giovedì 26 aprile 2007

LETTURE MATTUTINE




All interno trovate vari articoli




DON PONTIGGIA
21.04.07
MONTERICCO IMOLA

My father sings to me

D.G.:Non c’è nessuna differenza tra me e voi come persona. Ci troviamo a questo mondo con dentro una domanda: perché? Ci sono nella vita momenti in cui è sollecitato di più! Perché abbiamo questa domanda? Noi siamo una speranza, una promessa, un seme! Siamo dei mendicanti, né barbari né scemi, coscienti di essere una promessa. C’è differenza tra mendicante e povero. I poveri sono borghesi, si umiliano per avere qualcosa che vogliono loro, non venivano a mangiare a casa mia quando li invitavo. Il mendicante non ha niente e cerca veramente! Uno così se trova qualcosa di interessante ci sta, lo prende sul serio. L’uomo è un mendicante rispetto alla promessa che è. Altrimenti sognerete il domani e quando sarà l’oggi vi deluderà. Qui sono in gioco io!
Greta : in effetti io aspetto l’università e nel frattempo non vivo.
D.G.: è pericoloso perché aspetti sempre qualcos’altro. Buzzati, un ateo col denso del mistero ne “Il deserto dei Tartari” racconta di un soldato che scappa perché stanco di aspettare un nemico che non arriva mai. Vuole raggiungere il mare. Incontra paesi dove gli fanno una gran festa, e tutti gli dicevano: va avanti! Perché sarà più bello. E ogni volta era come il chiudersi di un cancello. Va avanti ma la gente cala e il più bello è già passato. Si addormenta sfinito sulla spiaggia. Il mondo oggi (voglia Dio che non sia tuo padre madre o morosa) dice avanti! E poi ti diranno: il bello è già passato! La speranza non è qualcosa che deve avvenire nel futuro, nell’immaginazione, ma qualcosa che intuisco nel presente e che potrà dilatarsi. La speranza è una certezza nel presente, e il tempo la cresce. Altrimenti è la fuga dal presente. Un ragazzo con un tumore in operabile al cervello ha voluto fare la Via Crucis “per accettare la mia croce!” con una letizia, una certezza…in un modo misterioso realizzatore di questa speranza. Ricopriva i libri “voglio fare la maturità!”
Il sacrificio ha senso per qualcosa di presente e così la speranza se non è legata al presente è un sogno. “qualcosa che deve venire, compiersi, ma connessa col presente” (Giuss). Ti aiuterà a rischiare di più per qualcosa che riconosci vero adesso! Uno canta la mia esistenza, la mia salvezza. Ciò rende possibile le mia meta. Riconoscere possibile questo è l’inizio del cammino.
Il medico che mi ha tolto il pancreas, ateo, mi ha detto che adesso avevo una spada di Damocle sulla testa e io: è sicuro in modo assoluto che uscendo non le piova una tegola sulla testa? Tutti e due abbiamo questa spada, solo che io ne sono cosciente e lei no. Appoggiato ad una certezza che non c’è.
Devo prendere sul serio la mia vita! Uno passa la vita… e invece devi lasciarti provocare dal Presente, prenditi sul serio, mettiti in gioco! Sennò basta farsi qualche pera o qualche spinello e sempre di più perché durano sempre meno.
Benedetto, Imola: facendo sdc sento che Giussani legge i miei problemi, ma poi non lo vivo. Solo l’ultima volta quando dice che uno se è veramente impegnato con le proprie esperienze vive quelle di tutti……..
D.G.: se vuoi vivere la sdc non devi partire da quella, ma dalle tue esigenze! Allora scopri che sei impotente. L’esempio di Giuss: tu sei in crociera con gli amici per divertirti e tutto è vissuto in maniera superficiale, poi la nave affonda e ti trovi sulla scialuppa con i tuoi compagni. Qual è la differenza con cui vi guardate? Che lì predomina il tuo bisogno, non la voglia di divertirsi.la compagnia che non nasce da una percezione d’impotenza strumentalizza l’altro e si fa strumentalizzare. Mentre lì se trovi uno che ha più coscienza di te (il nostromo) gli vai dietro.
Le prostitute e i pubblicani vi precederanno nel regno dei cieli (capiranno di più!) di voi ricchi. Se non parti dall’esigenza, (il cieco nato, il ladrone) e non devi censurarla (rimandarla a domani sarà peggio perché avrai un giorno in meno da vivere). Così l’amicizia diventa vera perché è questione di vita o di morte. L’amico vero è quello di cui non puoi fare a meno! Non quello che ti aiuta. Senza di lui sarei meno me stesso. Ma lo riconosci solo se hai bisogno. Lasciarsi sfidare!
Non chiedere a Dio quello che hai in mente tu, il cieco è partito dal fatto che non ci vedeva e quindi ha cercato Gesù. Vedere se ai problemi che abbiamo può rispondere Gesù. Dio si manifesta come capacità di rispondere, non di illusione.
Nel libro “La carne paziente” si parla di un cane a cui si dà sempre un osso per tenerlo buono, ma l’osso lo rende più cattivo, allora glielo si dà con un po’ di ciccia attorno, così si dimentica di tutto (così oggi il potere fa con noi).
Il tempo è la forma con cui Dio realizza la promessa che siamo, Il Seme. Il tempo è parte del seme, è la dinamica del seme! Senza il tempo non è più seme
A questa età siete ormai degli uomini: da piccoli eravate stupidi, ma il tempo…e questo seme deve morire, così poi accadono tante cose. Un tempo sarete alberi così rigogliosi che gli uccelli del cielo si poseranno su di voi. La debolezza è lo svolgersi del tempo, non spaventatevi! Gesù non chiederà cose di cui non siete capaci.

Il Vaticano: «Eutanasia e aborto sono terrorismo dal volto umano»
Di Andrea Tornelli
Il Giornale
24 Aprile 2007
C'è il terrorismo dei kamikaze ma c'è anche il cosiddetto «terrorismo dal volto umano», anch'esso «ripugnante», che cerca di giustificare con l'espressione «interruzione di gravidanza» l'uccisione di un essere umano. Le cliniche abortiste sono «autentici mattatoi di esseri umani» e nell'elenco delle moderne espressioni del male non ci sono solo le sette sataniche ma anche i parlamenti delle nazioni che «promulgano leggi contrarie all'essere umano».
Sono parole molto forti quelle che ha pronunciato ieri mattina monsignore Angelo Amato, segretario della Congregazione per la dottrina della fede, in occasione del seminario mondiale dei cappellani dell'Aviazione civile, promosso dal Pontificio consiglio per i migranti. Brani della relazione dell'arcivescovo, dedicata a «riflessioni filosofiche e teologiche» sul problema del male, sono stati resi noti dal Sir, l'agenzia dei settimanali cattolici.
«Leggendo i giornali - o utilizzando internet, la tv o la radio - ogni giorno assistiamo a un film perverso sul male - ha detto Amato - che viene "girato" in ogni parte del mondo con sceneggiature sempre nuove e crudeli, come constatiamo dalle mille provocazioni del terrorismo internazionale». Per il segretario dell'exSant'Uffizio, alla «razione giornaliera» di male si aggiunge il male che resta «quasi invisibile» ma che «esiste nelle sedi più impensate e che, paradossalmente, viene presentato come bene», come espressione del «progresso dell'umanità». L'arcivescovo cita a questo riguardo le cliniche abortiste, definendole «autentici mattatoi di esseri umani in boccio», ma anche i laboratori dove si «fabbrica» ad esempio la pillola abortiva Ru 486, o dove «si manipolano gli embrioni umani». Nell'elenco figurano poi i parlamenti delle cosiddette nazioni «civili» dove si «promulgano leggi contrarie all'essere umano». A questo, ha spiegato monsignor Amato, si aggiungono le cosiddette sette sataniche che praticano «un vero e proprio culto sacrilego del male».
«Oltre all'abominevole terrorismo dei kamikaze, che occupa quotidianamente la nostra cineteca mediatica - ha detto ancora l'arcivescovo - c'è il cosiddetto "terrorismo dal volto umano", anch'esso quotidiano e altrettanto ripugnante, che viene subdolamente propagandato dai mezzi di comunicazione sociale, manipolando ad arte il linguaggio tradizionale, con espressioni che nascondono la tragica realtà dei fatti», come quando l'aborto viene chiamato «interruzione volontaria della gravidanza e non uccisione di un essere umano indifeso» o quando l'eutanasia viene chiamata «più blandamente morte con dignità». Il male oggi ha detto ancora Amato «non è solo azione di singoli o di gruppi ben individuabili, ma proviene da centrali oscure, da laboratori di opinioni false, da potenze anonime che martellano le nostre menti con messaggi falsi, giudicando ridicolo e retrogrado un comportamento conforme al Vangelo». «Purtroppo - ha concluso - non possiamo chiudere le biblioteche del male né distruggere le sue cineteche che si riproducono come virus letali» ma possiamo chiedere a Dio di «rafforzarci, mediante la formazione di una retta coscienza che cerca e ama il vero e il bene ed evita il male».



L'ultima dalla Turco: trans a spese dello Stato di ANTONIO SOCCI

Cambiare sesso (e pure farsi i seni nuovi per i transessuali) a carico dello Stato? La notizia può provocare sconcerto nel popolo dei tartassati e avvilimento in quel 50 per cento di famiglie italiane sotto 1.800 euro di reddito mensile che devono talora pagarsi medicine costose ed importanti (l'esausto Servizio sanitario nazionale non copre certe cure o pretende pesanti ticket). Ma questa "conquista" dei "trans genere" può far esplodere (...) (...) anche una colossale contraddizione ideologica per il movimento gay, finendo per codificare addirittura nella giurisprudenza l'idea che l'omosessualità sia una patologia bisognosa di cure sanitarie, tesi contro cui si sono sempre battuti strenuamente. Facciamo un passo indietro. Giorni fa l'on. Luxuria ha annunciato di essersi rifatta un seno nuovo. E ha dichiarato: «Si tratta di un adeguamento di genere. Adeguo la mia esteriorità alla mia interiorità. Nel progetto di legge che sarà presentato a breve reputo che il Servizio sanitario nazionale dovrebbe sostenere quegli interventi cosiddetti di adeguamento di genere. Perché, secondo la Costituzione, nel concetto di salute deve rientrare non solo il fattore fisico, ma anche la salute psichica». Dalla parlamentare di Rifondazione scopriamo che in realtà già oggi «la legge 164 del 1982 prevede l'assistenza a carico dello Stato per il cambiamento dei genitali». E che «alcune regioni come la Toscana e l'Emilia Romagna» fanno anche di più, perché «provvedono per il dosaggio ormonale». Però sembra che per i «tratti sessuali secondari» (come i seni) oggi non siano previsti rimborsi. Luxuria non ha ancora presentato questo suo disegno di legge, ma con accorata tempestività - sempre sul Corriere della sera - il ministro della Salute Livia Turco subito si accoda all'idea: «Non ci trovo niente di scandaloso... Credo che il nostro sistema sanitario debba fare uno sforzo». Diritti e patologie
Tutto questo zelo solleva diverse domande. Luxuria pretende «maggiore assistenza» dicendo «ci deve essere permesso di realizzare l'armonia fra fisico e spirito... Abbiamo diritto alla salute psicofisica». Ma quando si parla di «salute» e di rimborso del Servizio sanitario nazionale inevitabilmente si parla di patologie. E non è il movimento gay che ha sempre "fulminato" chi parlava dell'omosessualità come patologia? Solo un mese fa in tv è andato in onda uno scontro epico fra l'on. Binetti della Margherita e Franco Grillini, Ds dell'Arcigay (che oggi peraltro si trovano nello stesso Partito Democratico). La Binetti, che è neuropsichiatria, interpellata sulla natura dell'omosessualità dichiarò che «è una devianza della personalità». Grillini insorse, sparando a zero su di lei e sulla Chiesa, e affermò: «Tu sovrapponi la religione alla scienza. Usi del ciarpame scientifico per sostenere una posizione razzista». Qualche organizzazione lanciò addirittura l'iniziativa di querelare la Binetti. Del resto una vittoria storica del movi- mento gay è stata la cancellazione da parte dell'Apa - dell'omosessualità dal manuale diagnostico, il Dsm e di conseguenza la stessa cancellazione, nel 1991, da parte dell'Organizzazione mondiale della Sanità dal suo manuale, l'Icd. Ma allora perché lo Stato oggi paga con i nostri contributi sanitari le prestazioni chirurgiche per cambiare sesso? In questo caso si tratta di una patologia o no? Il ministro Turco contesta che ad autorizzare «il cambiamento di genere debba essere un tribunale anziché un'équipe medica». Ma se il problema è di competenza medica, non è forse una patologia? Le regioni Toscana ed Emilia Romagna - definite sul Corriere da Margherita De Bac - «le più evolute e aperte nei confronti di pazienti così speciali» si accollano anche i costi del dosaggio ormonale, parallelo all'operazione chirurgica. Nella delibera della Giunta Regionale toscana per giustificare questo intervento del Servizio sanitario regionale si parla del «transessualismo» come «disturbo dell'identità di genere» che è «una forma di profondo malessere che necessita delle cure adeguate». Dunque si tratta di cure mediche che vanno a carico del servizio sanitario. Non so se questa Regione è al- trettanto sollecita verso tutte le patologie. Per esempio Anna Maria Celesti, di Forza Italia protestò a nome dei «pazienti affetti in Toscana da malattie rare o rarissime che non vedendosi riconosciuta la malattia stessa pagano di tasca propria la maggior parte dei farmaci necessari». Ma resta il fatto che la Regione ritiene il «transessualismo» un «disturbo dell'identità di genere» che «necessita di cure». Se si va sul sito del quotidiano telematico della Regione Toscana, "Prima pagina", in data 8 giugno 2006, si può leggere un articolo che recita: «Farmaci gratis per chi vuole cambiare sesso. La Toscana per scrivere la delibera ha seguito i principi usati per l'assistenza a chi è affetto da patologie e disturbi rari». Il governo regionale parla di Seni nuovi per tutti «assistenza» e di «persone che hanno diritto alla cura al pari di tutti i cittadini». Si tratta quindi di patologie, disturbi, malessere, assistenza e cura. E nessun rappresentante dei gruppi gay ha protestato. Anzi, la delibera ebbe il plauso entusiasta di Vladimir Luxuria. Ma perché si può parlare di «patologia» e «disturbo» quando si deve giustificare il rimborso del servizio sanitario, mentre non è permesso discutendo di omosessualità e transessualità? È contraddittorio. Anche sulle «terapie" c'è una clamorosa contraddizione: adeguare il corpo alla psiche (a spese dello Stato) è ritenuto giusto, mentre armonizzare la psiche al corpo (a spese proprie) tornando eterosessuali viene condannato. Infatti proteste e articoli di fuoco sono piovuti su chi ha osato parlare dei casi di persone omosessuali che tornano all'eterosessualità grazie alla "terapia riparativa" realizzata da psicoterapeuti. Questa «cura» dell'omosessualità - che pure è un fatto - viene fulminata da giornali e gruppi gay come omofobica, perché equiparerebbe l'omosessualità a una malattia. E le cure pagate dal sistema sanitario per cambiare sesso no? Si ha la sensazione che in tutto questo vi sia un alto tasso di ideologizzazione (hanno diritto al rispetto come gli altri anche le persone omosessuali che scelgono la terapia riparativa. Il diritto alla «salute psichica» invocato da Vladimir Luxuria vale anche per loro che oltetutto tornano eterosessuali a spese loro). Resta la proposta dei "seni di stato". Vladimir Luxuria parla - anche per quelli - di «salute psicofisica» e di «armonia fra fisico e spirito». Ma non si capisce perché dovrebbe essere il Servizio sanitario a pagare questi interventi. La non accettazione di certi aspetti del proprio corpo esiste - e ampiamente - anche per i tanti eterosessuali che si vedono brutti o vivono profonde sofferenze per questo o quel difetto fisico. Perché il servizio sanitario non dovrebbe rimborsare anche i loro interventi di lifting a tutela della loro «salute psicofisica» ? Perché l'on. Luxuria non propone di concedere a chiunque il «lifting gratis» per «apparire giovani e belli» ? Se omosessualità ed eterosessualità si equivalgono e sono egualmente «normali» - secondo i gruppi gay e la cultura dominante -come si giustificherebbe un disegno di legge che ponesse a carico dello Stato il "seno nuovo" di chi vuol cambiare sesso, mentre non riconoscesse questo stesso rimborso a una donna che volesse rifarsi il seno o a un uomo eterosessuale che chiedesse altri tipi di interventi? Non si rischia una discriminazione a rovescio, cioè ai danni degli eterosessuali ? www.antoniosocci.itALLEGRIA Rimborsi per i trans che si operano? Dopo l'appello di Luxuria, il ministro Turco ha risposto favorevolmente: lo Stato si sforzi per garantirli anche a loro Olycom


IL PAPA PELLEGRINO DAL SANTO “PECCATORE”
Da “Libero”, 21 aprile 2007di Antonio SocciAgostino, studente a Cartagine, a 17 anni inizia a convivere – una “coppia di fatto” – con una giovane nordafricana che amerà per 14 anni avendo da lei anche un figlio (all’età di 18 anni). Chi è questo giovane “avventuriero” che in pochi anni diventa uno degli intellettuali più brillanti di Roma e di Milano? Si tratta di Agostino d’Ippona, colui che – convertendosi a 32 anni - diventerà uno dei più grandi santi della storia della Chiesa, il più grande fra i padri e dottori della Chiesa, colui alla cui tomba, a Pavia, Benedetto XVI oggi va a in pellegrinaggio (Ratzinger si laureò con una tesi su di lui e ha sempre considerato Agostino come il suo maestro). Giuliano Vigini nel libro “Sant’Agostino”, che ha la prefazione proprio di Joseph Ratzinger, scrive che quella “unione di fatto ottiene il risultato di porre un freno al dilagare delle passioni amorose di Agostino e diventa un elemento equilibratore nella sua vita affettiva”. Nel 1998 il senatore Andreotti, presentando con il cardinal Ratzinger un libro sull’attualità di sant’Agostino, disse: “Mi ha colpito una cosa leggendo l’Enciclopedia Cattolica: laddove si parla di Sant’Agostino si dice testualmente che, quando andò a Cartagine, questo giovane diciassettenne ‘si piegava a una certa regola, unendosi senza matrimonio, con una grande fedeltà, alla donna madre del suo figlio’ ”. E’ il caso di ricordare che l’Enciclopedia Cattolica è un’opera assolutamente ortodossa, addirittura emblematica del pontificato di Pio XII. Quelle considerazioni la dicono lunga sulla saggezza della Chiesa che non è per niente impaurita dalla vita e dall’umano (come oggi caricaturalmente la si vuol rappresentare) e sa cosa è l’uomo senza la Grazia di Cristo. In una delle sue prime interviste da papa, Benedetto XVI disse: “il cristianesimo, non è un cumulo di proibizioni, ma una opzione positiva…questa consapevolezza oggi è quasi completamente scomparsa”. Insomma la Chiesa è una possibilità di vita più umana, più appassionante e felice di qualunque esistenza senza Cristo. Come scoprì e poi proclamò Agostino che, pur essendosi convertito giovane, a 32 anni, prima aveva sperimentato – scrive il Papa - “quasi tutte le possibilità dell’esistenza umana… Il suo temperamento passionale” ricorda Ratzinger “gli fece imboccare numerose strade”. Ma di fronte a tutte le “avventure” che precedono il battesimo, Ratzinger non mette affatto la sordina, né le derubrica a errori su cui stendere un pietoso velo. Al contrario nella prefazione al libro di Vigini, per spiegare la grandezza dell’opera teologica di Agostino, l’attuale Papa scrive che “la sua teologia (di Agostino) non nacque a tavolino, ma venne sofferta e maturata nell’odissea della sua vita”. Aggiunge perfino che “non sono le teorie bensì le persone quelle che rendono credibile un modo di vivere” e Agostino “è così umano, così credibile proprio perché la sua vita non ebbe un andamento lineare e le sue risposte non furono solo teorie”. Ma come possono il Papa e la Chiesa indicare come esempio un uomo che ha percorso tante vie di peccato? Quello che in realtà indicano come esempio è il suo desiderio inappagato di verità e felicità. Perché - spiega Ratzinger – Agostino fu sempre leale col suo cuore e non si accontentò mai di “felicità” fittizie, finché non gli si rivelò la vera Felicità (ed era Gesù Cristo stesso). “Solo questo egli non poté e non volle mai” scrive Ratzinger “accontentarsi di una normale esistenza piccolo-borghese. La ricerca della verità bruciava in lui con troppa passione perché egli potesse accontentarsi di spendere la vita in modo convenzionale”. In effetti Agostino riconosceva (anche per tutte le sue peripezie intellettuali oltreché esistenziali) cos’era la vita in se stessa: “tutto quello su cui posavo lo sguardo era morte… Ero infelice, in un profondissimo tedio della vita e la paura della morte… Io costituivo per me stesso un luogo desolato, dove non potevo stare e da cui non potevo fuggire. Non c’era sollievo né respiro in nessun luogo”. Da questo “nulla” – come racconta nelle Confessioni – fu portato alla vita vera attraverso una serie di incontri decisivi a Milano con persone innamorate di Cristo: con Ambrogio, con Simpliciano e una quantità di giovani che – perfino in accordo con le ex fidanzate – decidevano di scegliere la castità e la vita in comunità come gli apostoli (era il primo monachesimo). E’ lì che Agostino sente l’attrattiva di Gesù più forte dei piaceri carnali “perché ci hai fatti per te e il nostro cuore è inquieto finché non riposi in te”. Così esplode in un nuovo sorprendente impeto di adesione: “mi avevi infatti così convertito a Te, che io non pensavo più a cercarmi una moglie”. Quindi “fummo battezzati” (lui, con il figlio e gli amici) “e si dileguò da noi l’inquietiudine della vita passata. Tu, che fai abitare in una casa i cuori umani, il Tuo perdono sprona il cuore a non assopirsi nella disperazione, a non dire ‘non posso’, a vegliare invece nell’amore, investito dalla Tua misericordia, forza di me debole”. La figura di Agostino è straordinariamente moderna. Su di lui esce in media nel mondo un libro al giorno. La sua riscoperta nella Chiesa, grazie a Benedetto XVI, potrà avere effetti straordinari. In che direzione? Nella “Sacramentum caritatis” il Papa ha scritto: “Con acuta conoscenza della realtà umana, sant'Agostino ha messo in evidenza come l'uomo si muova spontaneamente, e non per costrizione, quando si trova in relazione con ciò che lo attrae e suscita in lui desiderio”. E’ un cambiamento di mentalità che Ratzinger da tempo chiede ai cattolici e che potrebbe trasformare la percezione che i moderni hanno della Chiesa. Don Giacomo Tantardini, che all’Università di Padova da ben dieci anni tiene un ciclo di lezioni sulla figura e l’opera di Agostino, ha indicato quella frase del papa come decisiva: “il tempo della Chiesa è caratterizzato proprio da questa dinamica: l’incontro con un’attrattiva presente che corrisponde al desiderio dell’uomo”. In particolare “sant’Agostino arriva a dire, seguendo san Paolo, che tutta la dottrina cristiana senza la delectatio e la dilectio, senza l’attrattiva amorosa della grazia, è lettera che uccide. Non è la cultura, neppure la dottrina cristiana, che può stabilire un rapporto con un uomo per il quale il cristianesimo è un passato che non lo riguarda. È qualcosa che viene prima della cultura. Questo qualcosa che viene prima sant’Agostino lo chiama delectatio e dilectio, cioè l’attrattiva amorosa della grazia… Questo diletto, questa felicità è il motivo e la ragione per cui si diventa e si rimane cristiani”. Queste lezioni di Tantardini sono raccolte adesso in libro, “Il cuore e la grazia in S.Agostino” (Città nuova) che sarà presentato il 27 novembre prossimo a Padova dal patriarca di Venezia Angelo Scola, personalità molto rappresentativa della Chiesa di Benedetto XVI. Esse “costituiscono un ‘caso’ di grande interesse culturale” secondo l’agostiniano Nello Cipriani. “L’idea che si diventa e si rimane cristiani perché si prova un piacere nell’aderire a Gesù Cristo non è solo di Agostino ma anche di don Giussani, autore di un libro intitolato ‘L’attrattiva Gesù’. Io credo che don Giacomo Tantardini” scrive Cipriani “abbia colto la profonda consonanza esistente tra l’esperienza cristiana vissuta e proposta tanti secoli fa da sant’Agostino e quella proposta oggi da don Giussani”. Le sue pagine aiutano “gli ascoltatori e i lettori a scoprire o a riscoprire la bellezza e la gioia di un’autentica esperienza cristiana, che, al di là delle dottrine teologiche e dei riti religiosi, è soprattutto un incontro personale con Cristo, che, sempre vivo e presente, è capace ancora oggi di suscitare una profonda attrattiva nel cuore dell’uomo”. E’ questo che Benedetto XVI annuncia a tutti.
VISITA DI SUA SANTITÀ BENEDETTO XVI
A VIGEVANO E PAVIA (21-22 APRILE 2007) , 21.04.2007

Alle 15.30 di oggi il Santo Padre Benedetto XVI parte in aereo dall’aeroporto di Ciampino (Roma) per la Visita Pastorale a Vigevano e Pavia.Dopo lo scalo tecnico a Milano-Linate, l’arrivo in elicottero allo stadio "Dante Merlo" di Vigevano, dove sono riuniti i ragazzi delle Scuole e delle Società sportive locali, è previsto per le ore 16.50.Quindi, dopo l’accoglienza delle Autorità politiche, civili ed ecclesiastiche, il Santo Padre si trasferisce in "papamobile" al centro della città. Lungo il tragitto, il corteo passa davanti al Monastero di clausura delle Adoratrici Perpetue del Santissimo Sacramento che salutano il Papa dal sagrato della chiesa.Alle 17.15 il Santo Padre arriva in Vescovado e dal balcone centrale si affaccia su Piazza Sant’Ambrogio dove sono presenti i Giovani e gli Ammalati.Qui, introdotto dall’indirizzo di omaggio del Sindaco di Vigevano, Prof. Ambrogio Cotta Ramusino, il Santo Padre Benedetto XVI pronuncia le parole di saluto che riportiamo di seguito:
SALUTO DEL SANTO PADRE
Cari fratelli e sorelle,
sono lieto di trovarmi tra voi, e vi ringrazio per la vostra cordiale e festosa accoglienza. Scendendo dall’elicottero, quasi ho udito l’eco delle campane di tutte le chiese della Diocesi che a mezzogiorno hanno suonato a festa per rivolgermi un corale saluto. Vi sono riconoscente anche per questo gesto di affetto. Il mio primo incontro è stato con i ragazzi delle scuole e delle società sportive, venuti ad accogliermi nello stadio comunale. Lungo il percorso, poi, ho visto tanta gente. Grazie a tutti e a ciascuno. Qui a Vigevano, l’unica Diocesi della Lombardia non visitata dal mio venerato Predecessore Giovanni Paolo II, ho voluto dare inizio a questo mio pellegrinaggio pastorale in Italia. Così, è come se riprendessi il cammino da lui percorso per continuare a proclamare agli uomini e alle donne dell’amata Italia l’annuncio, antico e sempre nuovo, che risuona con particolare vigore in questo tempo pasquale: Cristo è risorto! Cristo è vivo! Cristo è con noi oggi e sempre!
Saluto il Sindaco di questa Città, che ringrazio per le cortesi parole di benvenuto che mi ha indirizzato a nome della comunità civica. Un grazie di cuore esprimo a quanti hanno cooperato in diversi modi per la preparazione e la realizzazione di questa mia visita, alla quale vi siete predisposti specialmente con la preghiera. Un pensiero speciale dirigo alle Suore Adoratrici Perpetue del Santissimo Sacramento, che ho poc’anzi incontrato; la loro orante presenza costituisce per l’intera Diocesi un perenne richiamo a considerare sempre di più l’importanza dell’Eucaristia, centro e culmine della vita della Chiesa. A queste care Sorelle che hanno consacrato tutta la loro esistenza al Signore giungano il mio incoraggiamento e la mia riconoscenza. Saluto poi gli ammalati e, mentre mi rivolgo a voi qui presenti, estendo il mio pensiero a coloro che nei paesi e nelle città della Diocesi soffrono, sono in difficoltà o si ritrovano emarginati. La materna protezione della Vergine Santa sia per ciascuno sostegno e conforto nella prova.
Un saluto speciale rivolgo adesso a voi, cari giovani raccolti in questa piazza, mentre spiritualmente abbraccio tutti i giovani vigevanesi e lomellini. Cari amici, Cristo risorto rinnova a ciascuno di voi il suo invito a seguirlo. Non esitate a fidarvi di Lui: incontratelo, ascoltatelo, amatelo con tutto il vostro cuore; nell’amicizia con Lui sperimenterete la vera gioia che dà senso e valore all’esistenza.
Cari fratelli e sorelle, avrei volentieri aderito all’invito di prolungare il mio soggiorno nella vostra Diocesi, ma non mi è possibile, ed allora permettete che stringa in un grande abbraccio ogni abitante di questa Città e dei Vicariati di Mortara, Garlasco, Mede e Cava Manara. Tra poco, riuniti tutti spiritualmente attorno all’altare per la solenne Concelebrazione eucaristica, pregheremo perché il Signore risorto faccia sì che la visita del Successore di Pietro susciti in ogni membro della vostra Comunità diocesana un rinnovato fervore spirituale. Con questo augurio a tutti imparto di cuore una speciale Benedizione Apostolica.
[00569-01.02] [Testo originale: Italiano]
· CONCELEBRAZIONE EUCARISTICA NELLA PIAZZA DUCALE DI VIGEVANO
Alle ore 17.30 di questo pomeriggio, il Santo Padre presiede la Celebrazione Eucaristica nella Piazza Ducale di Vigevano insieme ai Vescovi della Lombardia e ai Sacerdoti della Diocesi.Nel corso della Santa Messa, introdotta dall’indirizzo di omaggio del Vescovo di Vigevano, S.E. Mons. Claudio Baggini, il Papa pronuncia l’omelia che riportiamo di seguito:
OMELIA DEL SANTO PADRE
"Gettate la rete… e troverete!" (Gv 21,6).
Abbiamo riascoltato queste parole di Gesù nel brano evangelico appena proclamato. Esse sono inserite nel racconto della terza apparizione del Risorto ai discepoli presso le rive del mare di Tiberiade, che narra la pesca miracolosa. Dopo lo "scandalo" della Croce essi erano tornati alla loro terra e al loro lavoro di pescatori, cioè a quelle attività che svolgevano prima di incontrare Gesù. Erano tornati alla vita di prima e questo fa intendere il clima di dispersione e di smarrimento che regnava nella loro comunità (cfr Mc 14,27; Mt 26,31). Era difficile per i discepoli comprendere ciò che era avvenuto. Ma, mentre tutto sembrava finito, di nuovo, come sulla via di Emmaus, è ancora Gesù a venire verso i suoi amici. Stavolta li incontra sul mare, luogo che richiama alla mente le difficoltà e le tribolazioni della vita; li incontra sul far del mattino, dopo un’inutile fatica durata l’intera nottata. La loro rete è vuota. In certo modo, ciò appare come il bilancio della loro esperienza con Gesù: lo avevano conosciuto, gli erano stati accanto, ed Egli aveva loro promesso tante cose. Eppure ora si ritrovavano con la rete vuota di pesci.
Ma ecco che all’alba Gesù va loro incontro; essi però non lo riconoscono subito (cfr v. 4). L’"alba" nella Bibbia indica spesso il momento di interventi straordinari di Dio. Nel Libro dell’Esodo, ad esempio, "alla veglia del mattino" il Signore interviene "dalla colonna di fuoco e di nube" per salvare il suo popolo in fuga dall’Egitto (cfr Es 14,24). Ed ancora, è sul far del giorno che Maria Maddalena e le altre donne accorse al sepolcro incontrano il Signore risorto. Anche nel brano evangelico che stiamo meditando è ormai passata la notte e ai discepoli provati dalla fatica, delusi per non aver pescato nulla, il Signore dice: "Gettate la rete dalla parte destra della barca e troverete!" (v. 6). Normalmente i pesci cadono nella rete durante la notte, quando è buio, e non di mattina, quando l’acqua è ormai trasparente. I discepoli però si fidarono di Gesù e il risultato fu una pesca miracolosamente abbondante, tanto che non riuscivano più a tirare su la rete per la grande quantità di pesci raccolti (cfr v. 6). A questo punto Giovanni, illuminato dall’amore, si rivolge a Pietro e dice: "E’ il Signore!" (v. 7). Lo sguardo perspicace del discepolo che Gesù amava – icona del credente – riconosce il Maestro presente sulla riva del lago. "E’ il Signore!": questa sua spontanea professione di fede è anche per noi un invito a proclamare che Cristo risorto è il Signore della nostra vita.
Cari fratelli e sorelle, possa questa sera la Chiesa che è in Vigevano ripetere con l’entusiasmo di Giovanni: Gesù Cristo "è il Signore!". E possa la vostra Comunità diocesana ascoltare il Signore che, per bocca mia, vi ripete: "Getta la rete, Chiesa di Vigevano, e troverai!". Sono venuto infatti tra voi soprattutto per incoraggiarvi ad essere ardimentosi testimoni di Cristo. E’ la fiduciosa adesione alla sua parola che renderà fruttuosi i vostri sforzi pastorali. Quando il lavoro nella vigna del Signore sembra risultare vano, come la fatica notturna degli Apostoli, non bisogna dimenticare che Gesù è in grado di ribaltare tutto in un momento. La pagina evangelica, che abbiamo ascoltato, ci ricorda, da una parte, che dobbiamo impegnarci nelle attività pastorali come se il risultato dipendesse totalmente dai nostri sforzi. Dall’altra, ci fa comprendere, però, che il vero successo della nostra missione totalmente è dono della Grazia. Nei misteriosi disegni della sua sapienza, Dio sa quando è il tempo di intervenire. Ed allora, come la docile adesione alla parola del Signore fece sì che si riempisse la rete dei discepoli, così in ogni tempo lo Spirito del Signore può rendere efficace la missione della Chiesa nel mondo.
Cari fratelli e sorelle, con grande gioia mi trovo in mezzo a voi: vi ringrazio e saluto tutti cordialmente. Vi saluto come rappresentanti del Popolo di Dio raccolto in questa Chiesa particolare, che ha il suo centro spirituale nella Cattedrale, sul cui sagrato stiamo celebrando l’Eucaristia. Saluto con affetto il vostro Vescovo, Mons. Claudio Baggini, e lo ringrazio per le cordiali parole che mi ha rivolto all’inizio della Celebrazione; con lui saluto il Cardinale Dionigi Tettamanzi, i Vescovi lombardi e gli altri Presuli. Rivolgo uno speciale e caloroso saluto ai sacerdoti, complimentandomi per la generosità con cui svolgono il loro servizio ecclesiale, senza badare a fatiche e disagi. Estendo il mio saluto alle persone consacrate, agli operatori pastorali e ai fedeli laici, la cui preziosa collaborazione è indispensabile per la vita delle varie comunità. Non può mancare un affettuoso pensiero per i seminaristi, che sono la speranza della Diocesi. Un saluto deferente va poi alle Autorità civili, alle quali sono grato per il significativo messaggio di cortesia che la loro presenza esprime. Il mio pensiero si dirige, infine, ai fedeli riuniti nelle varie parrocchie per seguire questo incontro mediante la televisione e a quanti partecipano a questa assemblea eucaristica nelle piazze e nelle strade adiacenti a questa suggestiva Piazza Ducale, a cui fa da sfondo l’artistica facciata del Duomo. Essa è stata ideata dall’illustre Vescovo di Vigevano Mons. Juan Caramuel, scienziato di fama europea, di cui avete ricordato solennemente nei mesi scorsi il 4° centenario della nascita. Questa facciata, dalla singolare architettura, congiunge armoniosamente il tempio alla piazza e al castello con la sua torre, simboleggiando così la sintesi mirabile di una tradizione in cui si intrecciano le due dimensioni essenziali della vostra Città: quella civile e quella religiosa.
"Gettate la rete… e troverete!" (Gv 21,6). Cara Comunità ecclesiale di Vigevano, che cosa significa in concreto l'invito di Cristo a "gettare la rete"? Significa in primo luogo, come per i discepoli, credere in Lui e fidarsi della sua parola. Anche a voi, come a loro, Gesù chiede di seguirlo con fede sincera e salda. Ponetevi pertanto in ascolto della sua parola e meditatela ogni giorno. Questo docile ascolto trova per voi concreta attuazione nelle decisioni dell’ultimo vostro Sinodo diocesano, conclusosi nel 1999. Al termine di quel cammino sinodale, l’amato Giovanni Paolo II, che vi incontrò il 17 aprile 1999 in un’Udienza speciale, ebbe ad esortarvi a "prendere il largo e a non avere paura di inoltrarvi in mare aperto" (Insegnamenti, XXII, 1, 1999, p. 764). Mai si spenga nei vostri cuori l’entusiasmo missionario suscitato nella vostra Comunità diocesana da quella provvidenziale Assise, ispirata e voluta dal compianto Vescovo Mons. Giovanni Locatelli, il quale aveva ardentemente auspicato una visita del Papa a Vigevano. Seguendo gli orientamenti fondamentali del Sinodo e le direttive del vostro attuale Pastore, restate uniti tra di voi ed apritevi ai vasti orizzonti dell'evangelizzazione.
Vi sia di costante guida questa parola del Signore: "Tutti sapranno che siete miei discepoli, se avrete amore gli uni per gli altri" (Gv 13,35). Portare i pesi gli uni degli altri, condividere, collaborare, sentirsi corresponsabili è lo spirito che deve costantemente animare la vostra Comunità. Questo stile di comunione esige il contributo di tutti: del Vescovo e dei sacerdoti, dei religiosi e delle religiose, dei fedeli laici, delle associazioni e dei vari gruppi di impegno apostolico. Le singole parrocchie, come tessere di un mosaico, in piena sintonia tra loro, formeranno una Chiesa particolare viva, organicamente inserita nell’intero Popolo di Dio. Un contributo indispensabile possono offrire all’evangelizzazione le associazioni, le comunità ed i gruppi laicali, sia per la formazione che per l'animazione spirituale, caritativa, sociale e culturale, operando sempre in armonia con la pastorale diocesana e secondo le indicazioni del Vescovo. Vi incoraggio poi a proseguire nel prendervi cura dei giovani, sia dei cosiddetti "vicini" come pure di quelli che chiamiamo "lontani". In questa prospettiva, non stancatevi di promuovere in modo organico e capillare una pastorale vocazionale che aiuti i giovani nella ricerca di un significato vero da dare alla propria esistenza. E che dire infine della famiglia? E’ l’elemento portante della vita sociale, per cui solo lavorando in favore delle famiglie si può rinnovare il tessuto della comunità ecclesiale e della stessa società civile.
Questa vostra Terra è ricca di tradizioni religiose, di fermenti spirituali e di un’operosa vita cristiana. Nel corso dei secoli la fede ne ha forgiato il pensiero, l’arte e la cultura, promuovendo solidarietà e rispetto della dignità umana. Espressione quanto mai eloquente di questo vostro ricco patrimonio cristiano sono le esemplari figure di sacerdoti e di laici i quali, con una proposta di vita radicata nel Vangelo e nell’insegnamento della Chiesa, hanno testimoniato, specialmente nella temperie sociale della fine dell’‘800 e dei primi decenni del ‘900, gli autentici valori evangelici, come valido sostegno di una convivenza libera e giusta, attenta in modo particolare ai più bisognosi. Questa luminosa eredità spirituale, riscoperta ed alimentata, non può non rappresentare un sicuro punto di riferimento per un efficace servizio all’uomo del nostro tempo e per un cammino di civiltà e di autentico progresso.
"Gettate la rete… e troverete!". Questo comando di Gesù è stato docilmente accolto dai santi e la loro esistenza ha sperimentato il miracolo di una pesca spirituale abbondante. Penso in modo speciale ai celesti vostri Patroni: sant’Ambrogio, san Carlo Borromeo, il beato Matteo Carreri. Penso pure a due illustri figli di questa Terra, dei quali è in corso la causa di beatificazione: il venerabile Francesco Pianzola, sacerdote animato da ardente spirito evangelico, che seppe andare incontro alle povertà spirituali del suo tempo con un coraggioso stile missionario, attento ai più lontani e particolarmente ai giovani; e il Servo di Dio Teresio Olivelli, laico di Azione Cattolica, morto a soli 29 anni nel campo di concentramento di Hersbruck, vittima sacrificale di una brutale violenza, alla quale egli oppose tenacemente l’ardore della carità. Queste due eccezionali figure di fedeli discepoli di Cristo costituiscono un segno eloquente delle meraviglie operate dal Signore nella Chiesa vigevanese. Rispecchiatevi in questi modelli, che rendono manifesta l'azione della Grazia e sono per il Popolo di Dio un incoraggiamento a seguire Cristo sul sentiero esigente della santità.
Cari fratelli e sorelle della diocesi di Vigevano! Il mio pensiero va, infine, alla Madre di Dio, che voi venerate con il titolo di Madonna della Bozzola. A Lei affido ogni vostra Comunità, perché ottenga una rinnovata effusione dello Spirito Santo su questa cara Diocesi. La faticosa ma sterile pesca notturna dei discepoli è ammonimento perenne per la Chiesa di tutti i tempi: da soli, senza Gesù, non possiamo fare nulla! Nell’impegno apostolico non bastano le nostre forze: senza la Grazia divina il nostro lavoro, pur ben organizzato, risulta inefficace. Preghiamo insieme perché la vostra Comunità diocesana sappia accogliere con gioia il mandato di Cristo e con rinnovata generosità sia pronta a "gettare" le reti. Sperimenterà allora certamente una pesca miracolosa, segno della potenza dinamica della parola e della presenza del Signore, che incessantemente conferisce al suo popolo una "rinnovata giovinezza dello Spirito" (Colletta).
Al termine della Celebrazione Eucaristica, il Santo Padre entra nella Cattedrale di Sant’Ambrogio e saluta i Membri del Consiglio Pastorale. Quindi, dopo aver salutato in Vescovado le Autorità locali e i Rappresentanti del Consorzio Calzaturiero, il Papa si trasferisce in auto allo Stadio "Dante Merlo" di Vigevano da dove parte in elicottero alla volta di Pavia.
[00574-01.02] [Testo originale: Italiano]
· SALUTO DEL SANTO PADRE AI GIOVANI DELLA DIOCESI DI PAVIA
L’arrivo in elicottero allo Stadio "P. Fortunati" di Pavia è previsto per le ore 20. Qui, dopo l’accoglienza delle Autorità politiche, civili ed ecclesiastiche, il Santo Padre Benedetto XVI si reca in auto al centro della città.Alle 20.15, in Piazza Duomo, dove si trovano riuniti i Giovani della Diocesi, dopo i saluti del Sindaco di Pavia, On. Piera Capitelli e del Rappresentante del Governo Italiano, On.le Clemente Mastella, Ministro della Giustizia, il Papa pronuncia le parole che pubblichiamo di seguito:
SALUTO DEL SANTO PADRE
Cari fratelli e sorelle,
dopo aver trascorso questo pomeriggio a Vigevano, eccomi ora tra voi, a Pavia, in questa piazza, con il maestoso e imponente Duomo del XV secolo che le fa da sfondo. In questa chiesa sono da secoli custodite gelosamente, come in uno scrigno, le spoglie di san Siro, primo Vescovo del III-IV secolo. In questo momento tali reliquie sono provvisoriamente ospitate nella chiesa del Carmine. Ringrazio tutti voi per avermi atteso e per avermi accolto con grande calore. In questo nostro primo incontro, desidero salutare la Signora Sindaco e il Rappresentante del Governo, ai quali sono grato per le cordiali parole rivoltemi. Saluto pure le altre Autorità civili presenti. Un saluto particolare desidero rivolgere al Pastore della Diocesi, il Vescovo Giovanni Giudici, e, insieme con lui, saluto i sacerdoti, le religiose e i religiosi e quanti attivamente si dedicano al lavoro pastorale.
Una parola particolarmente affettuosa desidero indirizzare specialmente a voi, cari giovani, convenuti così numerosi per questo mio primo contatto con la vostra Diocesi. Di essa voi rappresentate la speranza e il futuro: sono per questo felice di iniziare la mia visita proprio con voi. Vengo tra voi questa sera per rinnovarvi un annuncio che è sempre giovane, per affidarvi un messaggio che, quando viene accolto, cambia l’esistenza, la rinnova e la riempie. La Chiesa proclama questo messaggio con particolare gioia in questo tempo pasquale: Cristo risorto è vivo tra noi! Quanti vostri coetanei nel corso della storia, cari giovani, lo hanno incontrato e sono diventati suoi amici; lo hanno seguito fedelmente e ne hanno testimoniato l’amore con la propria vita!
Ed allora non abbiate paura di donare la vostra esistenza a Cristo: Egli non delude mai le nostre attese, perché sa che cosa c’è nel nostro cuore. Seguendolo con fedeltà non sarà difficile per voi trovare la risposta alle domande che portate nell’animo: "Che cosa debbo fare? Quale compito mi attende nella vita?". La Chiesa, che ha bisogno del vostro impegno per recare specialmente ai vostri coetanei l’annuncio evangelico, vi sostiene nel cammino di conoscenza della fede e dell’amore per Dio e per i fratelli. La società, che in questo nostro tempo è segnata da innumerevoli mutamenti sociali, attende il vostro apporto per costruire una comune convivenza meno egoista e più solidale, realmente animata dai grandi ideali della giustizia, della libertà e della pace.
Ecco la vostra missione, cari giovani amici! Il Cristo risorto vi accompagni e insieme con Lui la Vergine Maria, sua e nostra Madre. Con il suo esempio e la sua costante intercessione la Madonna vi aiuti a non scoraggiarvi nei momenti dell’insuccesso e a confidare sempre nel Signore. Vi ringrazio ancora per questa vostra presenza e vi benedico tutti con affetto. Buona notte e arrivederci a domani!
Al termine, il Papa si reca in Episcopio per la cena ed il pernottamento

VISITA DI SUA SANTITÀ BENEDETTO XVI A VIGEVANO E PAVIA (21-22 APRILE 2007) (II)
Alle ore 9 di questa mattina, lasciato l’Episcopio, il Santo Padre Benedetto XVI si reca in visita al Policlinico "San Matteo" di Pavia. Nel piazzale interno del Policlinico il Papa incontra i dirigenti, il personale medico, gli ammalati e i familiari.Dopo i saluti del Presidente del Policlinico, Sig. Alberto Guglielmo, e di una ammalata, il Santo Padre pronuncia il discorso che riportiamo di seguito:
DISCORSO DEL SANTO PADRE
Cari fratelli e sorelle,
nel programma della visita pastorale a Pavia non poteva mancare una sosta al Policlinico "San Matteo" per incontrare voi, cari ammalati, che provenite non solo dalla provincia di Pavia ma da tutta l’Italia. A ciascuno esprimo la mia personale vicinanza e solidarietà, mentre abbraccio spiritualmente anche gli ammalati, i sofferenti e le persone in difficoltà che si trovano nella vostra Diocesi e quanti se ne prendono amorevole cura. A tutti vorrei far giungere una parola di incoraggiamento e di speranza. Rivolgo un rispettoso saluto al Presidente del Policlinico, Signor Alberto Guglielmo, e lo ringrazio per le cordiali espressioni che mi ha poc’anzi indirizzato. La mia gratitudine si estende ai medici, agli infermieri e a tutto il personale, che qui opera quotidianamente. Un pensiero grato rivolgo ai Padri Camilliani, che con vivo zelo pastorale recano ogni giorno ai malati il conforto della fede, come pure alle Suore della Provvidenza impegnate in un generoso servizio secondo il carisma del loro Fondatore, san Luigi Scrosoppi. Un grazie di cuore esprimo al rappresentante degli ammalati e con affetto penso pure ai familiari dei malati, che con i loro cari condividono momenti di trepidazione e di fiduciosa attesa.
L’ospedale è un luogo che potremmo dire in qualche modo "sacro", dove si sperimenta la fragilità della natura umana, ma anche le enormi potenzialità e risorse dell’ingegno dell’uomo e della tecnica al servizio della vita. La vita dell’uomo! Questo grande dono, per quanto lo si esplori, resta sempre un mistero. So che questa vostra struttura ospedaliera, il Policlinico "San Matteo", è ben conosciuta in questa Città e nel resto d’Italia, soprattutto per alcuni interventi di avanguardia. Qui, voi cercate di alleviare la sofferenza delle persone nel tentativo di un pieno recupero delle condizioni di salute e molto spesso, grazie anche alle moderne scoperte scientifiche, ciò avviene. Qui si ottengono dei risultati veramente confortanti. Il mio vivo auspicio è che, al necessario progresso scientifico e tecnologico, si accompagni costantemente la coscienza di promuovere, insieme con il bene del malato, anche quei valori fondamentali, come il rispetto e la difesa della vita in ogni sua fase, dai quali dipende la qualità autenticamente umana di una convivenza.
Trovandomi tra voi, mi viene spontaneo pensare a Gesù che, nel corso della sua esistenza terrena, ha sempre mostrato una particolare attenzione verso i sofferenti, guarendoli e donando loro la possibilità di un ritorno alla vita di relazione familiare e sociale che la malattia aveva compromesso. Penso anche alla prima comunità cristiana, dove, come leggiamo in questi giorni negli Atti degli Apostoli, molte guarigioni e prodigi accompagnavano la predicazione degli Apostoli. Sempre la Chiesa, seguendo l’esempio del suo Signore, manifesta una speciale predilezione verso chi soffre, e non cessa di offrire ai malati l’aiuto necessario, consapevole di essere chiamata a manifestare l’amore e la sollecitudine di Cristo verso di essi e verso coloro che se ne prendono cura.
Particolarmente attuale risuona, poi, in questo luogo la parola di Gesù: "Quello che avete fatto al più piccolo dei miei fratelli, l’avete fatto a me" (Mt 25,40.45). In ogni persona colpita dalla malattia è Lui stesso che attende il nostro amore. Certo, la sofferenza ripugna all’animo umano; rimane però sempre vero che, quando viene accolta con amore ed è illuminata dalla fede, diviene un’occasione preziosa che unisce in maniera misteriosa al Cristo Redentore, l’Uomo dei dolori, che sulla Croce ha assunto su di sé il dolore e la morte dell’uomo. Con il sacrificio della sua vita Egli ha redento la sofferenza umana e ne ha fatto il mezzo fondamentale della salvezza. Cari ammalati, affidate al Signore i disagi e le pene che dovete affrontare e nel suo piano diventeranno mezzi di purificazione e di redenzione per il mondo intero. Cari amici, assicuro a ciascuno di voi il mio ricordo nella preghiera e, mentre invoco Maria Santissima, Salus infirmorum – Salute degli infermi, perché protegga voi e le vostre famiglie, i dirigenti, i medici e l’intera comunità del Policlinico, a tutti con affetto imparto una speciale Benedizione Apostolica.
Al termine del discorso il Papa saluta una rappresentanza di medici e di ammalati.
[00577-01.01] [Testo originale: Italiano]
· CELEBRAZIONE EUCARISTICA AGLI ORTI DELL’ALMO COLLEGIO BORROMEO DI PAVIA
Lasciato il Policlinico "San Matteo", il Santo Padre si reca in auto agli Orti dell’Almo Collegio Borromeo dove, alle ore 10.30, presiede la Celebrazione della Santa Messa con i Vescovi della Lombardia, i Sacerdoti della Diocesi e una rappresentanza dei Padri Agostiniani.Nel corso della Celebrazione Eucaristica, introdotta dal saluto del Vescovo di Pavia, S.E. Mons. Giovanni Giudici, dopo la proclamazione del Santo Vangelo, il Papa pronuncia l’omelia che riportiamo di seguito:
OMELIA DEL SANTO PADRE
Cari fratelli e sorelle!
Ieri pomeriggio ho incontrato la Comunità diocesana di Vigevano ed il cuore di questa mia visita pastorale è stata la Concelebrazione eucaristica in Piazza Ducale; quest’oggi ho la gioia di visitare la vostra Diocesi e momento culminante di questo nostro incontro è anche qui la Santa Messa. Con affetto saluto i Confratelli che concelebrano con me: il Cardinale Dionigi Tettamanzi, Arcivescovo di Milano, il Pastore della vostra diocesi, il Vescovo Giovanni Giudici, quello emerito, il Vescovo Giovanni Volta, e gli altri Presuli della Lombardia. Sono grato per la loro presenza ai Rappresentanti del Governo e delle Amministrazioni locali. Rivolgo il mio saluto cordiale ai sacerdoti, ai diaconi, ai religiosi e alle religiose, ai responsabili delle associazioni laicali, ai giovani, ai malati e a tutti i fedeli, ed estendo il mio pensiero all’intera popolazione di questa antica e nobile città e della Diocesi.
Nel tempo pasquale la Chiesa ci presenta, domenica per domenica, qualche brano della predicazione con cui gli Apostoli, in particolare Pietro, dopo la Pasqua invitavano Israele alla fede in Gesù Cristo, il Risorto, fondando così la Chiesa. Nell’odierna lettura gli Apostoli stanno davanti al Sinedrio – davanti a quell’istituzione che, avendo dichiarato Gesù reo di morte, non poteva tollerare che questo Gesù, mediante la predicazione degli Apostoli, ora cominciasse ad operare nuovamente; non poteva tollerare che la sua forza risanatrice si facesse di nuovo presente e intorno a questo nome si raccogliessero persone che credevano in Lui come nel Redentore promesso. Gli Apostoli vengono accusati. Il rimprovero è: "Volete far ricadere su di noi il sangue di quell’uomo". A questa accusa Pietro risponde con una breve catechesi sull’essenza della fede cristiana: "No, non vogliamo far ricadere il suo sangue su di voi. L’effetto della morte e risurrezione di Gesù è totalmente diverso. Dio lo ha fatto «capo e salvatore» per tutti, proprio anche per voi, per il suo popolo d’Israele". E dove conduce questo "capo", che cosa porta questo "salvatore"? Egli conduce alla conversione – crea lo spazio e la possibilità di ravvedersi, di pentirsi, di ricominciare. Ed Egli dona il perdono dei peccati – ci introduce nel giusto rapporto con Dio.
Questa breve catechesi di Pietro non valeva solo per il Sinedrio. Essa parla a tutti noi. Poiché Gesù, il Risorto, vive anche oggi. E per tutte le generazioni, per tutti gli uomini Egli è il "capo" che precede sulla via e il "salvatore" che rende la nostra vita giusta. Le due parole "conversione" e "perdono dei peccati", corrispondenti ai due titoli di Cristo "capo" e "salvatore", sono le parole-chiave della catechesi di Pietro, parole che in quest’ora vogliono raggiungere anche il nostro cuore. Il cammino che dobbiamo fare – il cammino che Gesù ci indica, si chiama "conversione". Ma che cosa è? Che cosa bisogna fare? In ogni vita la conversione ha la sua forma propria, perché ogni uomo è qualcosa di nuovo e nessuno è soltanto la copia di un altro. Ma nel corso della storia della cristianità il Signore ci ha mandato modelli di conversione, guardando ai quali possiamo trovare orientamento. Potremmo per questo guardare a Pietro stesso, a cui il Signore nel cenacolo aveva detto: "Tu, una volta ravveduto, conferma i tuoi fratelli" (Lc 22,32). Potremmo guardare a Paolo come a un grande convertito. La città di Pavia parla di uno dei più grandi convertiti della storia della Chiesa: sant’Aurelio Agostino. Egli morì il 28 agosto del 430 nella città portuale di Ippona, allora circondata ed assediata dai Vandali. Dopo parecchia confusione di una storia agitata, il re dei Longobardi acquistò le sue spoglie per la città di Pavia, cosicché ora egli appartiene in modo particolare a questa città ed in essa e da essa parla a tutti noi in maniera speciale.
Nel suo libro "Le Confessioni", Agostino ha illustrato in modo toccante il cammino della sua conversione, che col Battesimo amministratogli dal Vescovo Ambrogio nel duomo di Milano aveva raggiunto la sua meta. Chi legge Le Confessioni può condividere il cammino che Agostino in una lunga lotta interiore dovette percorrere per ricevere finalmente, nella notte di Pasqua del 387, al fonte battesimale il Sacramento che segnò la grande svolta della sua vita. Seguendo attentamente il corso della vita di sant’Agostino, si può vedere che la conversione non fu un evento di un unico momento, ma appunto un cammino. E si può vedere che al fonte battesimale questo cammino non era ancora terminato. Come prima del Battesimo, così anche dopo di esso la vita di Agostino è rimasta, pur in modo diverso, un cammino di conversione – fin nella sua ultima malattia, quando fece applicare alla parete i Salmi penitenziali per averli sempre davanti agli occhi; quando si autoescluse dal ricevere l’Eucaristia per ripercorrere ancora una volta la via della penitenza e ricevere la salvezza dalle mani di Cristo come dono delle misericordie di Dio. Così possiamo parlare delle "conversioni" di Agostino che, di fatto, sono state un’unica grande conversione nella ricerca del Volto di Cristo e poi nel camminare insieme con Lui.
Vorrei parlare di tre grandi tappe in questo cammino di conversione, di tre "conversioni". La prima conversione fondamentale fu il cammino interiore verso il cristianesimo, verso il "sì" della fede e del Battesimo. Quale fu l’aspetto essenziale di questo cammino? Agostino, da una parte, era figlio del suo tempo, condizionato profondamente dalle abitudini e dalle passioni in esso dominanti, come anche da tutte le domande e i problemi di un giovane. Viveva come tutti gli altri, e tuttavia c’era in lui qualcosa di particolare: egli rimase sempre una persona in ricerca. Non si accontentò mai della vita così come essa si presentava e come tutti la vivevano. Era sempre tormentato dalla questione della verità. Voleva trovare la verità. Voleva riuscire a sapere che cosa è l’uomo; da dove proviene il mondo; di dove veniamo noi stessi, dove andiamo e come possiamo trovare la vita vera. Voleva trovare la retta vita e non semplicemente vivere ciecamente senza senso e senza meta. La passione per la verità è la vera parola-chiave della sua vita. E c’è ancora una peculiarità. Tutto ciò che non portava il nome di Cristo, non gli bastava. L’amore per questo nome – ci dice – lo aveva bevuto col latte materno (cfr Conf 3,4,8). E sempre aveva creduto – a volte piuttosto vagamente, a volte più chiaramente – che Dio esiste e che Egli si prende cura di noi. Ma conoscere veramente questo Dio e familiarizzare davvero con quel Gesù Cristo e arrivare a dire "sì" a Lui con tutte le conseguenze –questa era la grande lotta interiore dei suoi anni giovanili. Egli ci racconta che, per il tramite della filosofia platonica, aveva appreso e riconosciuto che "in principio era il Verbo" – il Logos, la ragione creatrice. Ma la filosofia non gli indicava alcuna via per raggiungerlo; questo Logos rimaneva lontano e intangibile. Solo nella fede della Chiesa trovò poi la seconda verità essenziale: il Verbo si è fatto carne. E così esso ci tocca, noi lo tocchiamo. All’umiltà dell’incarnazione di Dio deve corrispondere l’umiltà della nostra fede, che depone la superbia saccente e si china entrando a far parte della comunità del corpo di Cristo; che vive con la Chiesa e solo così entra nella comunione concreta, anzi corporea, con il Dio vivente. Non devo dire quanto tutto ciò riguardi noi: rimanere persone che cercano, non accontentarsi di ciò che tutti dicono e fanno. Non distogliere lo sguardo dal Dio eterno e da Gesù Cristo. Imparare sempre di nuovo l’umiltà della fede nella Chiesa corporea di Gesù Cristo.
La sua seconda conversione Agostino ce la descrive alla fine del secondo libro delle sue Confessioni con le parole: "Oppresso dai miei peccati e dal peso della mia miseria, avevo ventilato in cuor mio e meditato una fuga nella solitudine. Tu, però, me lo impedisti, confortandomi con queste parole: «Cristo è morto per tutti, perché quelli che vivono non vivano più per se stessi, ma per colui che è morto per tutti»" (2 Cor 5,15; Conf 10,43,70). Che cosa era successo? Dopo il suo Battesimo, Agostino si era deciso a ritornare in Africa e lì aveva fondato, insieme con i suoi amici, un piccolo monastero. Ora la sua vita doveva essere dedita totalmente al colloquio con Dio e alla riflessione e contemplazione della bellezza e della verità della sua Parola. Così egli passò tre anni felici, nei quali si credeva arrivato alla meta della sua vita; in quel periodo nacque una serie di preziose opere filosofiche. Nel 391 egli andò a trovare nella città portuale di Ippona un amico, che voleva conquistare alla vita monastica. Ma nella liturgia domenicale, alla quale partecipò nella cattedrale, venne riconosciuto. Il Vescovo della città, un uomo di provenienza greca, che non parlava bene il latino e faceva fatica a predicare, nella sua omelia non a caso disse di aver l’intenzione di scegliere un sacerdote al quale affidare anche il compito della predicazione. Immediatamente la gente afferrò Agostino e lo portò di forza avanti, perché venisse consacrato sacerdote a servizio della città. Subito dopo questa sua consacrazione forzata, Agostino scrisse al Vescovo Valerio: "Mi sentivo come uno che non sa tenere il remo e a cui, tuttavia, è stato assegnato il secondo posto al timone… E di qui derivavano quelle lacrime che alcuni fratelli mi videro versare in città al tempo della mia ordinazione" (cfr Ep 21,1s). Il bel sogno della vita contemplativa era svanito, la vita di Agostino ne risultava fondamentalmente cambiata. Ora egli doveva vivere con Cristo per tutti. Doveva tradurre le sue conoscenze e i suoi pensieri sublimi nel pensiero e nel linguaggio della gente semplice della sua città. La grande opera filosofica di tutta una vita, che aveva sognato, restò non scritta. Al suo posto ci venne donata una cosa più preziosa: il Vangelo tradotto nel linguaggio della vita quotidiana. Ciò che ora costituiva la sua quotidianità, lo ha descritto così: "Correggere gli indisciplinati, confortare i pusillanimi, sostenere i deboli, confutare gli oppositori… stimolare i negligenti, frenare i litigiosi, aiutare i bisognosi, liberare gli oppressi, mostrare approvazione ai buoni, tollerare i cattivi e amare tutti" (cfr Serm 340, 3). "Continuamente predicare, discutere, riprendere, edificare, essere a disposizione di tutti – è un ingente carico, un grande peso, un’immane fatica" (Serm 339, 4). Fu questa la seconda conversione che quest’uomo, lottando e soffrendo, dovette continuamente realizzare: sempre di nuovo essere lì per tutti; sempre di nuovo, insieme con Cristo, donare la propria vita, affinché gli altri potessero trovare Lui, la vera Vita.
C’è ancora una terza tappa decisiva nel cammino di conversione di sant’Agostino. Dopo la sua Ordinazione sacerdotale, egli aveva chiesto un periodo di vacanza per poter studiare più a fondo le Sacre Scritture. Il suo primo ciclo di omelie, dopo questa pausa di riflessione, riguardò il Discorso della montagna; vi spiegava la via della retta vita, "della vita perfetta" indicata in modo nuovo da Cristo – la presentava come un pellegrinaggio sul monte santo della Parola di Dio. In queste omelie si può percepire ancora tutto l’entusiasmo della fede appena trovata e vissuta: la ferma convinzione che il battezzato, vivendo totalmente secondo il messaggio di Cristo, può essere, appunto, "perfetto". Circa vent’anni dopo, Agostino scrisse un libro intitolato Le Ritrattazioni, in cui passa in rassegna in modo critico le sue opere redatte fino a quel momento, apportando correzioni laddove, nel frattempo, aveva appreso cose nuove. Riguardo all’ideale della perfezione nelle sue omelie sul Discorso della montagna annota: "Nel frattempo ho compreso che uno solo è veramente perfetto e che le parole del Discorso della montagna sono totalmente realizzate in uno solo: in Gesù Cristo stesso. Tutta la Chiesa invece – tutti noi, inclusi gli Apostoli – dobbiamo pregare ogni giorno: rimetti a noi i nostri debiti come noi li rimettiamo ai nostri debitori" (cfr Retract. I 19,1-3). Agostino aveva appreso un ultimo grado di umiltà – non soltanto l’umiltà di inserire il suo grande pensiero nella fede della Chiesa, non solo l’umiltà di tradurre le sue grandi conoscenze nella semplicità dell’annuncio, ma anche l’umiltà di riconoscere che a lui stesso e all’intera Chiesa peregrinante era continuamente necessaria la bontà misericordiosa di un Dio che perdona; e noi – aggiungeva - ci rendiamo simili a Cristo, il Perfetto, nella misura più grande possibile, quando diventiamo come Lui persone di misericordia.
In quest’ora ringraziamo Dio per la grande luce che si irradia dalla sapienza e dall’umiltà di sant’Agostino e preghiamo il Signore affinché doni a tutti noi, giorno per giorno, la conversione necessaria e così ci conduca verso la vera vita. Amen.
[00578-01.01] [Testo originale: Italiano]
· LE PAROLE DEL PAPA ALLA RECITA DEL REGINA CAELI
Al termine della Celebrazione Eucaristica negli Orti Borromaici, il Papa introduce la preghiera mariana del tempo pasquale con le seguenti parole:
Cari fratelli e sorelle!
Prima di concludere questa celebrazione, desidero ringraziare tutti coloro che con cura e devozione l’hanno preparata e animata. Rivolgo un saluto affettuoso alle persone anziane e malate che hanno seguito la Santa Messa mediante la radio e la televisione, come pure alle comunità di clausura e a quanti per vari motivi non hanno potuto essere qui e si sono uniti a noi spiritualmente. Ricordo in particolare gli ospiti della Casa circondariale di Torre del Gallo che mi hanno scritto una bella lettera. Tra i presenti, invece, vorrei salutare ancora i giovani, sia quelli di Pavia che quelli venuti dalle Diocesi vicine. Cari ragazzi e ragazze, vi auguro di scoprire sempre più la gioia di seguire Gesù e di diventare suoi amici. E’ la gioia di Pietro e degli altri Apostoli, dei Santi e delle Sante di tutti i tempi. Questa gioia è anche quella che mi ha spinto a scrivere il libro Gesù di Nazaret, appena pubblicato. Per i più giovani è un po’ impegnativo, ma idealmente lo consegno a voi, perché accompagni il cammino di fede delle nuove generazioni.
Pensando ai giovani, mi piace ricordare che oggi si celebra in Italia la Giornata per l’Università Cattolica del Sacro Cuore. E’ un appuntamento significativo, perché l’Università Cattolica costituisce un punto di riferimento per la Comunità ecclesiale e offre un prezioso contributo scientifico, culturale e formativo all’intero Paese.
Rivolgiamo ora la mente ed il cuore alla Vergine Maria. A Lei affido l’intera Diocesi di Pavia, che la venera in tanti santuari e luoghi di preghiera. Alla sua materna protezione raccomando ogni singola comunità, ogni famiglia, specialmente le situazioni di maggiore difficoltà. Per tutti Maria Santissima ottenga pace e conforto. La invochiamo cantando insieme l’antifona del Tempo di Pasqua.

L’OSSERVATORE ROMANO

BENEDETTO XVI PELLEGRINO A VIGEVANO E A PAVIA DOVE NELLA BASILICA DI SAN PIETRO IN CIEL D'ORO SONO CUSTODITE LE RELIQUIE DEL SANTO DOTTORE DELLA CHIESA
Pietro incontra Agostino
GIAMPAOLO MATTEI
Pietro incontra Agostino. È un incontro che si può riassumere con il messaggio centrale della prima Enciclica di Benedetto XVI: "Deus caritas est". Sì, il Successore di Pietro è pellegrino - sabato 21 e domenica 22 aprile - prima a Vigevano e poi a Pavia, nel clima della Pasqua, sulle orme freschissime di Sant'Agostino per riaffermare, con la forza della fede, questo messaggio fondante davanti all'umanità: Dio è amore e il Volto di Dio si riconosce nel Volto di Cristo, sulle strade del mondo. È quanto di più grande, di più bello, un uomo si possa sentire annunciare. Pietro incontra Agostino. È un incontro che ha il suo senso più autentico nella parola Amore, nella libertà e nella gioia. È un incontro che ha il suo senso in Cristo, nella bellezza travolgente della sua proposta di vita. Pavia è un crocevia straordinario di grandi e incancellabili strade di santità e dunque di futuro. Pietro incontra Agostino: è una notizia di speranza per ogni persona che cerca la Verità. Non si ha, infatti, a che fare con memorie di un seppur glorioso passato: il Papa è a Pavia per celebrare con la Comunità cristiana la gioia della fede in Cristo e per testimoniare che nella vicenda personale di Agostino c'è anche la storia di ogni uomo e di ogni donna che non si accontenta di volare basso, non si rassegna ad una vita priva di slanci, ma lotta, si scava dentro, per cercare la Verità. E la trova nella Persona di Gesù. La conchiglia è uno degli antichi e sempre vivissimi segni del pellegrino cristiano. Campeggia nello Stemma di Benedetto XVI, in queste ore pellegrino a Vigevano e a Pavia. Nelle due Chiese lombarde egli compie la sua prima Visita Pastorale a Diocesi italiane. Quella conchiglia - così come il Viaggio del Papa - ricorda ad ogni persona il proprio status di pellegrino, l'essere sempre in cammino. Ma essa ricorda anche la tradizione secondo cui Agostino, impegnato a comprendere il Mistero della Trinità, avrebbe visto sulla spiaggia un bambino che giocava, appunto, con una conchiglia con cui attingeva l'acqua dal mare e cercava di travasarla in una piccola buca: tanto è piccola quella buca per contenere tutta l'acqua del mare quanto poco la ragione può afferrare il Mistero di Dio. La conchiglia, nello Stemma e nella storia stessa di Benedetto XVI, richiama il suo grande maestro Agostino. Richiama il suo appassionante lavoro teologico. Richiama la grandezza del Mistero che è sempre molto più alto di tutta la nostra scienza. In questo Viaggio del Successore di Pietro il simbolo della conchiglia unisce così, in maniera davvero straordinaria, il suo essere segno di pellegrinaggio e il suo essere "icona" agostiniana. "Il Papa, venendo personalmente qui tra noi, ci chiede di riuscire a stare in maniera più concreta nell'unità cattolica, ci chiede di avere orizzonti" dice, commosso, il Vescovo di Pavia, Mons. Giovanni Giudici. Agostino è una di quelle figure che interpellano, in modo sempre nuovo e originale, ogni generazione. È particolarmente credibile perché la sua vita, la sua storia di fede, non ha avuto un andamento lineare, semplice, tranquillo e tranquillizzante. È stata un fuoco, una tempesta e la risposta alle sollecitazioni interiori sulle questioni ultime e fondanti non è mai stata solo teoria. Egli sa parlare all'uomo di oggi, con la semplicità dei grandi. Con il suo temperamento appassionato Agostino ha dedicato tutto se stesso alla ricerca della Verità, percorrendo strade diverse, sperimentato possibilità diverse. La sua alta teologia non è scaturita soltanto dal tavolo, ma è stata per così dire "sofferta", vissuta nella quotidianità. Questo lo rende particolarmente vicino, solidale, con l'uomo di ogni tempo. Soprattutto - e Benedetto XVI lo afferma vigorosamente con questo pellegrinaggio - Agostino non è un pensatore isolato, staccato da ciò che compone e tesse la vita di ogni persona. Ad affascinare ancora oggi è la grandissima umanità di questo Dottore della Chiesa e nel cuore della Chiesa. C'è un insegnamento che Agostino suggerisce con la sua stessa vita: la conversione continua a Cristo richiede sempre e di nuovo il coraggio di mettersi in gioco, di ripartire con perseveranza. Si tratta, dunque, di ripensare i fondamenti della fede cristiana per renderla comprensibile, plausibile, all'uomo di oggi. Lo scopo unico è quello di sempre: annunciare Cristo, la gioia di essere salvati. È questa la missione di Agostino oggi. È questa la missione di Benedetto XVI. È questa la missione di ogni cristiano. L'insegnamento di Agostino, con tutte le sue straordinarie e concretissime implicazioni nella carità e nella scienza, è per certi versi il filo conduttore del Viaggio in terra lombarda. Nel pomeriggio di sabato il Papa celebra la Santa Messa a Vigevano, nello straordinario scenario rinascimentale di Piazza Ducale. Quindi, in serata, a Pavia è accolto dai giovani. La giornata di domenica si apre con l'attesa visita al Policlinico "San Matteo" che vanta uno specialissimo legame con la Sede di Pietro fin dall'anno 1449. Negli Orti Borromaici - dove è viva la memoria di San Carlo Borromeo - Benedetto XVI celebra l'Eucaristia. Nel pomeriggio ecco la visita all'antica Università: se lo "Studium" è del 1361, è però dell'anno 825 la Scuola voluta da Lotario. Nella Basilica di San Pietro in Ciel d'Oro il momento ultimo e culminante del pellegrinaggio: la Celebrazione dei Vespri davanti alle reliquie di Sant'Agostino. Un atto di amore. Un atto di venerazione. Un incontro che è messaggio di futuro e di speranza per tutti: "Deus caritas est".
(©L'Osservatore Romano - 22 Aprile 2007)
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L'intervento del Cardinale Tarcisio Bertone, Segretario di Stato alla serata in onore del Santo Padre, promossa dai giovani universitari di Roma
Il Magistero di Benedetto XVI: una "scuola" di teologia di sintesi limpida della dottrina cristiana, di vita e di spiritualità

Pubblichiamo il testo dell'intervento pronunciato dal Cardinale Tarcisio Bertone, Segretario di Stato, durante l'incontro in onore di Papa Benedetto XVI, promosso dall'Ufficio della Pastorale Universitaria del Vicariato di Roma, svoltosi nella sera di giovedì 19 aprile presso il Teatro Argentina:
È per me motivo di grande gioia prendere parte a questa serata culturale in onore di Papa Benedetto XVI promossa dai giovani studenti dei collegi universitari di Roma. Saluto con viva cordialità i Magnifici Rettori e i docenti che hanno voluto condividere questo desiderio dei giovani di festeggiare il Santo Padre per il Suo 80° genetliaco e per il secondo anniversario della Sua elezione. Cari giovani, il tema impegnativo che avete scelto di trattare, pur in un contesto di festa, rivela il vostro particolare desiderio di condividere con il Santo Padre l'amore fedele per il Signore Gesù, unico salvatore del mondo, e nel contempo, di offrire ai vostri coetanei la testimonianza della vostra gioiosa sequela. Ricordiamo i ripetuti inviti del Papa: Chi ha scoperto Cristo deve portare altri verso di Lui. Una grande gioia non si può tenere per sé. "Vangelo e giovani. Dal mito alla realtà". Questo titolo, da voi scelto, non si configura come uno slogan ma ci conduce a ragionare con Benedetto XVI sulla collocazione temporale di Gesù all'interno della storia universale: "l'attività di Gesù non è da considerare inserita in un mitico prima-o-poi, che può significare insieme sempre e mai; è un avvenimento storico precisamente databile con tutta la serietà della storia umana realmente accaduta - con la sua unicità, la cui contemporaneità con tutti i tempi è diversa dalla atemporalità del mito" (Ratzinger, Gesù di Nazaret, p. 31). Con questa citazione vi invito a leggere il suo libro uscito di recente. Dice il Vangelo di Giovanni: "Dio nessuno l'ha mai visto: proprio il Figlio unigenito, che è nel seno del Padre, lui lo ha rivelato" (Gv 1, 18). E tutti i miti che parlano di una divinità che muore e risorge - commenta il teologo Ratzinger - alla fine aspettavano Lui: il desiderio è diventato realtà. Siamo ancora rivolti alle feste di Pasqua e, guardando in particolare il mondo della comunicazione a cui i giovani sono tanto sensibili, viene da chiedersi se la risurrezione di Cristo è considerata ancora oggi una notizia da comunicare e da sostenere, come quando venne diffusa dopo la crocifissione, che sconvolse Gerusalemme tanto che si cercò di soffocarla nel sangue. Oppure se non sia vista come una specie di mito ripetuto di anno in anno. La risposta ci viene dagli innumerevoli martiri cristiani, anche nel nostro tempo. A duemila anni di distanza, per la veridicità di questa notizia si continua a morire e a vivere, perché questa è la buona notizia che fa vivere in pienezza la vita e per la quale, quindi, vale la pena donare se stessi. Per essere testimoni voi giovani avvertite la necessità di possedere una robusta preparazione, non solo dottrinale, ma vitale, della fede cristiana. Vale sempre l'avvertimento paterno di Benedetto XVI ai giovani durante la GMG di Colonia, che li esortava a far si che la religione non diventi un "prodotto di consumo" dove si sceglie quello che piace: "La religione cercata alla maniera del "fai da te" alla fine non ci aiuta. È comoda, ma nell'ora della crisi ci abbandona a noi stessi. Gesù Cristo! Cerchiamo noi stessi di conoscerlo sempre meglio per poter in modo convincente guidare anche gli altri verso di Lui" (Spianata di Marienfeld, Domenica, 21 agosto 2005). La conoscenza di Dio, nella sua realtà vera e profonda, non può essere compresa adeguatamente con i soli strumenti di analisi con cui cerchiamo di indagare i fenomeni sociali e culturali. La presenza di Dio, in Gesù Cristo, è afferrabile solo se l'uomo si lascia coinvolgere entrando in una relazione che è luce e mistero. Lo si riconosce così come Parola/Logos che orienta e costruisce la storia e prende in considerazione tutto l'uomo, con i suoi dubbi e le sue fragilità, le sue preoccupazioni e le sue speranze, la sua intelligenza e la sua volontà. La fede in Gesù Cristo non pone l'uomo in una vaga e non definita metastoricità, dove si confonde o viene assorbito da forze misteriose, ma gli riconosce la sua responsabilità di essere fatto a immagine e somiglianza di Dio. Benedetto XVI, con il suo alto insegnamento teologico, offerto con semplicità e discrezione, segno di autentica statura intellettuale, ci accompagna in questo cammino di fede che non teme la luce della ragione, e nemmeno l'oscurità dell'opposizione e della persecuzione. Anzi, fa comprendere che nuovi impulsi e la stessa realtà storica vengono incontro al Vangelo chiedendo ad esso luce per capire il nostro tempo. Voi giovani universitari siete nella condizione più favorevole per condividere il cammino contemporaneo della Chiesa, sostanziando il vostro entusiasmo e la vostra generosità con la solidità di un pensiero ben fondato e robusto. In questo cammino non siete soli. Nella circostanza odierna sono lieto di accogliere il volume preparato dai docenti - e mi piace sottolineare: dai giovani docenti - delle Università di Roma e del Lazio, in occasione dell'80° genetliaco del Papa. A loro va il più vivo ringraziamento e sono certo di interpretare per questo il pensiero del Santo Padre. Il titolo del volume: "La Carità intellettuale. Percorsi culturali per un nuovo umanesimo" è un titolo impegnativo, ma confacente alle responsabilità che i docenti universitari hanno nella formazione delle giovani generazioni e nella elaborazione culturale. II Santo Padre nella recente veglia mariana ha manifestato la Sua gioia e il suo apprezzamento per il tema della carità intellettuale. Essa ben definisce il ruolo del docente e ne allarga gli orizzonti. Troppe volte nella storia si sono create incomprensioni tra fede e ragione, troppe volte gli orizzonti della scienza e della ricerca si sono divaricati e ristretti a tal punto da non vedere più la realtà nella sua totalità. Definire il ruolo dei docenti universitari con l'impegnativa e talvolta ardua prospettiva della carità intellettuale è una chiara indicazione di percorso, sia per la vita personale del docente sia per l'intera comunità universitaria. La società e, in particolare, i giovani studenti attendono dai docenti universitari una guida sicura e illuminata, dove si intrecciano onestà intellettuale e purezza di cuore, che costituiscono l'anima della carità intellettuale. Un esempio stupendo ce lo offre Benedetto XVI, per lunghi anni docente universitario ed ora supremo maestro e pastore della Chiesa universale. L'esercizio della carità intellettuale in lui si manifesta nel modo rigoroso e chiaro con il quale sa condurre alla ragionevolezza della fede, ma anche si manifesta nel silenzio, nell'ascolto profondo e rispettoso, nella capacità di mettersi in relazione con l'interlocutore. Ogni occasione di incontro con Benedetto XVI è per me una scuola di teologia aggiornata, di sintesi limpida della dottrina cristiana, ma anche una scuola di vita e di spiritualità. Infine vorrei rivolgere brevi parole per commentare il secondo dono che questa sera viene offerto per il Papa. È un DVD che raccoglie due grandi Oratori di Lorenzo Perosi: "Il Natale del Redentore" e "la Risurrezione di Cristo", eseguiti dall'Orchestra del Conservatorio di Santa Cecilia, dal Coro interuniversitario, insieme ai Cori dei Conservatori e delle Università del Lazio, guidati dal Maestro Valentino Miserachs. È una raccolta molto significativa per il valore spirituale e artistico delle opere del Perosi, ma anche per la collaborazione di cui è espressione: mi riferisco al Ministero per l'Università, alla Congregazione per l'Educazione Cattolica, alla Radio Vaticana e al Centro Televisivo Vaticano. Ma un pensiero particolare desidero rivolgere ai giovani del Coro Interuniversitario, guidati dal Maestro Massimo Palombella, per la gioiosa e qualificata testimonianza con cui accompagnano la pastorale universitaria di Roma. Sono due doni che volentieri consegnerò al Santo Padre, facendomi interprete dei vostri sentimenti di filiale devozione. Sono certo che sarà per Lui un momento di consolazione, sapendo di poter contare sulla collaborazione degli universitari e dei docenti di Roma e del Lazio impegnati nella pastorale universitaria.

Ordine dei Medici: indagine “scientifica” con questionari telecomandati
Dott. MARCO MALTONI
24 APRILE 2007

Recentemente l’Ordine dei Medici Nazionale ha commissionato ad alcuni ricercatori italiani la costruzione di un questionario da “somministrare” (come si dice in termine tecnico) ad un campione di medici italiani per verificare le loro convinzioni ed il loro atteggiamento sulle cosiddette “decisioni di fine vita” (il fatto che nelle fasi finali della vita debbano essere prese delle decisioni concernenti i trattamenti corrisponde sicuramente a realtà; meno condivisibile è “l’interpretazione” che a tale semantica “neutra” viene attribuita, cioè quella di un’astensione o interruzione terapeutica o addirittura, nei paesi in cui l’eutanasia è legale, un atto o un’omissione dichiaratamente eutanasici).
L’indagine si richiama esplicitamente ad un’altra ricerca europea già effettuata e pubblicata su Lancet nel 2003, denominata studio EURELD (EURopean End-of-Life Decisions), coordinata da un gruppo di ricercatori olandesi, in cui venivano indagati gli stessi aspetti su un campione di medici di sei paesi Europei, fra cui l’Italia. In effetti, il questionario attualmente proposto dagli epidemiologi italiani altro non è che una rielaborazione del precedente questionario: la ricerca attuale, quindi, in un certo senso nasce “vecchia”, in quanto cerca dati già emersi nello studio di qualche anno fa. Lo studio EURELD, peraltro, è stato molto criticato, e i ricercatori principali sono stati accusati di subordinare la ricerca della verità scientifica ad una posizione ideologica preconcetta (nella introduzione del lavoro affermavano che “l’accelerazione della morte può essere un risultato accettato o – da alcuni – apprezzato, delle terapie di fine vita”), in quanto le domande-chiave del questionario apparivano costruite ad arte per favorire, nella fase di commento, una interpretazione forzatamente pro-eutanasica. Infatti, una domanda recitava testualmente:
Hai intensificato l’alleviazione del dolore e di altri sintomi,
-tenendo in considerazione la probabilità (“possibility” nell’originale inglese) o la certezza che ciò avrebbe anticipato la fine della vita del paziente,
o –in parte con l’intenzione di anticipare la fine della vita del paziente?
Come nota Augusto Caraceni, Responsabile dell’Hospice dell’Istituto Tumori di Milano e Direttore Scientifico della Rivista Italiana di Cure Palliative, “nello studio EURELD si fa riferimento alle categorie dell’intenzione e dell’opinione personale (“la probabilità che”) , addirittura sfumata in un concetto molto sottile di intenzione parziale (“in parte con l’intenzione”). Da altri studi importanti (per esempio lo studio “Ethicus”), che invece danno notizie delle terapie praticate, emerge con chiarezza come l’interpretazione delle conseguenze della somministrazione di oppioidi e sedativi sia influenzata da fattori soggettivi e culturali e da pregiudizi tali da risultare del tutto inaffidabile”. Ancora, in un editoriale comparso nel 2006 sulla rivista principale del settore, “Palliative Medicine”, Karen Forbes, una delle figure di riferimento nelle Cure Palliative internazionali, Professore di Medicina Palliativa alla Bristol University, affermava che il questionario dello Studio EURELD metteva insieme situazioni diversissime “assumendo” scorrettamente che alleviare i sintomi può accelerare il decesso e interrogando i medici che “credono” questo. In realtà, continuava la Forbes, il controllo farmacologico dei sintomi non ha affatto bisogno della teoria etica del “doppio effetto” per essere difeso, in quanto tutti i dati dimostrano che un trattamento antidolorifico correttamente eseguito non ha alcun impatto negativo sulla sopravvivenza.
Quindi, almeno tre conseguenze negative o incongruità emergevano dall’approccio utilizzato nello studio EURELD: 1) in primo luogo, veniva riproposto il culturalmente pericoloso “falso mito” sulla morfina come “possibile” causa di accelerazione della morte, anche quando correttamente data, quando invece numerosi lavori originali ed almeno una revisione sistematica di letteratura hanno evidenziato come la terapia con oppioidi non abbia alcun impatto prognostico negativo; 2) in secondo luogo, si indagava “scientificamente” sull’intenzione “parziale” di anticipare la fine della vita del paziente, della cui possibilità di esistenza è lecito dubitare (un’”intenzione eutanasica” pare debba essere come l’oggetto dell’intenzione [l’eutanasia] un tutto o nulla, e non possa essere “parziale”), mischiando il concetto di “certezza”, con quello di “probabilità”, (che forse sarebbe meglio identificare con il termine italiano di “possibilità”). Il che sarebbe come chiedere a un chirurgo: “opereresti quel paziente avendo la certezza di ucciderlo o sapendo che in ogni intervento c’è la remota possibilità di avere complicanze letali?”. Banalizzando la questione: in una stessa domanda sono messe insieme pere e mele, facendo credere che siano tutte e due uno stesso tipo di frutta; 3)infine, EURELD attribuiva ad una ipotetica e paradossale “intenzione parziale” una ricaduta oggettiva e certa di abbreviazione della vita, tutta da dimostrare, e non era metodologicamente adatto a dimostrare tale ipotizzata ricaduta. Nella nuova versione del questionario che l’Ordine dei Medici riproporrà in Italia la domanda sugli antidolorifici, forse troppo palesemente diseducativa e confondente, è stata tolta, seppure “sostituita” da un piccolo grafico (nel quale il medico dovrà delineare l’andamento del dosaggio di morfina negli ultimi giorni), che ripropone ancora una volta la scientificamente infondata ipotesi di un’accelerazione della morte dall’uso di oppioidi.
Ma la stessa tipologia di domanda che assimila i concetti di “possibilità” e “certezza” (sempre soggettivamente intesa) sulla consequenzialità di accelerazione della morte dalla scelta terapeutica riguardava anche il giudizio del medico su un atto passivo, cioè l’astensione o l’interruzione di un trattamento. Nello Studio EURELD originale si chiedeva infatti anche:
Hai non attuato o interrotto un trattamento medico,
-tenendo in considerazione la probabilità o la certezza che ciò avrebbe anticipato la fine della vita del paziente,
o – con l’intenzione esplicita di anticipare la fine della vita del paziente?
Ancora una volta si chiedeva contemporaneamente se il medico avesse valutato, nel proprio giudizio, di avere interrotto o non iniziato un trattamento immaginando “con certezza” o prevedendo “una possibilità di” una ricaduta sfavorevole sulla sopravvivenza. Questa domanda rimane, nella sua ambiguità, anche nello studio ripresentato dall’Ordine dei Medici. Per di più, lo studio considera trattamenti anche la nutrizione e l’idratazione artificiali, giudizio certo non universalmente condiviso e oggetto tuttora di grande dibattito.
Nello studio EURELD originale era infine presente anche una domanda con una richiesta di giudizio preciso sul fatto “se la morte era stata conseguenza diretta della somministrazione, la prescrizione o la fornitura di farmaci con l’intenzione esplicita di anticipare la fine della vita del paziente”, vale a dire per una forma di chiara eutanasia attiva.
Nonostante una metodica così orientata, (non tanto in quest’ultima domanda, che era chiara e non lasciava margini di ambiguità, quanto nelle due precedenti, che nel lavoro pubblicato su Lancet e in altri interventi divulgativi, venivano presentate, nella formulazione e nella sintesi finale, come aggregazioni improprie di situazioni non aggregabili), dallo studio emergeva che i medici italiani ritenevano di avere contribuito direttamente in qualche modo alla morte del paziente in un numero limitatissimo di casi, mentre una generica “decisione di fine vita”, con tutti i limiti suddetti, era stata presa in un 23% dei casi (quasi tutti trattamenti antidolorifici verosimilmente legittimamente intrapresi, e invece indotti a essere autointerpretati impropriamente come correlati in modo ipotetico ad una abbreviazione della vita). La domanda sull’astensione o interruzione di trattamenti, che rimane anche nel nuovo studio, nel lavoro precedente raccoglieva solo un 4% di risposte positive. Tutti i risultati emergenti dal solidale paese italiano erano ben distanti da quelli delle altre nazioni indagate, di tradizione individualista calvinista o illuministica e radical-borghese.
Essendo già disponibili i dati ricercati, ed essendo gli stessi argomenti già stati studiati con la stessa metodologia da più parti autorevolmente giudicata non corretta, non è chiaro quale sia l’obiettivo dello studio che l’Ordine dei Medici riproporrà, con qualche minimo maquillage, a meno che non si voglia oggi “misurare” quale impatto “emozionale” abbia avuto sui medici italiani il caso Welby. Purtroppo il metodo di studio (che induce i medici ad auto-valutare decisioni con impatto marginale e indesiderato sulla sopravvivenza, alla stessa stregua di decisioni di fine-vita atte ad abbreviarla con certezza e deliberatamente) procurerà risultati confusi e misinterpretabili, che potranno essere presentati, in sede scientifica e ancor più dai mass-media, come dimostrazione di presenza di interventi medici proeutanasici nel nostro paese.
Marco Maltoni

Data pubblicazione: 2007-04-22
Il medico deve curare o accontentare?
ROMA, domenica, 22 aprile 2007

Pubblichiamo di seguito per la rubrica di Bioetica l’intervento di Carlo Valerio Bellieni, Dirigente del Dipartimento Terapia Intensiva Neonatale del Policlinico Universitario "Le Scotte" di Siena e membro della Pontificia Accademia Pro Vita.
I recenti fatti definiti dai giornali “malasanità” mettono in mostra colpe vere o presunte; ma mostrano senza volerlo che la professione del medico ha dei limiti che si chiamano talvolta “errore”, talvolta “insuccesso terapeutico”. Sono limiti inerenti la stessa medicina e l’umanità di chi opera. A fianco di questi, esistono poi limiti impartiti dalle leggi e dallo stesso buon senso: il limite a non usare i pazienti come cavie, per esempio, blocca alcune possibilità scientifiche, ma ci sembra assolutamente indispensabile. Così come reclamiamo come indispensabile il limite di non mettere fine ad una vita o di selezionare ed eliminare embrioni e feti, pur in presenza di una richiesta del pubblico. Dobbiamo allora capire quale sia davvero il compito del medico e quali siano i suoi reali limiti: è compito del medico curare o accontentare? Ma per far questo dobbiamo domandarci quale è il suo oggetto, cioè, cosa è la salute, per non finire in derive commerciali o ciniche o peggio ancora, soccombenti alla moda del momento. Cos’è la salute? Per rispondere a questa domanda dobbiamo partire dall’esperienza: quando sentiamo di non avere salute? Possiamo facilmente rispondere “Quando non possiamo fare una cosa che di solito facevamo o una cosa che riesce ai più”. Per esempio, quando non riusciamo più a correre come una volta, o se una paralisi ci impedisce una normale deambulazione. Come si vede, all’idea di salute è associata profondamente quella di desiderio. E, si capisce bene, non si parla di “capriccio”, ma di un vero desiderio. Quale sia la differenza tra i due termini è presto detta: dato che solo il secondo cerca di ottenere qualcosa che è iscritto nella natura della persona: capriccio sarà volere il naso come un’attrice famosa; desiderio è quello di accomodare il naso o per evitare scherni o per ripristinare una funzione respiratoria. Si capisce quanto sia distante la definizione dell’organizzazione mondiale della sanità che sostiene che la salute sia “Il completo benessere psicofisico e sociale”. Questa definizione, nata per contrastare l’idea che la salute sia solo l’assenza di malattie, apre ad una chiara utopia: nessuno avrà mai un completo benessere: chi non si lamenta di qualcosa o chi può dire di essere appieno soddisfatto? E’ una definizione che apre a due conseguenze infauste: un’insoddisfazione esistenziale (se la salute è un diritto, la pienezza di soddisfazione è inarrivabile, dunque il mio diritto è impossibile); e il capriccio puro: solo io conosco il livello della mia soddisfazione, e so che la mia soddisfazione non è piena… dunque devo “inventare” dei desideri per aumentare i livello di soddisfazione, dato che soddisfacendo i desideri finora la mia soddisfazione è ridotta. Già, perché questa definizione confonde la parola salute con la parola felicità. E la società odierna crede che la felicità sia la soddisfazione di ogni volere. Anzi, essendo così le cose, moltiplica i bisogni per avere più bisogni da soddisfare, e - in teoria - più felicità. E c’è una florida industria di bisogni che pullula su questo. Ma cos’è allora la salute? E’ la possibilità di affermare se stessi nei desideri profondi che ci caratterizzano: sono il desiderio di bellezza, felicità, libertà, amore. E dobbiamo distinguere i desideri “grandi” che sono quelli ora elencati, e i desideri “parziali” che sono quelli di tutti i giorni e che hanno valore nella misura in cui aprono alla soddisfazione dei primi. Dunque un ottuagenario che può a stento deambulare potrà avere una salute maggiore del sedicenne bocciato a scuola proprio perché il metro non è ciò che si fa, ma quello che si può fare rispetto a quello che desideriamo – tranne che nel caso che i nostri desideri siano atrofizzati... Un corollario della suddetta definizione di “salute” è che il contrario della salute allora non è la malattia. Atleti di prima qualità si esibiscono in manifestazioni sportive su una sedia a rotelle o sciando senza una gamba e nessuno può dire che non siano atleti di alta statura e che non stiano compiendo un gesto di alto sport. E che non abbiano salute. D’altronde assistiamo alla tristezza esistenziale di molti, pur in assenza di conclamate patologie. Se ne deduce che il reale contrario della salute, intesa come “possibilità di rispondere ad un desiderio” è la disperazione. Si capisce allora anche cosa significhi “Benessere”. Nell’accezione moderna, questa parola si usa quando possiamo disporre di cose superflue, tanto che potremmo paradossalmente dire che il nostro benessere è misurato dai rifiuti che produciamo. In realtà, questa concezione è stretta e insufficiente: nessuno è sereno per il solo avere cose di cui, almeno dopo un po’, non sappiamo che fare. Quello che realmente è il benessere è invece la coscienza della propria salute: ho benessere quando so di star affermando me stesso. Nasce qui il problema di cosa significhi “affermare se stessi”, perché sarebbe molto facile confondere questo con una visione egocentrica e egoistica della vita. In realtà, io affermo me stesso quando corrispondo ai miei desideri, ma non ai miei capricci, e nemmeno i miei bisogni: entrambi non hanno la dignità per poter essere definiti “desideri”; quelli di cui parlo sono il mio DNA etico, quello che in fondo al cuore ho scritto: il desiderio di bellezza, felicità, amore, libertà. E di conseguenza la strada per la salute sarà fatta dal seguire il compiersi dei desideri parziali che aprono la porta ai grandi desideri: desiderare di guarire da una malattia, di sposarsi, di mangiare un dolce alla crema sono desideri parziali che portano benessere e aprono alla salute nella misura in cui aprono ai desideri “grandi” suddetti. Dunque possiamo ora capire cosa vuol dire “curare”: è l’atto che favorisce l’appagamento dei “grandi desideri” attraverso la soddisfazione dei desideri parziali. E si capisce che curare deve aver ben di mira i primi per trattare bene i secondi. Insomma: curare è l’azione dell’uomo che si strugge per il destino dell’altro uomo nella misura che può e con gli strumenti che ha a disposizione. Il medico curerà con certi strumenti, il sacerdote con altri, la maestra con altri ancora. Ma il fine è il medesimo. E anche il metodo è lo stesso. Da questo si capisce anche una cosa: non tutte le operazioni che un medico può fare sono curative. Per esempio agevolare l’uso di anabolizzanti nello sport; interrompere una gravidanza; cedere a certe pretese assurde di rimodellamento del corpo secondo canoni pubblicitari, non hanno in sé il fine di aprire al compimento di sé, ma ad un’affermazione di sé. E la differenza non è di poco conto, ma si scopre subito: nel primo caso (compimento di sé) gli altri vengono visti come alleati; nel secondo (affermazione di sé) vengono visti come ostacoli o mezzi. D’altra parte, neanche è vero che le operazioni farmacologiche sono l’unico modo di curare e che l’azione del medico si esaurisce in esse: la parola, l’ascolto, l’interessamento alla prevenzione, all’ambiente e al sostegno economico possono e talora devono essere fulcro dell’agire medico. Capiamo dunque la grande differenza tra “curare “ e “accontentare” nell’opera del medico. Sicuramente “accontentare” è ciò che non solo la struttura sanitaria, ma spesso anche il paziente richiedono. Ma è ciò che è al cuore della professione medica? Purtroppo in questa deriva, non è estraneo il pressing dei media nel creare desideri e capricci: ad ogni angolo di strada pullulano cartelli, ad ogni accensione del televisore o di internet corrisponde un bombardamento di messaggi che assimilano la felicità al consumo. Ma anche le ditte farmaceutiche fanno la loro parte in questo contesto, favorendo la vera e propria invenzione di nuove malattie create appositamente per vendere farmaci: è il cosiddetto disease mongering: creare bisogni per vendere rimedi. E sappiamo quanto oggi siamo arrivati ad un vero e proprio consumismo, per esempio in campo riproduttivo, con il moltiplicarsi degli esami per una ipotetica assicurazione della “perfezione” del nascituro. E non sappiamo dire se nasca prima l’ansia o prima il numero degli esami: comunque l’uno alimenta l’altra. Significativi sono alcuni articoli sul consumismo procreativo e su come la diagnosi prenatale è divenuta accettabile in Francia, nonché sull’estensione del fenomeno in Italia. Nel campo della chirurgia estetica, della fecondazione in vitro, dell’eutanasia si moltiplicano gli esempi di domande dell’ “utenza” che chiedono di essere soddisfatte, pur non essendo inerenti direttamente alla ricerca della salute. Il medico, sembra, “deve assicurare la guarigione”, non curare… magari deve fornire “un servizio”, senza fare domande o tantomeno obiezioni. Per questo non dobbiamo cessare di reclamare il diritto a vivere una professione medica che abbia in cuore di curare e non di accontentare, ad avere medici – non produttori di ricette – che si interessino all’uomo, al suo bisogno e al suo dolore

1 commento:

Esterina ha detto...

Bellissimi!!!