martedì 10 aprile 2007

QUI C'E' UN GRAN BUGIARDO


Quest'articolo ha piu' un taglio politico che religioso.
Perche' lo metto sul blog?
Perche' mi sembra importante renderci conto che per noi cristiani e' importante giudicare tutto per poter comprendere che l'adesione a Cristo deve giudicare tutta la nostra vita e tutte le nostre azioni.
Non vogliamo attraverso quest'articolo condannare nessuno .
Ma quest'articolo ci fa comprendere come sia facile per l'uomo correre dietro al potere,alla vana gloria.
Ognuno di noi potrebbe essere un Prodi.
La chiesa e'da duemila anni che ci ricorda che Pilato,Erode Giuda.... non sono persone solo del passato ma attuali.(CHI SI LASCIA ANCORA INTERROGARE?)

Ciascuno di noi e' un po' di tutte queste ed e' per questo che la chiesa ,attraverso le parole del PAPA e dei suoi vescovi non puo' che continuare a richiamarci ad una scelta.
A CHI APPARTENIAMO? Se la risposta e' Cristo ci rendiamo conto di quanto la nostra posizione quotidiana sia lontana dal Suo messaggio.
LA CHIESA C'ENTRA CON LA VITA DELL'UOMO CON IL SUO QUOTIDIANO "CRISTO E' TUTTO IN TUTTO"

QUI C'È UN GRAN BUGIARDO
Libero 8 aprile 2007

di RENATO FARINA
Prodi ha fatto di tutto per salvare una vita: la sua. La liberazione di cinque terroristi talebani serviva a salvare questo bel tipo di politico italiano. Ha applicato la regola aurea del cinismo: mors tua, vita mea. Creperanno degli afgani, forse dei militari italiani per mano dei masnadieri restituiti ai loro kalashnikov? Amen. Il mio posto a Palazzo Chigi è salvo, ed in più mi posso gloriare anche di aver salvato un giornalista italiano di sinistra, e al diavolo il suo autista decapitato e il suo interprete prigioniero. Ricordate quel 19 marzo a Ciampino? Daniele Mastrogiacomo pareva Cannavaro con la coppa del mondo, sollevava le mani come un gladiatore vincente: avrebbe dovuto innalzare pietosamente la memoria di un uomo ucciso al suo servizio, quella di Saied Agha, trattato dal Tg1 come una spia. (...) segue a pagina 3 (...) E ancora oggi umiliato per tale. Che notizie ci sono della sottoscrizione di Repubblica? Nessuna. Vi vergognate della sua memoria? Vi accodate - come Pino scaccia - ai talebani che lo hanno bollato come un infame? «Un grande giorno per l'Italia» scrisse Ezio Mauro: che vergogna. Decoro, gente. Quella notte di Ciampino è stata la festa dei potenti: quelli bravi a salire sulle scialuppe del Titanic, a bordo della nave che va giù restino pure i poveretti di un Paese sfigato. Poi a babbo morto Repubblica e soci si sbracciano per l'interprete ancora prigioniero. Bravi. Risulta dalla testimonianza di Ahmid Karzai, il presidente dell'Afghanistan. Precisa, ironica, martellata con il cesello. «Abbiamo accettato le condizioni dell'accordo per liberare il giornalista Mastrogiacomo su pressione personale di Prodi. Eravamo obbligati: il governo Prodi poteva cadere in qualsiasi momento». Qui l'ironia non c'è. C'è qui: «L'Italia ha più di 1.800 soldati in Afghanistan. Costruiscono le nostre strade». Poteva aggiungere che la loro missione è anche agro-pastorale, hanno messo a dimora molti alberi, poveri nostri soldatini. Hanno scoperto di valere in tutto quanto un giornalista di Repubblica, il quale a sua volta vale cinque generali talebani. Silvio Sircana, il portavoce unico del governo ha smentito. «Nei colloqui con il presidente Karzai, non è stata mai messa in connessione la sorte del governo Prodi con l'esito del rapimento di Daniele Mastrogiacomo. Ci si è limitati a chiedere a Karzai e al governo afgano di fare tutto quanto potevano». Credere a Karzai o a Sircana? Basta osservare i tratti delle due personalità per come si sono manifestate negli ultimi tempi. Chi dice le bugie e chi no
1) Karzai rischia la pelle tutti i giorni per il solo fatto di governare a Kabul al posto del mullah Omar. Non ha nessun interesse a mentire. Anzi. Aver raccontato il tenore dei colloqui personali con Prodi gli procurerà un nemico magari meno bombarolo di Osama Bin Laden, ma senz'altro più permaloso: Romano è vendicativo almeno come il mullah Omar, gliela pagherà. Dunque, a Karzai non conveniva dir balle, tanto più che è un condannato a morte, e di solito queste persone meritano considerazione per il coraggio. 2) Sircana ha rischiato grosso anche lui: è stato lo scorso settembre, ad un posto di blocco di trans a Roma, a quanto pare ben attrezzati. Quando la vicenda è trapelata ha detto bugie grandi come il monte Oreb spergiurando di cascare dalle nuvole e sospirando di complotti contro di lui. Poi, quando le fotografie dell'innocuo incidente sono saltate fuori, non ha chiesto scusa all'opinione pubblica. Non per la cosa in sé, ma della bugia en plein air. Figuriamoci. Intanto, per coprire le sue vergogne, si è schierata una siepe di alti papaveri e alti pennacchi: Authority e Ordini professionali al completo. Ecco, noi crediamo, per puro buon senso, a Karzai. Visto? Siamo multietnici e multireligiosi, ci aspettiamo un apprezzamento dagli imam. Non abbiamo pregiudizi antiislamici, viva Karzai. Mica perché uno è cattolico ha ragione. Del resto, Massimo D'Alema - il quale ha sofferto questa storia come una sconfitta personale - aveva già implicitamente confermato la sua versione: «Il governo italiano ha passato l'elenco delle richieste talebane a Karzai, chiedendogli di fare di tutto». Come dire: datti una mossa. Il modo di raccontarla, al di là del ghigno, mostrava quanto non sopportasse, D'Alema, la gestione della trattativa. Che la conducesse, per conto di Prodi e di lui medesimo, dall'esemplare di comunista più odiato da Baffo d'Acciaio: il comunista-uma- nitario, cioè Gino Strada. D'Alema è per i rapporti di forza, Strada per l'estremismo dei sentimenti, specie quelli che gli permettono di essere esaltato come un eroe per un paio di telefonate, mentre poi a rischiare era il suo uomo, Rahmatullah Hanefi. È costui ad essere andato di persona dai talebani. Strada stava al coperto, anche se i ringraziamenti del governo italiano e di Repubblica se li è presi tutti lui. L'arresto, come mediatore improvvido, se l'è beccato Hanefi. Quanto è forte l'esercito di Repubblica
Ricapitoliamo, prima che la Pasqua ci faccia dimenticare. Tutta la manfrina umanitaria avviata da Prodi con Strada non era diretta tanto a togliere dalle grinfie dei signori Talibani il giornalista Daniele Mastrogiacomo, quanto a sottrarre se stesso da quelle di Diliberto, Pecoraro Scanio e Dario Fo. Una causa, vista dal suo punto di vista, più che giusta. Lo capiamo: non è bello essere strappati dal comodo di Palazzo Chigi a causa di oscure vicende che coinvolgono un temerario inviato di Repubblica. Ma questo quotidiano è potente, potentissimo. È molto più di un giornale: è il nodo bananiero del potere finanziario e politico. Ha in pugno l'opinione pubblica di sinistra. Dipende dalla tribù guidata da Ezio Mauro se potrà nascere e con quale forza il Partito democratico, cui Prodi ha consegnato il suo futuro di leader. I talebani saranno dei banditi, ma non sono asini: hanno buone informazioni su chi conta da noi. Dunque per Prodi salvare Mastrogiacomo, a qualsiasi prezzo di vite umane afgane, ma anche della dignità nazionale di noialtri, era una questione di vita o morte della sua carriera politica. Mauro del resto, sapendolo bene, aveva preso per la gola l'esecutivo: «Fare di tutto per liberare Daniele», ha intimato. Lo capiamo benissimo, è uno dei suoi. Ha mandato all'aria la filosofia di Scalfari e D'Avanzo avversa a qualunque trattativa che finisce per incrementare l'industria dei sequestri in Iraq e in Afghanistan. (Giuseppe D'Avanzo per far vedere che non ha cambiato idea in questi giorni ha parlato bene di Creonte che non ha trattato con Antigone. Una polemica, come si dice, d'attualità). A suo tempo, quando si trattava di dover accettare il prezzo imposto dai rapitori islamici di Agliana, Cupertino e Stefio, Mauro aveva intitolato il suo editoriale: «Messaggio irricevibile». Invece Karzai ha dovuto dichiarare ricevibile, ricevibilissimo il messaggio di Prodi e di Repubblica: e liberare cinque generali talebani che già hanno imbracciato le armi e si sono sistemati ai loro posti nello stato maggiore delle bande dei kamikaze e dei tagliatori di teste. Questo vale la testimonianza di Ahmid Karzai. Ad aprirci gli occhi. Ha continuato: «Abbiamo dovuto accettare, anche se sapevamo benissimo quali erano le conseguenze». Le conseguenze sono chiare: aver creato il precedente. Ora infatti il capo banda mullah Dadullah vuole, per liberare l'interprete Adjmal Nashkbandi, altri prigionieri: ovvio. Uno lo esige per poterlo sgozzare come traditore, l'altro perché gli serve. E dall'Italia ora chiedono a Karzai di obbedire. Marameo. Come si fa ad avere questa faccia tosta. Dopo aver brindato e aver finto di credere che Adjmal fosse libero, anzi prigioniero di Garzai (vedi la balla vergognosa raccontata da Carlo Bonini) pur di celebrare il trionfo in diretta tivù. Che pena, che schifo. Quante bugie. PS. Berlusconi come avrebbe agito? Cercando di portare a casa vivo Mastrogiacomo, ovvio. Trattando. Sono stati pagati riscatti, ovvio. Non è il massimo. Ma almeno si è servito di canali istituzionali (poi scotennati da altri poteri istituzionali). Ha messo a repentaglio la vita di servitori del (nostro) Stato, come Nicola Calipari. Non ha preso per la gola gente piena di guai per salvare la cadrega. E anche questo ce lo fa rimpiangere.
Foto:
Romano Prodi e Hamid Karzai, presidente dell'Afghanistan

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