sabato 28 aprile 2007

LAURA SCRIVE


Cara Tiziana,
vorrei dare un mio personale contributo di esperienza riguardo all'esempio della bottiglia dato da don Gius, presente nell'articolo di Cesana del tuo blog.

"A un recente Esecutivo della Fraternità don Giussani ha fatto questa osservazione: questa bottiglia non esiste solo perché io la vedo e la tocco. Il fatto che io la veda e la tocchi non è sufficiente a confermarmi della sua esistenza.




Perché esista è necessario che questa bottiglia abbia un senso, cioè abbia un rapporto con me, con tutto ciò che esiste; cioè è necessario che questa bottiglia sia dentro la struttura complessiva dell’universo. Se una cosa non ha un senso, non è più necessaria: che ci sia o non ci sia, è fondamentalmente la stessa cosa. E inoltre mi può venire il dubbio che la mia stessa percezione a riguardo di una cosa non necessaria possa essere una percezione illusoria. E soggiungeva: gli intellettuali hanno tolto il senso alle bottiglie, ai bicchieri, ai tavoli, a tutto. Il senso delle cose si chiama comunemente Dio. Se si toglie questo, non si è più sicuri di niente, non si ha più certezza dell’esistenza delle cose stesse e del loro valore per la vita. Non si ha più certezza del perché bisogna combattere per esse. Non si ha più certezza di sé. "


Per me non è stato facile capire questo, ma quando ho seguito un corso all'Istituto dei ciechi, perchè avrei avuto in classe un ragazzo cieco nato, mi sono resa conto che è proprio così.
Infatti il problema della conoscenza in queste persone passa attraverso "la permanenza" dell'oggetto. Se a un bambino, per esempio, cade di mano un giocattolo, questo è per lui "sparito", non c'è più, non esiste più. Il grande necessario lavoro che un educatore deve fare per questi bimbi ciechi, è proprio insegnare la permanenza dell'oggetto indipendentemente che se ne abbia percezione o no.
Ho imparato da loro, me ne rendo conto, questo concetto, che mi permette di comprendere cosa il nostro Santo Padre ci invita a fare con "l'allargamento della ragione". Noi siamo come questi bimbi ciechi che si accorgono solo di quello che il loro limite permette, ma se c'è chi li aiuta, il limite cambia, e la conoscenza si allarga. Siamo aiutati a sapere che c'è altro.
Ecco che il limite di questi bimbi è diventato per me la chiave di volta per comprendere la realtà.
Questo bimbo, Matteo, mi è stato maestro..
Potrei portare altri esempi, ma questo mi è parso attinente al bellissimo articolo di Cesana.
ciao Laura



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