venerdì 27 aprile 2007

RIFLESSIONI A PROPOSITO DI ADULTI ALL'OPERA REFLECTIONS ABOUT ADULTS AT WORK









Tre artisti ci parlano della stessa realta' con visioni diverse.
Anche noi siamo chiamati a vivere le circostanze testimoniando a chi vogliamo appartenere

L'articolo qui sotto e' veramente da leggere.
Ci aiuta a posizionare lo sguardo e soprattutto valorizza la persona.
Con questo articolo si comprende meglio la propria vita il senso del nostro fare.
Ogni azione,ogni nostra azione puo' essere grande o non significare nulla.
Per questo a volte ha piu' senso il lavoro silenzioso.Ha senso e significato il lavoro della mamma che lava i piatti e pulisce il sederino al bimbo.
Ha senso la fatica di alzarsi ogni giorno di ricominciare.Quando si recupera il senso allora si che e' possibile stare di fronte al proprio figlio che dopo anni ancora non parla,o che non ti cammina,o che non vede.... o soltanto non ti corrisponde.
È questo su cui noi soprattutto dobbiamo aiutarci.
"Gli amici di Giovanni" ci spronano ogni giorno,ci richiamano ,a dare un senso al nostro agire.

L'articolo di Cesana e' scritto anche in inglese per dare a tutti la possibilita' di leggerlo




Perche' il senso non lo da' il potere,i soldi,

Il senso delle cose si chiama comunemente Dio. Se si toglie questo, non si è più sicuri di niente, non si ha più certezza dell’esistenza delle cose stesse e del loro valore per la vita. Non si ha più certezza del perché bisogna combattere per esse. Non si ha più certezza di sé.

For work to exist, it has to have a meaning. The same is true for businesses, whether big or small. We are together to live and testify to the meaning of everything. The beginning of a struggle in the world. Reflections about adults at work

ARTICOLO
Perché esista il lavoro occorre che abbia un senso. Così l’impresa, piccola o grande. E noi siamo insieme per vivere e testimoniare il significato di tutto. Il principio di una lotta nel mondo. Riflessioni a proposito di adulti all’opera
di Giancarlo Cesana
A un recente Esecutivo della Fraternità don Giussani ha fatto questa osservazione: questa bottiglia non esiste solo perché io la vedo e la tocco. Il fatto che io la veda e la tocchi non è sufficiente a confermarmi della sua esistenza.
Perché esista è necessario che questa bottiglia abbia un senso, cioè abbia un rapporto con me, con tutto ciò che esiste; cioè è necessario che questa bottiglia sia dentro la struttura complessiva dell’universo. Se una cosa non ha un senso, non è più necessaria: che ci sia o non ci sia, è fondamentalmente la stessa cosa. E inoltre mi può venire il dubbio che la mia stessa percezione a riguardo di una cosa non necessaria possa essere una percezione illusoria. E soggiungeva: gli intellettuali hanno tolto il senso alle bottiglie, ai bicchieri, ai tavoli, a tutto. Il senso delle cose si chiama comunemente Dio. Se si toglie questo, non si è più sicuri di niente, non si ha più certezza dell’esistenza delle cose stesse e del loro valore per la vita. Non si ha più certezza del perché bisogna combattere per esse. Non si ha più certezza di sé.
Perché esista il nostro lavoro, perché esista l’opera delle nostre mani, non è solo necessario produrre, fare i soldi, dimostrare un’efficienza, ma è necessario che questo lavoro abbia un senso. Ovvero abbia una direzione verso, appunto, ciò che si chiama Dio, destino. Se non ha questa direzione, il lavoro a un certo punto perde consistenza, perlomeno per i meno fortunati. Perché, il problema del senso che ci è stato tolto dai vari intellettuali come è sostituito? Il senso della vita, la ragione per cui io esisto, se non è il destino, se non è l’ideale («tu sol - pensando - o ideal sei vero» scriveva Carducci), per cui vale la pena di spendere la vita, se non è questo, che cos’è? È la mia potenza. È la questione che don Giussani affronta ne La coscienza religiosa nell’uomo moderno, in cui dice che il mito dell’uomo moderno è il divo, cioè l’uomo potente. È l’uomo capace di affermare sé, l’uomo “americano”. Chi è l’uomo che emerge? Colui che fa. Colui che dimostra, non solo che può fare, ma che fa. L’uomo ricco, l’uomo forte, l’uomo intelligente, l’uomo che ha avuto successo. L’uomo che si può permettere la superficialità di non prendere in considerazione per che cosa vive. Ha così tante distrazioni, ha così tante possibilità, ha così tanti soldi che può permettersi di non pensare che cos’è al mondo a fare. E può anche permettersi di dire: ho ragione a vivere così. È inutile farsi certe domande.

IL PESO DEL LAVORO
Se tu fai l’operaio e guadagni un milione e trecentomila lire al mese a muovere la leva tutto il giorno per produrre il sacchetto di plastica, ti rompi le tasche. Se tu sei, invece, il padrone della macchina che fa il sacchetto di plastica, tu continui a farla andare. La differenza in che cosa sta? Sta nel peso, nel senso che ha il lavoro per la vita. La Compagnia delle Opere a che cosa serve? Serve a fare i soldi, serve a creare le imprese? Sì, anche, certamente, ma anche Agnelli ha fatto una grandissima impresa. Quello che caratterizza la nostra consistenza, quello per cui noi siamo insieme, certamente è l’aiuto a creare le opere, l’aiuto al lavoro, certamente è la coscienza dell’importanza del lavoro per l’uomo, ma non è innanzitutto questo.
Sono entrato nell’impresa che ha fatto mia moglie, che è un tentativo di aiutare i ragazzi più sfortunati, tra l’altro dandogli lavoro, e c’era una grande frase nell’ingresso che diceva: “Il lavoro promuove l’uomo”. Anche ad Auschwitz c’era scritto “Il lavoro rende liberi”! Non è il lavoro che promuove l’uomo, ma è il suo senso. Se non c’è il senso del lavoro, se non c’è il significato, il destino verso cui è diretta l’azione, non esiste neanche il lavoro. La realtà della Compagnia delle Opere sussiste innanzitutto per affermare questo senso: per poter vivere del proprio lavoro, che comunque bisogna fare, perché tutti gli uomini, se vogliono campare, devono lavorare: chi facendo imprese, chi facendo il dipendente, eccetera. Noi ci siamo messi insieme perché? Perché sentiamo che la nostra azione ha una direzione. È diretta a uno scopo. Per cui il nostro ruolo è l’affermazione del significato della nostra azione, della direzione al destino per cui noi agiamo. È innanzitutto questo. È questo su cui noi soprattutto dobbiamo aiutarci. Perché? Perché è questo ciò che qualifica l’opera dell’adulto. Altrimenti l’unica ragione per esistere è il successo e la benevolenza altrui. Per questo la gente corre così tanto dietro al riconoscimento degli altri. Ci corriamo dietro anche noi! Perché se l’altro ti dice che sei bravo, vuol dire che ci sei. Ci si dà da fare per essere amati, mentre la questione è che si fa perché si è amati, cioè si fa perché si sa che cosa si è al mondo a fare. E questo fa la differenza.
SENSO AL DETTAGLIO
Secondo me lo scopo fondamentale del nostro essere insieme è aiutarci nel sapere questo, che non vuol dire trascurare l’aspetto concreto, organizzativo, costruttivo, fino al minimo dettaglio, ma vuol dire che il minimo dettaglio deve essere dentro lo scopo per cui il dettaglio esiste. Questa è l’educazione che abbiamo ricevuto: sia che mangiate, sia che beviate, anche quando dormite affermate la ragione per cui esistete. Quindi tanto più nel dettaglio del lavoro, della costruzione dell’opera, nell’espressione di ciò che l’uomo fa per sé, per la sua famiglia, per i suoi figli, per il bene, per il mondo.


Una volta uno della Compagnia delle Opere è venuto a raccontarmi tutte le opere che stava facendo in una certa regione; a un certo punto io l’ho fermato e gli ho detto: «Adesso ti spiego le ricerche che io faccio in epidemiologia cardiovascolare. Lavori, no?, lavori come gli altri, magari lavori anche bene, fai anche qualche lavoro di più, fai anche delle cose che sono inaspettate, ma quello che io voglio da te è la ragione per cui le fai e come questa ragione si vede in quello che fai.

Anche Gesù faceva le opere, faceva i miracoli, ma diceva di non parlarne mai con nessuno. E quello che affermava era lui stesso come senso della vita propria e altrui. Per questo l’hanno messo in croce, non perché ha fatto i miracoli. L’hanno messo in croce perché lui affermava sé come senso.

Il problema della vita è il suo significato, perché è il significato che sfida il potere. Il potere fa guerra sul significato delle cose. Sulla sua esistenza o non esistenza, sul fatto che sia rosso piuttosto che bianco, sul fatto che sia nero piuttosto che verde.
Nel consiglio di una grossa banca c’è un nostro amico. Perché sugli altri membri nessuno fa storie, mentre su lui sì? Perché il nostro amico rappresenta un significato, una visione della vita. E questo lo capiscono benissimo, tanto è vero che il problema è ridurre questa visione della vita, cioè farlo sembrare affarista, e affarista di basso livello come gli altri. E se uno non porta più un senso diverso della vita, è esattamente come gli altri, anzi meno, perché combina di meno. È più poveretto. Questo è il livello dello scontro: non si può servire Dio e “mammona”. Perché mettere Dio come centro dell’esistenza vuol dire sfidare la società che non ha più Dio, cioè sfidare una società dove l’unica cosa che vale è l’arbitrio.

COMANDA CHI VINCE
Don Giussani ha scritto l’articolo di Natale sulla pace. Perché? Perché ha la sensazione di una società violenta. E perché questa società è violenta? Perché l’unica cosa che vale è l’arbitrio. L’unica cosa che vale è chi vince. Infatti se non c’è senso, chi comanda? Chi vince. Se c’è senso, invece, anche chi vince deve stare sotto al senso. Per questo non possiamo illuderci che ci approveranno, che ci vorranno bene. Siamo come tutti gli altri - ricordate la lettera a Diogneto? -, ma non siamo dei loro. E questa cosa lascerà sempre nei nostri confronti una grande inquietudine. Per grazia di Dio. E spero che la lasci anche dentro di noi, perché la “guerra” è su questo, non è su altro. E con le nostre operette, le nostre imprese, le nostre cose noi stiamo facendo questa grande, enorme e fantastica guerra per l’ideale, l’unica ragione per cui la vita vale la pena di essere vissuta. Quello che noi viviamo rende la nostra vita più corrispondente al destino che cerchiamo. Ed è questo che noi dobbiamo fare vedere, documentare: libertà, apertura, valorizzazione; libertà con cui vivi rispetto ai soldi, apertura che hai rispetto al bisogno che vedi, valorizzazione di chi incontri. Come faremo a cambiare la società, se non avremo questa attenzione, questa percezione per la persona? E per cosa tanti tra noi costruiscono opere, se non per questo? Per cosa diventiamo più ricchi, più capaci? Perché siamo contenti di vivere? Siamo contenti di vivere perché sappiamo qual è il significato della vita. Altrimenti quando le cose vanno male, che cosa siamo al mondo a fare? Quando le cose non vanno come ci si aspetta, dov’è la speranza che portiamo?
Il movimento, secondo me, non è una serie di persone fatte con gli stampini, che si alzano la mattina, dicono le Lodi, a mezzogiorno si fermano e dicono l’Angelus, alla sera dicono i Vespri, poi fanno mezz’oretta di Scuola di comunità, dopo si ritrovano nella Fraternità, tre volte alla settimana, poi sorridono sempre e fanno tanti bambini. Il movimento è l’uomo che cerca la ragione del vivere. E per questo noi partiamo da un’ipotesi esplicita, che è quella di Cristo. Il movimento sono io. Io. Cioè questa ricerca del motivo del vivere sono io. Io.

Se dovessi dare una risposta a qual è il nostro ruolo e quale giudizio diamo della nostra presenza, direi che il nostro ruolo è di creare un contesto che aiuti il più possibile gli uomini che ne fanno, farsi la domanda, in ciò che fanno, a riguardo della ragione per cui lavorano e vivono.

A Bottle and Work
For work to exist, it has to have a meaning. The same is true for businesses, whether big or small. We are together to live and testify to the meaning of everything. The beginning of a struggle in the world. Reflections about adults at work
BY Giancarlo Cesana
At a recent Executive Meeting of the Fraternity of Communion and Liberation, Father Giussani made this observation: this bottle does not exist just because I see it and touch it. The fact that I see it and touch it is not sufficient to confirm to me that it exists. For it to exist, this bottle has to have a meaning. That is, it has to have a relationship with me, with everything that exists; that is to say, it is necessary for this bottle to be inside the overall structure of the universe. If something has no meaning, then it is no longer necessary—whether it is there or not is basically the same thing. And what is more, I could begin to doubt that my perception itself of a thing that is not necessary might be an illusion. And he added that intellectuals have taken away the meaning of bottles, glasses, tables, everything. The meaning of things is commonly called God. If this is taken away, then we are no longer sure of anything, we are no longer sure about the existence of things and their value for man’s life. We are no longer sure about why we have to struggle for them. We are no longer sure about ourselves. For our work to exist, for the work of our hands to exist, it is not only necessary to produce, make money, demonstrate our efficiency, but it is necessary for this work to have a meaning. In other words, it is necessary for it to be directed toward, precisely, what is called God, destiny. If it does not have this direction, work loses its consistency, at least for the less fortunate. Why and how has the problem of meaning that the intellectuals have taken away from us been replaced? The meaning of life, the reason I exist, if it is not destiny, if it is not the ideal (“Ideal–thinks he–thou alone are true,” wrote Carducci), for which it is worth spending my life, if it is not this, what is it? It is my power. This is the question that Father Giussani treats in The Religious Conscience in Modern Man, where he says that the myth of modern man is the star, that is, the powerful man. It is the man capable of self-affirmation, the “American” man. Who is the man who stands out? The one who does things. The one who demonstrates not only that he can do, but does do. The rich man, the strong man, the intelligent man, the man who has achieved success. The man who can afford the superficiality of not taking into consideration what he is living for. He has so many distractions, so many possibilities, so much money that he can afford not to think about what he is in the world to do. And he can also afford to say, “I am right to live this way. It’s a waste of time to ask yourself certain questions.”
The weight of work
If you are a worker earning a low salary pulling a lever all day long to produce a plastic bag, you will get fed up fast. But if, instead, you are the owner of the machine making the plastic bag, you keep it running. Where does the difference lie? It lies in the weight, in the meaning that work has in your life. What is the use of the Companionship of Works? [Companionship of Works is an association of for-profit and non-profit corporations whose purpose is to promote the concept of work in light of the social doctrine of the Church.] Is it for making money, is it for creating businesses? Yes, certainly, but not only. What characterizes our consistency, the reason we come and stay together, is certainly help in creating enterprises, help in our work, certainly it is the consciousness of the importance of work for man, but it is not primarily this. I went into the company that my wife started, which is an attempt to help less fortunate kids, among other things by finding them jobs, and there was a big sign near the entrance that said, “Work promotes man.” Over the front gate at Auschwitz, too, was written, “Work makes men free”! It is not work that promotes man, but its meaning. If there is no meaning to work, if there is no significance, no destiny toward which the action is pointed, then even work does not exist. The reality of the Companionship of Works exists above all to affirm this meaning: to be able to live by one’s work, which one has to do in any case because everyone has to work if they want to survive (some by setting up businesses, some by being employees, etc.). Why have we come together? Because we feel that our action has a direction. It is directed toward a purpose. So our role is the affirmation of meaning of our action, of its direction toward the destiny for which we act. It is this above all. This is where we must help each other above all. Why? Because this is what distinguishes the work of an adult. Otherwise, the only reason for living is success and the good opinion of others. This is why people chase so much after recognition from others. We chase after it ourselves too! This is because if someone says you are good at something, it means that you are there. We work hard at being loved, when the real question is what we do because we are loved, because we know what we are in the world to do. And this is what makes the difference.
In my opinion, the fundamental purpose of our being together is to help each other to know this, which does not mean neglecting the concrete, organizational, constructive aspects, down to the smallest detail, but it means that the smallest detail must be part of the purpose for which the detail exists. The education we have received is this: when you are eating and drinking and even when you are sleeping you affirm the reason for your existence. Thus, one affirms even more in the details of his work, of what he is building, in the expression of what he does for himself, for his family, for his children, for good, for the world. Once, someone from the Companionship of Works came to tell me about all the works he was doing in a certain region. At a certain point I stopped him and said, “Now I will explain to you the research I am doing in cardiovascular epidemiology. You are working, aren’t you? You work just like others do, maybe you’re very good at your work, you may do extra, you may even do things that are unexpected, but what I want from you is the reason you are doing these things, and how this reason can be seen in what you do.” Jesus, too, did works. He performed miracles, but He told people never to talk about them with anyone. And what He was affirming was Himself as the meaning of His own life and others’ lives. This is why they put Him on the cross–not because He performed miracles. They put Him on the cross because He affirmed Himself as the meaning. The problem of life is its meaning, because it is meaning that challenges power. Power wages war on the meaning of things, on a thing’s existence or non-existence, on the fact that it is red rather than white, that it is black rather than green. One of our friends sits on the board of a big bank. Why does no one make a fuss about the other members, but they do about him? Because our friend represents a meaning, a vision of life. And people understand this very well, and in fact the problem is to reduce this vision of life, that is, to make it seem profiteering, and a low kind of profiteering like that of the others. And if one no longer bears a different meaning for his life, he is exactly like the others–rather, he is even less, because he gets less done. He is a poorer person. This is the level of the challenge: one cannot serve God and Mammon. Putting God at the center of one’s life means challenging the society that no longer has God, that is, challenging a society where the only thing that has value is free will.
The one who wins is the one in charge
Father Giussani wrote his Christmas article about peace. Why? Because he has the impression of a violent society. And why is this society violent? Because the only thing that has value is arbitrariness. The only thing that matters is who wins. Indeed, if there is no meaning, who is in charge? The one who wins. If there is a meaning, instead, even the one who wins has to be subject to this meaning. For this reason, we cannot delude ourselves in thinking that people will approve of us, that they will wish us well. We are like all the others–remember the Letter to Diognetus?–but we do not belong to them. And this fact will always make people feel very uneasy about us. Thanks be to God. And I hope that we too will feel uneasy for this same reason, because the “war” is over this, it is not over anything else. And with our little works, our businesses, the things we do, we are fighting this great, enormous, fantastic war for the ideal, the only reason for which life is worth living. What we are living makes our life correspond more to the destiny we are seeking. And this is what we must show and prove: freedom, openness, prizing; how free your life is in relationship with money, how open you are to the need you see, the way you prize anyone you encounter. How will we be able to change society if we do not have this attention to the person, this perceptiveness about him? And why do so many of us build works, if not for this? Why do we grow richer, more capable? Because we are happy to be alive? We are happy to be alive because we know what the meaning of life is. Otherwise, when things go badly, why are we in the world? When things don’t go as we expect, where is the hope we bear within us?
The Movement, in my opinion, is not a series of persons made from the same mold, who get up every morning, recite Lauds, stop at noon to recite the Angelus, say Vespers in the evening, then do half an hour of School of Community, then meet with the Fraternity three times a week, and smile a lot and have lots of children. The Movement is the man who is seeking the reason for living. This is why we start from an explicit hypothesis, which is the hypothesis of Christ. The Movement is I. I. That is, this search for the reason for living is I. I.
If I had to give an answer to the question as to what our role is and what judgment we can give about our presence, I would say that our role is to create a context that helps (as much as possible) the people who are part of it to ask themselves the question, in what they are doing, about the reason why they are living and working.


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