA FALLACI:
Grande giornalista atea ha costantemente lottato per cercare una risposta alla vita.

"Un'atea attraversata da parte a parte dalla spada cristiana. Ha cercato di levarsela sin da quando era piccola. Poi l'ha accettata, persino amata: una ferita da cui sgorgava una fontana di pensieri, passioni, proteste e amore. La sua identità personale e di popolo. L'Occidente e i diritti dell'individuo sempre per lei connessi ai doveri. Dell'Italia diceva che era cattolica o non era. Diceva proprio "cattolica". Non le bastava la definizione di cristiana per descrivere la sua cultura. Ci è capitata questa profetessa: insopportabile e magnifica. Siamo stati fortunati. Con lei era impossibile dormire, far finta di non sapere che razza di malattia mortale sia la diffusione dell'islam e la fragilità compiaciuta dei nichilisti di casa nostra."










Caute indiscrezioni sull'incontro sono circolate in ambienti riservati, a Roma e negli Usa. Ma, al di là di questo, nient'altro è filtrato anche se non è difficile ipotizzare che il Papa e la Fallaci abbiano affrontato - malgrado le diverse sfumature - un tema caro ad entrambi: la difesa dell'Occidente.




Sempre più furibonde con l'islam, ma anche crudeli contro l'Occidente che ha rinunciato al cristianesimo e abbracciato il niente.
(In questo post troverete qualche articolo del settimanale "Libero" (il solo che mi permette una ricerca in archivio non disponibile su altri quotidiani) sul rapporto intenso e straordinario fra la scrittrice Oriana Fallaci e Papa Benedetto.)




Papa e Fallaci, faccia a faccia segreto

ROMA Un sabato mattina splendente di sole; sui Castelli romani si disegna il paesaggio tipico del sabato di fine agosto: una lunga teoria di macchine si inerpica lungo la strada che sale da Roma, fino a Castel Gandolfo, nella piazza su cui si affaccia il Palazzo Apostolico, la residenza estiva dei papi e dunque, ora anche di Benedetto XVI. Una delle macchine in arrivo da Roma porta un passeggero particolare. Nessuno sospetta che dentro la macchina dai finestrini oscurati, c'è una donna con grossi occhiali neri, vestita di scuro, con un fazzoletto che le copre il capo. E quella donna è Oriana Fallaci. La gente pensa ad altro, si affaccia al belvedere per ammirare il lago, fotografa il Palazzo Apostolico, spera magari in un'improvvisa apparizione del Papa per le strade del paese. Non sa che proprio in quel momento, invece, il Papa è a colloquio con la scrittrice italiana più letta e più contestata del momento. Ed è la prima italiana ricevuta dal Pontefice. Massima riservatezza, massimo silenzio intorno a questa visita, anzi " udienza privata", come recita la formula ufficiale adottata per simili circostanze. « Non sapevo, mi sembra strano, perché a me risulta che Oriana sia a New York, ma tutto può essere con mia sorella, anche che abbia incontrato il Papa » , commenterà poi la sorella Paola. Dagli ambienti vaticani nulla trapela, dalla segreteria di Stato alla Sala stampa, alla stessa Congregazione per la dottrina per la fede. E il Vaticano va in subbuglio - e in imbarazzo - quando dopo tre giorni la notizia viene diffusa da un'agenzia di stampa. « Non doveva essere diffusa così, e così presto » , si mormora. I pochi dettagli affiorano a poco a poco. Secondo alcune fonti il colloquio sarebbe durato " a lungo", secondo altri si sarebbe limitato ad una mezz'oretta. Probabilmente, il faccia a faccia è durato almeno un'ora. Si sa che que la richiesta dell'udienza è partita dagli Stati Uniti, dove la Fallaci vive abitualmente, ed è stata molto rapidamente presa in comunconsiderazione e accolta da Benedetto XVI. Un fatto considerato " notevole" dagli stessi ambienti vaticani. Qualcuno fa notare che spicca la diversità di atteggiamento, ad esempio, nei confronti del re di Spagna, Juan Carlos, la cui visita è in calendario " solo" per i primi di settembre. La scrittrice, prima di avanzare una richiesta ufficiale, avrebbe parlato del suo desiderio di incontrare il Papa ad alcuni amici sacerdoti. Tra questi, probabilmente, padre Andrzej Majewski, caporedattore della televisione pubblica polacca ( Telewizja Polska) a cui la Fallaci, qualche settimana fa, ha rilasciato una lunga intervista ( pubblicata da Libero il 14 agosto scorso). L'entourage del cardinale Giovan Battista Re, a capo dell'importante Congregazione dei Vescovi, giudica piuttosto positivamente il forte richiamo della Fallaci ai valori dell'Occidente, e forse da lì potrebbe essere partita l'opera di mediazione per organizzare il colloquio. Di che cosa avranno parlato, in quell'ora - minuto più minuto meno - la scrittrice e il Papa? Nessun contenuto dell'incontro è stato, e sarà divulgato. Certo, con la religione cattolica Oriana Fallaci non è mai stata tenera. Non lo era ai tempi di " Lettera a un bambino mai nato", " Niente e così sia", " Un uomo", e non lo è stata nemmeno con " La Rabbia e l'Orgoglio", il best- seller che dopo l' 11 settembre la riportò ai vertici delle classifiche e delle polemiche. In quel pamphlet non perdonava Giovanni Paolo II di aver chiesto scusa per le Crociate. Ora, con Benedetto XVI, con cui condivide l'amore per i valori dell'Occidente e il rifiuto del relativismo, l'atteggiamento è mutato. Di sicuro l'udienza privata dimostra una maggiore vicinanza della giornalista- scrittrice a Papa Ratzinger che non al suo predecessore. In comune hanno almeno un nemico: il relativismo che, per dirla alla Fallaci, rischia di trasformare l'Europa in " Eurabia", aprendo le porte al terrorismo islamico. Ancora cardinale, Joseph Ratzinger scrisse insieme al presidente del Senato Marcello Pera " Senza Radici", un libro dove il futuro Papa scrive proprio che « l'Occidente non ama più se stesso; della sua storia vede oramai soltanto ciò che è deprecabile e distruttivo » . Dopo l' 11 settembre la scrittrice combatte, a modo suo, su questo stesso fronte. Oriana e Benedetto XVI avranno certo parlato di difesa dell'Occidente e dei suoi valori, ma - si fa sempre notare in alcuni ambienti vaticani - è molto probabile che invece il colloquio sia stato davvero molto personale. Lei che sta affrontando i suoi demoni personali - la malattia, la paura di dover lasciare la vita tanto amata - forse avrà parlato al Papa proprio di queste sue angosce, dei suoi timori, dei suoi dubbi, delle sue speranze. " Questa" Fallaci soprattutto - dicono - il Papa subito ha voluto incontrare.
Caterina Maniaci

Libero, 31 agosto 2005


L'islam, la fede e quella sigaretta fumata col Papa di RENATO FARINA
Il nostro tempo è stato segnato dalla presenza di Oriana Fallaci. Gridava come Cassandra: «Troia brucia, Troia brucia!». L'accusavano di spargere odio. Ma quanti hanno ritrovato grazie a lei l'amore per quello che aveva perso sapore, il suono delle campane, le parole udite nell'infanzia dalla propria madre, il colore del cattolicesimo uguale identico all'azzurro di certi cieli di Toscana e di Lombardia. Certo, Oriana ha urlato di odio, ma era l'odio contro le tenebre. Odiava la tirannide dell'islam che nega la nostra memoria e la nostra anima. Si scagliava con la furia della poesia perché aveva cara la culla in cui la mise sua madre, e continuava la lotta per la libertà in cui l'aveva introdotta quattordicenne papà Edoardo. Un'atea attraversata da parte a parte dalla spada cristiana. Ha cercato di levarsela sin da quando era piccola. Poi l'ha accettata, persino amata: una ferita da cui sgorgava una fontana di pensieri, passioni, proteste e amore. La sua identità personale e di popolo. L'Occidente e i diritti dell'individuo sempre per lei connessi ai doveri. Dell'Italia diceva che era cattolica o non era. Diceva proprio "cattolica". Non le bastava la definizione di cristiana per descrivere la sua cultura. Ci è capitata questa profetessa: insopportabile e magnifica. Siamo stati fortunati. Con lei era impossibile dormire, far finta di non sapere che razza di malattia mortale sia la diffusione dell'islam e la fragilità compiaciuta dei nichilisti di casa nostra. E ora che giace inerme? Hanno già agitato il turibolo intorno al cadavere, convinti che non li morda, elogiano la sua attività di giornalista, la sua coerenza, prendendo le distanze dalle sue opinioni pericolose. Una santa, onorata, incensata: morta. Morta! Che ne sarà di noi senza di lei? Raccoglieremo la sua testimonianza? Mi viene da dire: chissenefrega. Mi importa di lei, adesso. Mica solo io. Chiunque le abbia voluto bene e le debba un'ora di lettura incantata spera che quella donna non coincida con il suo corpo sbranato dal cancro. I martiri islamici se la spassano con 63 o 73 vergini, ho perso il conto, e lei incenerita? Ma no, il cristianesimo che lei ha onorato da atea, promette il centuplo quaggiù ma anche l'eternità. Lei era colpita dal «mio Ratzinger». Ho in mente il dito del cardinale bavarese, non ancora Papa, che indica una finestra sopra le nuvole. Ciao Oriana. Ci sono due grandi temi nella sua opera, scritta e vissuta. In realtà sarebbe uno solo, ed è <«a ricerca della libertà», che Oriana fa coincidere con la libertà stessa («unica parola senza sinonimi», ha scritto). È la questione del significato. Urge in tutti, ma alcuni geni sono travolti da questa passione unica. In lei ha trovato il suo punto di massima espressione dinanzi alla macchina per scrivere. Che era molto di più del buttare giù delle righe. C'era dentro qualcosa di impagabile. Nel disordine di queste ore sottosopra, conviene fissare un paio di paletti. Dio e Islam. Oriana ha avuto un nemico: il niente. Il contrario di Dio. Il problema è che non ci credeva. La morte? Al diavolo, era brutta, ma anche dolce, in fondo le pareva l'altra faccia della vita. Scrisse: «Non la capisco. Ma senza quello spreco che chiamo Morte non ci sarebbe la Vita». In teoria funziona. Tutto passa, panta rei. Ma quando ce l'hai addosso, e bussa, e come un rapace si prepara a inghiottire il nostro "io", hai un bel ragionare di flusso vitale. A lei dava fastidio l'inazione che consegue al tirare le cuoia: come si fa a combattere se si è morti? Proprio adesso doveva morire? Negli ultimi anni era angosciata dalla avanzata inesorabile del niente, e l'idea che lei non poteva più combatterci contro, sputarci addosso, tirargli un cazzotto perché banalmente cadavere, l'atterriva. Parafraso la frase di cui sopra. Hai un bel dire: la Vita si nutre della morte di Oriana. Ma senza Oriana è una vitaccia. Per me è aver perso un litro di sangue. Con lei è tutta un'altra cosa combattere contro i pavidi occidentali, Maometto col suo Allah, sinistra e destra coglione, berciatori vari. Al suo fianco erano corpuscoli infinitesimi. Potevano anche ammazzarla, ma lei se ne faceva un baffo. Noi pure, nani accanto a questo gigante di 29 chilogrammi. E adesso? Nessuno ha amato come lei la vita - ho pensato subito all'alba di ieri, svegliato da una voce addolcita per non spaventarmi troppo. Lo so. Ora lo so di più. È impossibile che la sua scintilla fantasti ca, unica, irripetibile sia stata spenta nel niente. È un'evidenza della ragione. Se fosse qui, glielo direi, anche se adesso ne ha esperienza. E non vale l'idea tibetanmarxista, alla Tiziano Terzani, che il suo io si sia dileguato nel lucente gran fiume del Tutto (che è uguale al Niente). Oriana non può accontentarsi di una simile romanticheria spiritualista. Non c'entrerebbe niente con la fibra dei suoi giorni. Essi si sono svolti nell'interpretazione perfetta della parte che Dio nella Bibbia assegna all'Uomo. «Vita hominis militia est», la vita dell'uomo è una guerra. Lo dice Jahvé a Giobbe per rianimarlo. Oriana è stata molto meno paziente di Giobbe. E ogni giornata è stata guerra, sempre. Possibile che abbia vinto la pace del cimitero sul suo fuoco interiore? In queste pagine leggerete molte cose da lei scritte. La sua pagina era la sua guerra. Trasformava in una domanda a me, a te che leggi, la realtà entrata negli occhi, che le aveva piagato i piedi scarpinando, suscitando pietà e ironia. Usava le stesse parole di tutti. Ma ci sono le scamorze anche famose che le estraggono dall'impermeabile, lei le tirava fuori dalle viscere, come bambini appena nati, come un miracolo. Ogni "io" Oriana ci ha insegnato che è un miracolo. Possibile che sia nato solo per la morte? Lei lo ripete sempre. Anzi, lo ripeteva, mi sono dimenticato che è morta. Maledizione è morta. Ma non è che ne sono tanto sicuro. Io spero. Lei che è stata l'emblema del pessimismo più nero, oggi è il segno dell'ultima speranza. Io ci credo. Ha scritto una frase terribile: «Dio, Dio perché non esisti?». Secondo me, se conosco un po' tutt'e due, Dio c'è, anche solo per contraddirla, per discuterne con lei e dimostrare che almeno una volta si è sbagliata. Lo so: direbbe che non è il dio vero, ma «il migliore degli dèi inventati dagli uomini». Una proiezione dei nostri bisogni. Quando me lo sbatté in faccia, una sera d'estate, offrendomi la bottiglia migliore di Champagne (lei era così con gli ospiti), mentre lei si cibava come un uccellino di briciole di pane, le risposi che poteva trovare qualcosa di meglio del materialismo volgare di Feuerbach. La buttai lì per fare il saputo. Avrei voluto esprimermi con la sua forza, e argomentare che lei stessa era la prova dell'esistenza di Dio. Come fa a non esistere uno che è invocato da una donna come lei? Come può essere generato dalla materia inerte, o dalla Vita impersonale un io così puro e amante della libertà? È pura logica: la materia non può generare ciò che aspira all'infinito. Sono irrazionali quanti pensano il contrario. Non è un mio argomento: l'ho ripreso pari pari dal suo Ratzinger. Ho persino provato a dirglielo, ma io sono un poveretto, mi sono ingarbugliato. Mi parlò meravigliosamente di Cristo, del fatto che ha dato la libertà al mondo, ma poi sosteneva che è stato un grande filosofo di coerenza assoluta, e però gli apostoli avevano inventato la Chiesa tradendolo. Io spiegai che non era proprio così, che era il Mistero fattosi compagnia. Mi guardò stupita. Mi disse: «Tesoro, tu sei troppo cattolico. Ma abbiamo una cosa in comune: siamo amici di Feltri, e abbiamo resistito, lui che scaccia l'amico come la peste». Naturalmente non è vero, ma abbozzai. Un giorno si mise a bestemmiare al telefono, al modo dei toscani. Io me la presi. E lei: «Dovresti esser contento. Se Lo bestemmio vuol dire che ci credo, no?». Ci teneva però a dire che era atea e cristiana. Poi ha incontrato Ratzinger. Non so che cosa si siano detti Oriana e Ratzinger - lei non riusciva a chiamarlo Benedetto o Santo Padre. L'unica cosa sicura è che Oriana, fatto inaudito, ha tirato fuori una sigaretta e ha fumato. Lì, davanti al Papa, a Castelgandolfo. Dopo quell'incontro ha acquistato una lieve luce nelle sue prose. Sempre più furibonde con l'islam, ma anche crudeli contro l'Occidente che ha rinunciato al cristianesimo e abbracciato il niente. Se la prese con la nostra adorazione della scienza che sacrifica embrioni. Il suo linguaggio è stato l'unico capace di mettere a fuoco la realtà umana di quelle poche cellule, di farne sentire la voce di creaturine nate per vivere e il loro urlo quando erano trasformate in gelatine per la coltura di qualche pezzo di ricambio umano. Poi ha visto spesso il vescovo Rino Fisichella, e non so. La questione dell'Islam? Basta poco qui. Avrà riempito i giornali e le tivù. Tutti avranno distinto due fasi nella Fallaci: quella della reporter impareggiabile e quella della cattiva maestra di religione. Non c'è differenza. Lei ha sempre avuto gli occhi aperti. Dovunque ha visto una prepotenza l'ha denunciata, senza riguardi. Il metodo è lo stesso. Ma proprio ora che il pericolo è immensamente più grande, ci si attarda per seppellirla con molti onori, invece che seguirla. Oggi tutti i parlamenti arabi attaccano Ratzinger, le comunità islamiche europee pure. E nessuno che alzi la testa, nessuna Camera dei deputati, nessun governo occidentale (ad eccezione della Merkel) che urli il-Papanon-si-tocca. Se c'era lei... Ma lei c'è. Ci sei. Dacci una mano Oriana. Ti vogliamo bene. Libero, 16 settembre 2006


ORIANA LASCIA TUTTO AI PRETI

di MARTINO CERVO

Oriana Fallaci consegna la sua biblioteca al Papa. La giornalista e scrittrice scomparsa il 15 settembre scorso ha lasciato il suo patrimonio librario all'Università del Laterano, l'ateneo legato direttamente al Pontefice. Lo ha annunciato ieri mattina Monsignor Rino Fisichella, che della Lateranense è il rettore, nel corso dell'inaugurazione del 234° anno accademico, svoltasi alla presenza di Benedetto XVI, che ha poi personalmente voluto salutare i parenti della Fallaci. La donazione, decisa dalla giornalista nel periodo successivo allo storico incontro con il Santo Padre del 26 agosto 2005, rappresenta una conferma della speciale sintonia che la scrittrice aveva maturato con il successore di Giovanni Paolo II. Ieri Fisichella ha parlato di «venerazione» per l'attuale Pontefice: sentimento che l'ha convinta, insieme alla «profonda amicizia» che la legava allo stesso rettore, alla donazione che arricchirà la biblioteca con il "Fondo Oriana Fallaci". Fisichella, grande artefice del colloquio blindato di Castel Gandolfo, è stata una delle persone più vicine all'autrice de "La rabbia e l'orgoglio" nei mesi dell'aggravarsi della malattia. Ha visitato in diverse occasioni Oriana Fallaci a New York, e l'ha costantemente seguita con abituali telefonate, fino alla prossimità fisica nelle ultime ore della sua vita. Difficile non cogliere un estremo, chiarissimo messaggio rivolto alle istituzioni di un Paese col quale è sempre rimasta in polemica: il lascito a un ente "straniero" suona anche come un'indicazione esplicita sul luogo in cui la scrittrice ha mostrato di riporre più speranza. Aveva visto in Ratzinzger un'autorità intellettuale e un alleato nella difesa della cultura occidentale che entrambi vedevano minacciata e indebolita anzitutto dall'interno: «Si trova nella situazione più difficile che possa intrappolare un leader del nostro tempo. (...) Eppure io ho fiducia in lui. Sa, nel mio caso non si tratta di mischiare il diavolo con l'acqua santa: si tratta di esercitare la razionalità». E ancora, poco prima, aveva confessato di sentirsi «meno sola» grazie alla lettura dei testi di Ratzinger: «Se un'atea e un Papa pensano la stessa cosa ci deve essere qualcosa di vero. Qualche verità umana che va al di là della religione». E uno degli onori più grandi in occasione delle esequie le era stato riservato dal presidente della Cei Camillo Ruini, che aveva pianto la scomparsa di una grande testimone di «forza morale, ingegno, qualità letterarie e amore per l'Italia», invocando pubblicamente per lei, atea, l'abbraccio del Signore. Le opere che comporranno il Fondo non sono state rese note, essendo al momento in catalogazione. Libero è in grado di avanzare alcune ipotesi sul contenuto, sulla base delle testimonianze raccolte tra chi ha accompagnato nel suo lavoro la scrittrice fiorentina. La donazione è piuttosto corposa, probabilmente si aggira intorno a quel migliaio di opere che la giornalista conservava in parte nella biblioteca dell'abitazione fiorentina e in parte nella casa di New York, dove ha abitato negli ultimi anni. Qui Oriana Fallaci lavorava e studiava, nel suo studio al piano ammezzato dove si circondava soprattutto di alcuni testi di rapida consultazione che la aiutavano nella stesura delle sue opere. È al piano superiore, nel soggiorno, che una massiccia libreria in legno ospitava (e ospita tuttora, in attesa del trasferimento) centinaia di testi e altro materiale che andrà ora nelle sale della Lateranense. Tra questi, una preziosa Bibbia illustrata da Gustave Doré: volumi che la scrittrice custodiva con venerazione, insieme a numerose edizioni antiche, sette e ottocentesche, delle opere di William Shakespeare e di altri grandi protagonisti della letteratura inglese, che amava in modo particolare. Protagonista di uno stile di vita estremamente rigoroso, visitava frequentemente le librerie di New York, a cominciare da Argosy, una delle più note e specializzata in libri d'epoca, nella quale spendeva anche centinaia di dollari. Qui la Fallaci si concedeva visite di ore, alla caccia di edizioni rare o che la interessavano particolarmente. Tra queste, molte edizioni dei grandi filosofi greci, a cominciare da Platone, le principali tragedie greche e moltissimi testi di storia. Ma la scrittrice, descritta come ottima e appassionata cuoca, consultava con piacere anche testi più sorprendenti, come libri di ricette dell'800: con la stessa maniacalità mostrata nella cura dei suoi scritti si dedicava alla contemplazione dei pezzi della sua collezione, descrivendo agli amici e ai collaboratori l'impaginazione, le illustrazioni, i caratteri, le co pertine rilegate. Se è scontato che il "Fondo Fallaci" in via di allestimento alla Lateranense ospiterà anche le opere della giornalista, tradotte in decine di lingue in tutto il mondo (solo in Italia ha avuto 20 milioni di lettori), e molto materiale del suo archivio personale, è meno probabile che di esso facciano parte anche suoi manoscritti o corrispondenze epistolari. Chi ha lavorato con lei negli ultimi anni, infatti, spiega che da anni la scrittrice passava regolarmente le sue carte alla Boston University, col cui ex rettore aveva stretto un forte legame di amicizia e di stima. Lo stesso prestigioso ateneo custodisce da tempo un "Oriana Fallaci's special collection" che raccoglie materiale sulla scrittrice. Di sicuro, invece, non ci sarà nulla del suo ultimo romanzo storico, che dovrebbe uscire l'anno prossimo e fino ad allora sarà nelle mani del nipote Edoardo. Fisichella ha spiegato che il fondo sarà consultabile tra non meno di anno. Nell'attesa, da ieri, oltre ai suoi lettori, a custodire con maggiore impegno il lascito di Oriana Fallaci restano l'America e il Papa.
GUERRIERA La giornalista e scrittrice toscana Oriana Fallaci, morta a Firenze il 15 settembre 2006, all'età di 77 anni per un male incurabile. Gli ultimi anni della sua vita, dopo l'11 settembre 2001, li ha spesi combattendo contro gli islamici a colpi di pamphlet divenuti celebri in tutto il mondo Effigie

Libero, 22 ottobre 2006


«Oriana voleva scrivere il seguito della Lettera»

Oriana Fallaci aveva intenzione di scrivere il seguito di "Lettera a un bambino mai nato", il drammatico libro del 1975 dedicato al tema dell'aborto (tre milioni di copie vendute). Lo ha detto, come racconta Il Giornale della Toscana di ieri, monsignor Rino Fisichella in occasione della presentazione di "Grazie Oriana" (Società Toscana di Edizioni), volume firmato da Riccardo Mazzoni. Fisichella, rettore della pontificia università Lateranense, ha ricordato la sua amicizia con l'atea Fallaci: «Oriana atea... - ha detto -, le piaceva dirlo, ma la avreste dovuta vedere quando, come una bambina, negli ultimi giorni della sua vita, mi ha consegnato la Bibbia che da piccola sfogliava con suo padre». Fisichella aveva conosciuto Oriana Fallaci nel 2005, in occasione dell'incontro a Roma fra la scrittrice e Benedetto XVI. «Incontrò il papa portando con sé il libro del cardinale Joseph Ratzinger sull'identità dell'Europa. Un libro che Oriana aveva sottolineato in molte parti; un elemento che dà il segno e il senso di una lettura intensa. Fu ospite nella mia casa. Curiosando tra i tanti libri, trovò il mio appena uscito, sul tema della fede. Lo voleva, glielo donai. Dopo la sua morte il nipote Edoardo ha voluto restituirmelo. Mi è stato riconsegnato un libro che lei aveva sottolineato con l'evidenziatore arancione. Eppure quello era un libro che parlava di fede. Oriana era una donna in ricerca, che non è arrivata come ho sperato, a compiere il passaggio successivo, quello della conversione. Come si fa a pensare che questo è ateismo e anticlericalismo?». Quindi monsignor Fisichella ha parlato della sua «lunga corrispondenza epistolare» con la scrittrice, alludendo alla possibilità di pubblicare il carteggio: «Se un giorno, come penso, deciderò di realizzare un libro con le ultime cose che mi ha scritto, lo farò per mantenere viva la memoria di una donna profondamente intelligente». Infine la rivelazione sul seguito di "Lettera a un bambino mai nato": «Ricordo pochi giorni prima della sua morte quando l'ho assistita nella sua casa a New York e insieme preparammo il suo ritorno a Firenze. Anche in quella fase della sua esistenza, lei pensava tenacemente a ciò che doveva scrivere: non il libro che uscirà postumo, ma quello che avrebbe voluto continuare, cioè "Lettera a un Bambino mai nato"». Monsignor Fisichella ha anche letto integralmente il testo di una lettera della Fallaci, datata 6 ottobre 2005, scritta in vista di un incontro all'università pontificia (che non ci sarà): «In questa lettera mi parla del testo del suo intervento - spiega Fisichella -Era un discorso rivolto ai giovani, austero e in qualche modo divertente. Finiva così: "L'intelligenza non basta, l'erudizione non basta. Per dare senso al viaggio della vita ci vuole la passione, forza della passione"». A.G.
Libero, 31 marzo 2007

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