lunedì 16 aprile 2007

IL MIO LIBRO SU GESU' E' UNA MIA RICERCA,LIBERI DI CRITICARMI


Benedetto XVI nelle pagine dense e meditate, frutto di un «lungo cammino interiore», contesta tutti i tentativi di ridurre la figura di Cristo, presentandolo come un rivoluzionario o un moralista, o come un semplice maestro religioso.

Il papa: il mio libro su Gesù è una mia ricerca, liberi di criticarmi

di Jan van Elzen/ 15/04/2007

Cattivi maestri. L’Anticristo vuole una lettura della Bibbia in cui Dio non dice niente e non ha niente da dire, ma è al passo coi tempi. Il segno di pace. Forse qualcuno diventa beato perché si è impegnato nella guerra santa? No, è il contrario.

Il libro del Papa su Gesù: "Se volete, criticatemi"
di Andrea Tornielli
su il Giornale, 14 aprile 2007






Un saggio scritto più da studioso che da Papa. È "Gesù di Nazaret", il volume di Benedetto XVI che la Rizzoli manda in libreria da lunedì 16 aprile, giorno dell’ottantesimo compleanno del pontefice.

Quattrocentoquarantasei pagine, dieci capitoli per spiegare che «il Gesù dei Vangeli» è il vero Gesù, quello reale e storico che ha calcato la terra di Palestina duemila anni fa. Un saggio scritto più da studioso che da Papa, utilizzando il metodo dell’esegesi moderna per «favorire nel lettore la crescita di un vivo rapporto» con Cristo nella convinzione che per capirlo «sia necessario partire dalla sua unione col Padre». È Gesù di Nazaret, il volume di Benedetto XVI che la Rizzoli manda in libreria da lunedì 16 aprile, giorno dell’ottantesimo compleanno del pontefice. Alcune parti del libro sono già note perché anticipate in questi mesi dall’editore, com’è noto che lo studio di Ratzinger non è un atto di magistero («perciò ognuno è libero di contraddirmi»). Difficile, anzi impossibile sintetizzare in poche righe la ricchezza di contenuti del libro che prende in esame la prima parte della vita di Gesù, dal battesimo nel Giordano alla trasfigurazione, in previsione di una futura seconda parte dedicata al mistero centrale della fede cristiana, la morte e la resurrezione del Nazareno. Benedetto XVI nelle pagine dense e meditate, frutto di un «lungo cammino interiore», contesta tutti i tentativi di ridurre la figura di Cristo, presentandolo come un rivoluzionario o un moralista, o come un semplice maestro religioso.
Significativa è innanzitutto la sottolineatura dell’importanza della storia: «Per la fede biblica – spiega – è fondamentale il riferimento a eventi storici reali. Essa non racconta la storia come un insieme di simboli di verità storiche, ma si fonda sulla storia che è accaduta sulla superficie di questa terra». In un altro passo, commentando la meticolosità con cui Luca vuole datare l’inizio della vita pubblica di Cristo, Ratzinger aggiunge: «L’attività di Gesù non è da considerare inserita in un mitico prima-o-poi, che può significare insieme sempre e mai; è un avvenimento storico precisamente databile con tutta la serietà della storia umana realmente accaduta».

In un altro capitolo, dedicato alle tentazioni a cui è sottoposto Gesù, Benedetto XVI, commentando la frase del diavolo «Se sei Figlio di Dio, di’ che questi sassi diventino pane», osserva: «Non doveva e non deve il salvatore del mondo mostrare la propria identità dando da mangiare a tutti? Il problema dell’alimentazione del mondo – e, più in generale: i problemi sociali – non sono forse il primo e autentico criterio al quale deve essere commisurata la redenzione?... Il marxismo ha fatto proprio questo ideale... Se vuoi essere la Chiesa di Dio, allora preoccupati anzitutto del pane per il mondo, il resto viene dopo». Ma, osserva ancora il Papa, «laddove Dio è considerato una grandezza secondaria, che si può temporaneamente o stabilmente mettere da parte in nome di cose più importanti, allora falliscono proprio queste presunte cose più importanti. Non lo dimostra soltanto l’esito negativo dell’esperienza marxista. Gli aiuti dell’Occidente ai Paesi in via di sviluppo, basati su principi puramente tecnico-materiali, che non solo hanno lasciato da parte Dio, ma hanno anche allontanato gli uomini da Lui con l’orgoglio della loro saccenteria, hanno fatto del Terzo mondo il Terzo mondo in senso moderno».In un passaggio successivo, dedicato alla seconda tentazione, nella quale il demonio per attirare Gesù nella sua trappola cita la Sacra Scrittura, Benedetto XVI fa sue alcune considerazioni del Racconto dell’Anticristo di Vladimir Solov’ëv: «L’interpretazione della Bibbia può effettivamente diventare uno strumento dell’Anticristo... I peggiori libri distruttori della figura di Gesù, smantellatori della fede, sono stati intessuti con presunti risultati dell’esegesi». Oggi «l’Anticristo ci dice, allora, in atteggiamento di grande erudito, che un’esegesi che legga la Bibbia nella prospettiva della fede nel Dio vivente, prestandogli ascolto, è fondamentalismo; solo la sua esegesi, l’esegesi ritenuta autenticamente scientifica, in cui Dio stesso non dice niente e non ha niente da dire, è al passo coi tempi». Un giudizio negativo che si può estendere a tanta saggistica contemporanea che spopola nelle librerie occidentali e che in nome di una pretesa scientificità cerca di demolire il fondamento della fede cristiana.

Sempre parlando delle tentazioni, Ratzinger osserva riguardo al potere: «Nel corso dei secoli questa tentazione – assicurare la fede mediante il potere – si è ripresentata continuamente, in forme diverse, e la fede ha sempre corso il rischio di essere soffocata proprio dall’abbraccio del potere. La lotta per la libertà della Chiesa, la lotta perché il regno di Gesù non può essere identificato con alcuna struttura politica, deve essere condotta in tutti i secoli. La fusione tra fede e potere politico, infatti, ha sempre un prezzo: la fede si mette al servizio del potere e deve piegarsi ai suoi criteri». Benedetto XVI risponde anche alla domanda su che cosa abbia portato di nuovo e di buono Gesù sulla terra, dato che dopo la sua rivelazione non sembra essersi compiuta la speranza messianica in un mondo finalmente migliore, giusto e pacificato. «La risposta è molto semplice: Dio. Ha portato Dio: ora noi conosciamo il suo volto e possiamo invocarlo. Ora conosciamo la strada che, come uomini, dobbiamo prendere in questo mondo. Gesù ha portato Dio e con lui la verità sul nostro destino e la nostra provenienza; la fede, la speranza e l’amore. Solo la nostra durezza di cuore ci fa ritenere che ciò sia poco».

Un ampio spazio del volume è poi dedicato al rapporto di Gesù con l’ebraismo, che il Papa svolge partendo dal libro di un grande erudito ebreo, Jacob Neusner: Un rabbino parla con Gesù. Commentando il discorso della montagna, Ratzinger mostra come non sia corretto presentare Cristo come un liberal che voleva mitigare la dura meticolosità delle prescrizioni della legge: il Nazareno porta a compimento l’antica legge, anzi, «Gesù intende se stesso come la Torah». E il Papa afferma che «alla cristianità farebbe bene guardare con rispetto» all’obbedienza di Israele alla Torah «e così cogliere meglio i grandi imperativi del Decalogo, che essa deve tradurre nell’ambito della famiglia universale di Dio e che Gesù come "nuovo Mosè" ci ha donato».
Ratzinger critica poi il pensiero contemporaneo che «tende a dire che ognuno dovrebbe vivere la propria religione, o forse l’ateismo in cui si trova» per salvarsi. Lo fa ponendo alcune «domande pratiche»: «Forse qualcuno diventa beato e verrà riconosciuto come giusto da Dio perché ha rispettato secondo coscienza i doveri della vendetta del sangue? Perché si è impegnato con forza per la e nella "guerra santa"? O perché ha offerto in sacrificio determinati animali?... O perché ha dichiarato norma di coscienza le sue opinioni e i suoi desideri e in questo modo ha elevato se stesso a criterio? No, Dio esige il contrario: esige il risveglio interiore».

Per concludere, due curiosità. In più passi del libro, Benedetto XVI parla di Qumran e degli esseni, come già aveva fatto durante l’omelia della messa del Giovedì santo. E spiega che «forse anche Gesù e la sua famiglia» erano «vicini a questa comunità». Riprende l’argomento nel capitolo dedicato alla «questione giovannea» (nel quale riafferma l’identificazione di Giovanni figlio di Zebedeo con il protagonista del quarto Vangelo), ricordando che «con tutta probabilità» il luogo dell’Ultima cena «si trovava nella parte della città abitata dagli esseni».

Un passaggio dedicato alla preghiera del Padre Nostro, infine, suona quasi come una puntualizzazione delle parole di Giovanni Paolo I, il quale un giorno aveva detto che Dio «è madre»: «Nonostante le grandi metafore dell’amore materno, "madre" non è un titolo di Dio, non è un appellativo con cui rivolgersi a Dio».




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